Società

Ma i libri hanno ancora un futuro? La parola a Gian Arturo Ferrari

A tu per tu con l'ex direttore della divisione Libri Mondadori, a Lugano per un incontro in collaborazione con la Fondazione Möbius
© CdT/Chiara Zocchetti
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
18.06.2023 14:00

Giacca e cravatta impeccabili, sorriso smagliante e occhi guizzanti. Gian Arturo Ferrari, ex direttore dal 1997 al 2009 della divisione Libri Mondadori, si presenta così a chi è venuto ad ascoltarlo alla Biblioteca cantonale di Lugano per sapere se i libri hanno ancora un futuro. Di sicuro, «i libri non sono eterni - ha precisato subito Ferrari, mettendo bene in chiaro il taglio dell’incontro organizzato dalla Biblioteca in collaborazione con la Fondazione Möbius di Lugano -. Non sono eterni anche se la maggior parte di scrive pensa esattamente il contrario, di scrivere per restare per sempre, di scrivere per lasciare qualcosa di suo o una parte di sé in questo mondo». Non sono eterni per il semplice fatto «che i libri scritti  negli anni ‘50 del Novecento non si trovano semplicemente già più». Scomparsi per sempre. Esattamente il contrario di quello che si aspettano gli scrittori diventati tali per rimanere nel tempo.

«Spietato? Sono solo realista»

Un dato è però certo. Gian Maria Ferrari non guasta la festa solo agli aspiranti autori e alle loro ambizioni, ma anche all’editoria italiana, se è vero, come è vero, che con il suo ultimo libro Storia confidenziale dell’editoria nazionale, pubblicato l’anno scorso con Marsilio, smonta, pezzo dopo pezzo. Quell’aurea di intoccabilità dell’editoria italiana. Editoria che quando pubblica «libri su stessa assume i contorni dell’agiografia». Tutto il contrario di quel che fa Ferrari. «Spietato? No, il mio libro è solo realistico», ha risposto a Stefano Vassere, direttore delle Biblioteche cantonali che si è divertito a pungolare più volte l’autore del libro. oggi 79enne, che nella sua vita è stato anche professore di Storia del pensiero scientifico all’Università di Pavia. Non è insomma colpa di nessuno se «Arnoldo Mondadori era un fascista per convenienza» o se lo stesso Mondadori e Angelo Rizzoli «che erano entrambi tipografi nella loro vita prima di creare le loro case editrici non avevano letto  neppure un libro, giacché avevano entrambi la quinta elementare».  

Non è colpa di nessuno, ma Ferrari lo dice. Così come non esita a definire stridula la voce di Giulio Einaudi, fondatore dell’omonima casa editrice. Un uomo, Einaudi, che amava circondarsi da belle ragazze giovani e che «nel Dopoguerra grazie al segretario del Partito comunista di allora, Palmiro Togliatti,  pubblicò l’opera intera di Antonio Gramsci, consacrandosi come editore». 

Tra rivoluzioni e dialetti

Meriti e demeriti. Ferrari racconta, non fa sconti a nessuno. Nemmeno al suo Paese. «Perché in Italia si vendono più libri rispetto, ad esempio, alla Francia? Semplice. La Francia si è unificata nel 14esimo secolo, ha avuto una Rivoluzione e soprattutto Napoleone che ha introdotto i Codici». L’Italia dal canto suo «è un Paese nato solo nel 1870 che ha sviluppato una rivoluzione industriale molto tardi e che ha ancora un’accentuata cultura dialettale, dato che gran parte della popolazione si esprime ancor a in dialetto in famiglia e sul posto di lavoro». In più è cattolico. Una discriminante, secondo Ferrari. In quanto i cattolici «a differenza dei riformati non hanno avuto accesso alla lettura delle sacre scritture. La Bibbia in volgare era all’indice, ricordiamolo». 

