Arte

L’universo grottesco di Renzo Ferrari

Il viaggio pittorico di un artista nomade che indaga le tensioni del nostro tempo, tra sguardo collettivo e bilancio personale
Renzo Ferrari nasce a Cadro nel 1939. A Milano frequenta il liceo artistico e poi l’Accademia di Brera. Nel 1962 tiene la sua prima personale alla Galleria delle Ore. Nomade per natura, la sua pittura s’impone per forza e libertà espressiva.
Francesco Pellegrinelli
02.03.2025 15:30

Con il titolo «Biopsia e Facezie» aprirà mercoledì alle 18 allo spazio espositivo La Cornice di Lugano, in via Giacometti, la personale del pittore Renzo Ferrari (Cadro, 1939). La mostra raccoglie una trentina di opere, su carta e tela, dipinte prevalentemente nel 2024. Un viaggio pittorico che esplora le tensioni del nostro tempo con una sensibilità acuta, sospesa tra ironia e riflessione esistenziale.

Angelo Armageddon (2024) è un pregevole acquerello di Renzo Ferrari popolato di figure primitive spazialmente dominate da un angelo dagli occhi cavi che, in segno di protesta e sfinimento, se ne sta seduto in mezzo a un’umanità derelitta. È la visione di un presente spaventoso, forse la dichiarazione ultima di un mondo in cui le atrocità hanno preso il sopravvento. È la gravosità del tempo presente raccontato in immagini, la riflessione di un artista che vive con le antenne tese, che si fa attraversare dalla realtà storica per rielaborarla in visione. È l’atto di resistenza di un uomo, di un intellettuale, di fronte alle immagini che scorrono sugli schermi e che anestetizzano, giorno dopo giorno, le nostre coscienze.

I due movimenti

Sorprende - ma in fondo non dovrebbe sorprendere - l’altissimo grado di autonomia linguistica di quest’opera esposta fino al 5 aprile insieme a una trentina di altri lavori, perlopiù acquerelli e alcune tele, raccolti sotto il titolo «Biopsia e Facezie». Spiega Ferrari: «Biopsia è la volontà di indagare il nostro presente collettivo e personale. È il tentativo di perforare la corazza e di entrare sottopelle per vedere che cosa si nasconde. Le Facezie si muovono in senso opposto: è la volontà di alleggerire la gravosità del tempo presente con spunti ironici». Un tentativo di dribblare (o di fissare?) ciò che di oneroso accompagna le nostre vite, percorse da guerre e crisi globali. La pittura diventa così per Ferrari un duplice strumento, al contempo, di analisi e sublimazione.

Il filo conduttore

Due movimenti opposti che tuttavia condensano in egual misura il tipico contrappunto ferrariano, ironico e tagliente, sardonico e drammatico. Due movimenti che trovano nella tecnica dell’acquerello - vero filo conduttore della mostra - un validissimo alleato, forse quello più congeniale per mettere a fuoco il pensiero dell’artista nella forma dell’essai, inteso come tentativo di raccontare, con gesto autentico e personalissimo, il presente. «L’uso dell’acquerello, con le sue trasparenze e la sua leggerezza, mi aiuta a trattare temi complessi con un approccio meno oneroso, cercando di trovare un equilibrio tra profondità e ironia». Di più: la leggerezza dell’acquerello è anche quella dell’angelo seduto che ha issato bandiera bianca.

La tavolozza rivista

Al riguardo, anche la luce e il colore sembrano coerentemente obbedire a questa impostazione; non del tutto nuova, in realtà, quando Ferrari opta per l’acquerello. In questi casi, l’impronta timbrica che ha segnato gran parte della sua produzione recente lascia spazio a una tavolozza più rarefatta e contenuta: «Cambiare timbro, significa ridefinire la propria prospettiva», avverte Ferrari. Un’evoluzione evidente in opere come Dell’estate, dove il giallo tenue evoca una dimensione più intima, forse di bilancio personale.

Realtà e virtuale

Venendo ai temi, di particolare interesse per la sua strettissima attualità, va evocato – accanto alle Figure sospese, agli Armageddon, ai Desaster, cicli che costituiscono la variegata cosmologia dell’universo ferrariano – la serie delle figure robotizzate, umanoidi che attraversano la scena interrogandoci sulla relazione tra reale e virtuale. Un tema caro a Ferrari, presente sin dagli esordi della sua pittura più matura, che ancora oggi si conferma cruciale e ricco di inedite declinazioni. «Al culmine delle conquiste tecnologiche, abbiamo l’irresistibile impressione che ci manchi qualcosa, non perché l’abbiamo persa (la realtà?) ma perché non riusciamo più a vederla». Ferrari cita Baudrillard, invitandoci a riflettere sul ruolo dell’uomo in un’epoca di trasformazioni radicali, sempre più dominata della tecnologia. «Nelle mie opere compaiono spesso manichini, figure robotizzate, simboli di un’umanità in transizione».

Figurazione e umanesimo

In questo contesto, la scelta ostinata della figura e della figurazione, che Ferrari ha perseguito con determinazione per oltre cinquant’anni, acquista un significato inedito. «Oggi – spiega l’artista – l’idea stessa di una presenza antropomorfa nel quadro diventa una sfida. L’intelligenza artificiale e le nuove tecnologie stanno ridefinendo il concetto di umano e di umanesimo. Nel mio piccolo, cerco di esplorare questa tensione attraverso la pittura, convinto che le visioni iperumaniste alla Musk assomiglino più a un presagio inquietante che a una vera conquista».

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