Malumori in fondo al tunnel
C'è un numero che, pronunciato, basta a far scuotere le teste ai minatori di Airolo: 7-2-7-3-5-4. Seduti fuori dall’ex albergo Alpina, fumano e contano i giorni. Sette di lavoro, due di riposo, sette di lavoro, tre di riposo, cinque di lavoro, quattro di riposo.
«È una vitaccia - ripetono - siamo tutti d’accordo». I turni nel cantiere del Gottardo sono regolati da una formula immutabile, come la risposta fornita nei giorni scorsi dalla SECO ai sindacati: così è, e non si cambia. La voce si è sparsa nel cantiere e le facce dei minatori, che aspettano la navetta per il tunnel, sembrano stanche e rassegnate.
La petizione
I malumori covano già da qualche mese, in realtà. Una petizione circolata a febbraio tra gli operai della seconda canna, a favore di «nuovi turni» e di una maggiore «conciliazione vita-lavoro» è stata consegnata ai sindacati e alla Marti Tunnel - l’azienda appaltatrice del cantiere - ma il vero destinatario erano le autorità federali. Dopo una serie di irregolarità emerse durante il cantiere Alptransit nel Ceneri (2006-2020) le regole nel settore si sono fatte più rigide: deroghe che erano «normali» nelle gallerie fino a pochi anni fa, ora non vengono più concesse.
A beneficiarne, in teoria, sono proprio i lavoratori. Ma questi ultimi non sono molto contenti: almeno a giudicare dalle facce fuori dall’ex albergo Alpina. «Il problema è che non si tiene conto della realtà dei cantieri» riassume un operaio valtellinese, che ha appena staccato dal turno mattutino (6-14). «La maggior parte di noi viene da lontano, fuori dal Ticino. Applicare i regolamenti come se vivessimo qui nella Valle significa ignorare la realtà».
Agrigento-Airolo
Dallo spogliatoio dove si cambia a fine turno, per arrivare alla soglia di casa sua Giuseppe Buongiovanni impiegherà più di otto ore. In treno fino a Lugano, poi Malpensa e l’aereo per Palermo. Poi altre tre ore in treno o due in bus fino al suo paesino vicino ad Agrigento.
«Molto varia in base alle coincidenze ma sì - sorride - è un lungo viaggio ». Al cantiere di Airolo non è una rarità: i minatori che scavano la seconda canna del Gottardo vengono da Sud Italia, Portogallo, Est-Europa. Dalla Valtellina - 3 ore - quelli che fanno meno strada. Per molti la turnistica «spezzettata» (o a «spezzatino» come scherza qualcuno) significa poter vedere i propri familiari una volta al mese, o anche meno.
«Un lavoro difficile»
Negli ultimi dieci mesi Buongiovanni è «sceso» solo cinque volte a visitare moglie, figli e nipotini. «Devo prendere delle ferie però, con i soli giorni di riposo non ha senso» spiega mentre armeggia con la tuta arancione nello spogliatoio dietro l’ex albergo, dove tre piani di alloggi prefabbricati ospitano una ottantina di operai. La maggior parte sono arrivati in autunno, per i lavori preparatori alla galleria principale. Gli scavi veri e propri (con la «fresa» lunga duecento metri) inizieranno l’anno prossimo e gli operai impiegati ad Airolo saliranno a 225.
«Storicamente la manodopera straniera è prevalente nel settore delle gallerie e questo vale anche per la seconda canna del Gottardo» spiega Gianluca Bianchi, sindacalista di UNIA che segue il cantiere fin dall’inaugurazione e conosce i lavoratori uno a uno. «Vengono quasi tutti da molto lontano, cambiano periodicamente luogo di lavoro e la difficoltà nel visitare le famiglie rimaste a casa aggiunge un grande peso a un mestiere già faticoso».
Le macchinate nel weekend
Per Marian Vcelka, 40 anni, la navetta che lo scaricherà davanti alla voragine nella montagna è l’ultima della settimana: poi con tre connazionali farà una «macchinata» fino a Bratislava, dove lo aspettano moglie e due figli piccoli. Il viaggio è di dieci ore e per la guida «ci organizziamo a turni» spiega Marian. Ma il turno che gli piacerebbe di più è un altro: il «9-5» oppure «8-6» sul cantiere gli permetterebbe di godersi di più la famiglia e riprendersi dalla lunga strada. «Ogni volta quasi 24 ore se ne vanno solo per il viaggio».
Quando si dice «fare una vita da minatore» la fatica del viaggio - ad Airolo c’è chi guida due notti, andata e ritorno, per trascorrere una domenica in famiglia - non è la prima cosa che viene in mente. Ma la luce in fondo al tunnel sono i propri cari rimasti «al paese»: lo sa bene Pietro Messuti, meccanico di Potenza, che ha seguito le orme del padre e degli zii («in famiglia erano tutti minatori») verso le montagne del nord. Il Gottardo e prima il Ceneri, dal 2011 al 2015. «Allora avevamo cinque giorni di riposo ogni nove e tornare a casa era più semplice. Ora non so perché non è più possibile».
Il «niet» della SECO
La risposta è contenuta in un opuscolo distribuito dalla SECO e girato a La Domenica dalla portavoce Françoise Tschanz. È irremovibile: «I periodi di sette o più giorni consecutivi di lavoro devono essere assolutamente vietati». Dopo avere ricevuto la petizione a febbraio - con le firme di ... operai impiegati negli scavi di Airolo - il sindacato e l’azienda appaltatrice hanno presentato a Berna una richiesta di deroga ma l’accoglienza, anticipata in un incontro a fine giugno con i funzionari federali, è stata negativa.
«Analizzeremo la richiesta» annuncia Taschanz, ma precisa: «Le disposizioni di legge sono imperative. Le deroghe sono escluse anche se lavoratori e datore di lavoro sono d’accordo». La luce in fondo al tunnel, per gli operai del Gottardo, è ancora lontana.