L'odissea di un docente licenziato
Di solito i docenti sospesi, e ancor più quelli licenziati «in tronco», spariscono nell’anonimato. Non rispondono ai numeri sconosciuti. Roberto Caruso è diverso. «Nessun problema» dice al telefono. «Non ho niente da nascondere».
Il tono è gentile e convinto. All’intervista si presenta senza avvocato , ma preparato, con un plico di appunti come si fa per gli esami (o si dovrebbe fare) e mantiene la promessa: nome e cognome, ci mette la faccia.
In una vicenda in cui i «no comment» si sono sprecati, soprattutto all’interno del Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport, non è cosa da poco. In teoria dovrebbe essere normale. Il caso del docente sospeso a fine anno dalla SPAI di Mendrisio non riguarda reati «scabrosi», contro la persona o altro - in passato non sono mancati, in altri istituti - e non è oggetto di inchieste penali. In effetti, sulla vicenda non sembra essere stata aperta nemmeno un’inchiesta amministrativa: la disdetta è arrivata a sorpresa, comunicata a voce all’insegnante nell’intervallo tra una lezione e l’altra.
I dissensi con il DECS
La Domenica ne ha riferito il 23 giugno scorso, dopo essere stata contattata dagli studenti di tre classi allarmati per l’accaduto. Un fulmine a ciel sereno? In realtà tra Caruso e la Divisione della formazione professionale, a cui fanno capo le SPAI, era in corso da alcuni mesi un contenzioso legale. A un ammonimento formale nei confronti del docente era seguito da parte di quest’ultimo un ricorso al TRAM (ancora pendente) e una denuncia a carico di due funzionari per diffamazione al Ministero Pubblico. «Tutto è nato da delle situazioni di disagio lamentate da diversi allievi, di cui mi sono fatto portavoce presso la Divisione» racconta l’insegnante. «La reazione non è stata quella che mi aspettavo. Il Dipartimento ha preso provvedimenti sulle tematiche sollevate - tra le altre cose, anche con una sanzione, ndr. - ma allo stesso tempo mi ha redarguito ufficialmente per avere alzato i toni nel difendere gli studenti».
«Un malessere condiviso»
Caruso sorride mentre sfoglia i documenti che ha portato con sé, ma non nasconde di essere preoccupato. Ha impugnato il licenziamento, tramite il suo avvocato ha chiesto al TRAM una sospensione - «non si vede l’urgenza, non sono state rispettate le procedure e il mio diritto di essere sentito» - e di essere reintegrato a settembre in servizio, in attesa del giudizio. Le sue speranze di tornare sui banchi di scuola però sono appese a un filo. Sul caso l’Ufficio di conciliazione del personale esprimerà un «parere non vincolante» nel corso dell’estate ma la decisione finale spetta al Consiglio di Stato - che ha già prospettato al docente il licenziamento.
«Ho l’impressione che il verdetto sia già stato emesso prima ancora di ascoltarmi, e che nessuno, in realtà, abbia intenzione di chiarire cosa non va all’interno della scuola» dice con amarezza il professore di elettrotecnica. «Questa è la ricompensa per avere veicolato, per altro seguendo i canali ufficiali preposti, un malessere diffuso all’interno del nostro istituto e condiviso dagli allievi e da altri docenti». Il sindacato OCST in effetti - come già riferito - nei mesi precedenti al licenziamento aveva incontrato un gruppo di insegnanti della SPAI, che avevano espresso malcontento rispetto alla gestione della scuola e al clima di lavoro. Alle segnalazioni inoltrate al DECS è seguito, a pochi giorni della fine dell’anno scolastico, il prospettato licenziamento di Caruso - che nella sua battaglia legale è sostenuto dal sindacato.