Ciò non toglie che in Italia «ogni anno vengano lanciate più di 500mila novità libraie».  Novità che non sono altro che «tentativi per riuscire a intercettare una tendenza» e quindi venderà a palate. Come del resto è successo a Salani con Fabbricante di lacrime, libro scritto da Erin Doom (che è uno pseudonimo) che ha venduto l’anno scorso 450mila copie. Un romanzo di successo che Ferrari  se fosse stato ancora in Mondadori non avrebbe però pubblicato. «L’ho trovato noioso, inutile e ripetitivo», il suo commento sincero. Così come altrettanto sinceramente ha aggiunto: «Non pubblicandolo avrei sicuramente arrecato un danno enorme alla mia casa editrice». 

Le macchine e il libro digitale

Vendere e ancora vendere. Sembra essere questo l’assillo di chi media tra pubblico e autori, le case editrici, appunto. Un assillo, secondo Ferrari, che ha un’origine ben precisa, ovvero «nell’editoria industriale che fondandosi sulle macchine ha la possibilità di stampare migliaia di copie a costi inferiori». Un assioma che porta a un ragionamento seguente. Se si hanno tante copie bisogna però ancora venderle. Da qui l’esigenza di intercettare i gusti del pubblico, meglio, la nuova tendenza capace di assorbire tutte quelle pagine di carta. «Il pubblico nasce dall’editoria industriale che produce più libri da vendere», è la sentenza. 

E a proposito di carta, l’ex direttore della divisione Libri Mondadori, che in realtà è stato anche  stretto collaboratore di Paolo Boringhieri, direttore dei Libri Rizzoli e dal 2010 al 2014 anche presidente del Centro per il libro e la lettura, presso il ministero dei Beni e delle Attività culturali, non ha fatto mistero di essere un lettore digitale. «Non ho problemi a leggere E-Book o Kindle, il problema è che penso di essere tra i pochissimi che lo fanno, perché il cambiamento che si pensava potesse arrivare in realtà non si è verificato in nessuna parte del mondo, nemmeno negli Stati Uniti». Il motivo? Nessuno lo sa. Neppure Ferrari. «Ce lo dirà il futuro», ha sottolineato sibillino. 

Libri solidi come rocce

Quel che è certo è che «la storia della tecnologia è fatta anche di strade senza uscita. L’idea che abbiamo della tecnologia è semplificata, pensiamo che ogni innovazione sia nuova per forza. Non è detto che sia cattiva, diciamo che nei confronti della tecnologia abbiamo sempre una grande apertura di credito. Inoltre, crediamo che sia sempre istantanea e che distrugga tutto quello che l’ha preceduta. Ma questa è ideologia, questa visione non corrisponde alla realtà». Tutto questo smontando anche un’altra certezza, granitica pure quella. «Al di là di quello che possiamo pensare non siamo capaci di vedere il futuro» e quindi «non possiamo nemmeno immaginare quali saranno gli sviluppi della tecnologia». 

Non resta quindi che aggrapparsi al concreto. «Al libro che è indipendente dalle forme tecnologiche con il quale si presenta», ha affermato Ferrari. «I libri sono solidi come la roccia, tutte le cose veramente importanti ancora oggi passano dai libri», la sua convinzione. Ecco perché, secondo Ferrari, bisogna semplicemente tornare all’essenza dei libri senza cercare altre strade magari senza uscita. «Prendiamo ad esempio la Feltrinelli, che è la più grande libreria italiana, ecco l’idea di creare delle librerie con dei bar all’interno io la giudico sbagliata. Le persone non leggeranno di più perché possono anche bersi un caffé girando tra gli scaffali».

Ferrari si ferma. Ascolta le domande del pubblico che ha raggiunto la Biblioteca di Lugano. Risponde a tutti e sorride. «Devo andarmene tra mezz’ora - dice nel suo vestito impeccabile  e con gli occhi guizzanti- ma resterò qui con voi fin quando mi farete tutte le domande che vorrete».