Lo scudo di Israele rischia di non funzionare più
Il conflitto Iran-Israele è composto da fronti diversi ma che colpi parziali lo trasformano in quello scontro totale che i due contendenti dicono di voler evitare. Hanno impiegato sistemi a lungo raggio, armi tradizionali, spie, sabotaggi, inganni e fattore umano. Ora si aspetta una nuova mossa israeliana, con un banco-bersagli che va dai siti per le ricerche nucleari agli impianti petroliferi. Che porterebbe ad una risposta degli iraniani. Decisioni rallentate da tattiche diplomatiche ma accelerata dai mezzi a disposizione.
I missili e i droni-kamikaze hanno accorciato le distanze in modo pericoloso. Si può duellare, designare bersagli specifici, fare danni senza muovere un singolo soldato. Più sofisticati gli equipaggiamenti israeliani, frutto di ricerche, risorse e collaborazione stretta con gli Stati Uniti. Un arsenale, unito ad una tecnologia di alto livello, che ha la supremazia. Tel Aviv dispone di molte lance ma anche di scudo anti-missile composto dal tridente Iron Dome, Fionda di David e Arrow. Batterie pronte a reagire con breve preavviso in virtù di una rete di sorveglianza che vede lontano, di stazioni radar, di ricognizione, di satelliti. Alcune delle «vedette» sono fuori dei confini, in basi statunitensi nello scacchiere, in posizioni ottimali per scrutare le mosse dei mullah. Lo Stato Maggiore israeliano ha una manciata di minuti - 10-12 - per lanciare l’allarme, ordinare alla popolazione di scendere nei rifugi, adottare misure di emergenza, far decollare i propri velivoli per sottrarli ai proiettili.
Le ultime sfide, però, hanno rivelato che i pasdaran, per quanto inferiori, sono in grado di raggiungere target significativi nel territorio ebraico. Comprese le installazioni militari. Cercano di saturare le difese con sciami di ordigni e poi trovano un varco. Non solo. Hanno provato a migliorare le tattiche, hanno analizzato eventuali punti deboli, avrebbero lanciato anche gli ipersonici, più difficili da intercettare. Ad ogni round fanno esperienza, impiegano vecchi apparati a fianco di quelli più nuovi. Il loro punti deboli sono un’aviazione obsoleta, un network antiaereo inesistente, possibili carenze nell’organizzazione.
Gli esperti internazionali li osservano con attenzione, riconoscono loro delle capacità che in futuro potrebbero complicare la vita agli avversari. È saggio stare nel mezzo: niente sopravalutazioni ma neppure minimizzare. Del resto, se fossero così scarsi non si comprenderebbe perché i russi abbiano chiesto degli armamenti da impiegare in Ucraina. Un campo di battaglia che ha dimostrato come anche mezzi relativamente semplici diventino comunque rilevanti. Il cannone pesante, i lanciarazzi, le bombe plananti, le mille versioni di droni. E molti di questi strumenti bellici sono in dotazione al «cerchio di fuoco», le milizie alleate di Teheran che potrebbero intervenire in modo massiccio se il protettore dovesse dare l’ordine.
Intanto gli Hezbollah impegnano l’IDF nel Libano sud, riescono a bersagliare la parte nord di Israele, dispongono di un miniesercito. Indeboliti dall’uccisione dei loro principali leader - forse spazzato via il possibile successore di Nasrallah, Hashem Safieddin -, conservano però spazi di manovra, bunker, materiale d’ogni tipo per tenere testa all’avversario. Lo dicono le perdite subite dagli israeliani nei primi giorni di operazione terrestre. Mentre dal Mar Rosso gli Houthi sono instancabili nelle provocazioni armate alle quali gli Usa e Israele hanno replicato con qualche raid, senza spostare di molto l’equilibrio.
La seconda dimensione riguarda le «ombre», l’intelligence. I cercapersone esplosivi e l’eliminazione in serie dei dirigenti filo-Teheran ha dato un grande vantaggio militare, psicologico e di immagine a Israele. Una volta molto avveniva in segreto, oggi ne sappiamo un po’ di più perché il Mossad ci tiene a farlo sapere. Serve per destabilizzare i mullah. Che però, anche in questo campo, non sono gli ultimi. Hanno una storia di attività clandestina, infiltrazioni, manovre con ostaggi, attacchi all’estero. Una strategia che negli ultimi due anni si è confermata un modus operandi che è come una «firma»: l’uso di criminali comuni per compiere attentati in Occidente.