«Ringrazio i miei allievi»
Caruso parla e il discorso torna spesso lì: alla mattina del 5 giugno, quando in una pausa nell’attività didattica il direttore della scuola «si è avvicinato a dirmi che potevo prendere le mie cose e andare a casa, e che la lezione l’avrebbe terminata lui». Una modalità «all’americana» che ha lasciato di stucco gli studenti prima ancora del professore (Caruso ha comunque deciso di rimanere in cattedra fino alla fine della giornata).
«È un’esperienza dolorosa - racconta l’insegnante - ma la cosa che mi fa più male è il fatto che non si è tenuto conto minimamente delle esigenze degli allievi. Mi è stata tolta la possibilità di salutare studenti e colleghi, di spiegare o rettificare le valutazioni di fine anno. Un provvedimento del genere, per altro in assenza di qualsiasi giustificazione operativa, di rischi per l’incolumità o integrità di qualcuno, è un messaggio molto negativo in un contesto che dovrebbe coltivare l’educazione delle future generazioni».
Un messaggio interpretato come una minaccia, almeno a giudicare dalle email che hanno continuato ad essere indirizzate alla redazione dagli allievi (una classe seconda, che si somma a due quarte e una terza già espressesi in passato) e da colleghi ed ex colleghi dell’insegnante. Una ventina di questi - vedi l’articolo a fianco - hanno condiviso una lettera di solidarietà consegnata alla redazione con tanto di firme. Dalle loro testimonianze emerge un clima di tensione all’interno dell’istituto. «A scuola serpeggia la paura» riassume Caruso con i modi schietti che gli sono costati - forse - il posto di lavoro. «Ci tengo a ringraziare i colleghi che, in questa situazione pesante, mi sono stati vicino. E ringrazio soprattutto i miei allievi. Quello che faccio lo faccio per loro. Spero di poterli rincontrare presto».
La lettera dei colleghi
«Dopo avere appreso quanto successo al nostro collega del CPT di Mendrisio, ci teniamo ad esprimere tutta la nostra solidarietà per quello che sta affrontando». Firmato, una ventina di insegnanti provenienti in gran parte dallo stesso istituto, ma anche da altre cinque sedi scolastiche sparse per il Ticino. Si fanno avanti i colleghi di Roberto Caruso, non tanto per entrare nel merito della diatriba tra il docente licenziato e la scuola ma - scrivono - per «le modalità e tempistiche in cui un provvedimento tanto severo è stato emanato». Un provvedimento che, sottolineano, «non è chiaramente inerente ai problemi con gli allievi».
Non capita spesso. I licenziamenti nella scuola ticinese si contano in media sulle dita di una mano: quattro dal 2020 a oggi quelli intervenuti a seguito di malattia o infortunio di lunga durata - lo ha riferito il governo in risposta a un’interrogazione della deputata Giulia Petralli, a gennaio - mentre sono ancora più rare le disdette per motivi disciplinari.
Il DECS non si esprime su singoli casi. E questo «a tutela delle persone direttamente coinvolte e a maggior ragione mentre i casi sono ancora aperti» spiegano dal Dipartimento. In assenza di comunicazioni, però, lo sconcerto aumenta tra i colleghi. Che si dicono preoccupati «per il fatto che il docente non abbia avuto possibilità di proferire parola» e perché «quello che è successo a lui potrebbe succedere a chiunque». Da una serie di messaggi privati girati alla redazione, a margine della lettera, si evince un senso di precarietà. «In un sistema dove molti colleghi si sentono insicuri per la loro posizione, avendo incarichi che vanno rinnovati di anno in anno, la notizia desta ancor più preoccupazione» scrive ad esempio un docente. «Il diritto a essere sentiti e a un’inchiesta che accerti i fatti dovrebbe essere garantito a chiunque» conclude la missiva.
Il fatto di avere appreso del licenziamento durante le vacanze, o poco prima, è per molti motivo ulteriore di frustrazione. La notizia è circolata dopo la chiusura della scuola, altrimenti sarebbe stata discussa - verosimilmente - all’interno del plenum dell’istituto. Cosa che non è successa. Se ne riparlerà a settembre.