Chirurgia

«Molti dal Ticino vanno in Italia a cambiare sesso»

«Negli ospedali svizzeri la qualità delle operazioni di genere è troppo bassa» — Intervista a Lynn Bertholet, fondatrice e presidente di EPICENE, associazione che si occupa di sostenere e informare le persone trans e i loro familiari
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Davide Illarietti
19.11.2023 15:01

Le persone trans in Svizzera affrontano ancora molte difficoltà e discriminazioni, sia nel campo medico che in quello sociale e lavorativo. Secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica (UFS), nel 2022 sono state ospedalizzate 486 persone per una o più operazioni di affermazione del genere. Nel 68% dei casi, l’operazione aveva lo scopo di cambiare sesso da donna a uomo, e nel 32% dei casi da uomo a donna. Lynn Bertholet, fondatrice e presidente di EPICENE, associazione che si occupa di sostenere e informare le persone trans e i loro familiari, spiega che «il numero di casi è aumentato assieme ad un ringiovanimento delle persone che fanno questo tipo di interventi, perché ora c’è più informazione a disposizione e più medici informati». Tuttavia, aggiunge, «in Svizzera abbiamo una qualità molto bassa delle operazioni, perché non c’è alcuna esigenza di formazione specifica per i medici. Quindi abbiamo dei praticanti che sono chirurghi plastici, ma anche chirurghi della mano, non si sono specializzati in questo ambito della chirurgia».

Per questo motivo, molte persone trans decidono di andare a operarsi all’estero, dove ci sono cliniche specializzate e maggiori garanzie. «Noi non possiamo consigliare ospedali svizzeri perché il livello è troppo basso e il rischio che l’operazione non abbia successo è molto alto». Tuttavia, riflette Bertholet, «il problema è che le operazioni di riassegnazione dei caratteri sessuali primari, cioè vaginoplastica o falloplastica, richiedono seguiti post-operatori su una lunga durata. E se l’operazione è avvenuta fuori dai nostri confini, non si può svolgere il seguito post-operatorio per un intero anno all’estero», ha sottolineato Bertholet.

In viaggio verso l’intervento

Normalmente nel sistema della cassa malattia di base (LAMal), «se nella propria regione vi è un ospedale che può svolgere interventi chirurgici, dobbiamo sottoporci all’operazione nel nostro Cantone. Tuttavia abbiamo osservato che i medici cantonali vodesi e ginevrini validano le operazioni fatte in altri cantoni perché sono abbastanza consapevoli che per ora, il livello della chirurgia, è abbastanza basso. Questo spinge le persone che hanno i mezzi ad andare in altri Paesi, so ad esempio che molte persone in Ticino vanno a Milano». Dunque la situazione è molto complicata e, analizzando i numeri riferiti dall’UST, «delle 486 persone che si sono sottoposte ad interventi noi non sappiamo esattamente il numero di operazioni di vaginoplastica e di falloplastica e non sappiamo neanche quanti sono i casi di seconda, terza o addirittura quarta operazione: la nostra associazione ha conoscenza di persone che hanno fatto 8-9 interventi a causa delle complicazioni dovute al basso livello chirurgico».

E allora come risolvere questa apparente falla del sistema? La World Professional Association for Transgender Health, l’associazione che stabilisce gli standard di presa a carico delle persone trans, ritiene che un minimo è 24 operazioni per anno per tipo di riassegnazione in un ospedale. «Quindi 24 fallo plastiche e 24 vaginoplastiche: nessuno dei medici in Svizzera ha questi numeri è per questo che stiamo lavorando gomito a gomito con un’altra associazione per la creazione nel nostro Paese di un centro specializzato in queste tipologie di interventi. E poi stiamo lavorando per far riconoscere questo tipo di chirurgia come altamente specializzata».

Discriminazione sociale e mercato del lavoro

Bertholet ha poi denunciato la discriminazione che le persone trans subiscono nel mercato del lavoro e nella società in generale. «Il tasso di disoccupazione tra le persone trans è sei volte più elevato che tra le persone cisgender. E molte aziende dicono che, a competenza uguale, non vogliono assumere delle persone trans». E quando si fa una transizione durante la vita professionale? «C’è quasi una persona su tre che perde il suo lavoro e non lo ritrova in seguito. Quindi è un’autostrada per l’aiuto sociale». Bertholet ha anche raccontato la sua esperienza personale: «Io ho perso il mio lavoro e la mia convinzione è che ciò fosse legato alla mia transizione, perché non mi hanno mai dato altre spiegazioni. Era da undici anni che mi trovavo in quel posto di lavoro e davo corsi all’università da 18 anni: dunque era inspiegabile un licenziamento senza motivazioni».

Ma non è stata l’unica. Anche altre persone in altri settori dell’industria, che ad oggi fanno parte dell’associazione, hanno perso il loro impiego dopo una transizione. Fortunatamente «di tanto in tanto ci sono anche belle storie, come quella di Laura, una donna affascinante che ha tre figli che la adorano e la chiamano papà! Ma abbiamo bisogno di più storie belle e meno storie difficili», ha commentato.

Gli attacchi politici e legislativi

E a non aiutare è spesso la politica. Bertholet ha denunciato gli attacchi politici e legislativi che le persone trans subiscono in Romandia da parte di alcuni gruppi di destra e di estrema destra. Cita come esempi i tweet di Jean-Luc Addor e Marc-Olivier Buffat, che affermano «senza fondamento» che l’aumento dei premi sanitari è dovuto alle operazioni transgender, e una proposta di legge presentata a Ginevra da Yves Nidegger, che vieterebbe il trattamento e il sostegno dei minori trans e obbligherebbe chiunque sia a conoscenza di tali casi a denunciare gli operatori sanitari e i loro genitori. «È una legge che è contro la Costituzione ginevrina, contro la Costituzione federale, contro la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e contro la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia. Ma è lì. Tocca molto i giovani che seguiamo, perché si sentono attaccati», dice Bertholet. Aggiunge che questi attacchi sono un preludio a quello che potrebbe succedere a livello nazionale, seguendo l’esempio di altri paesi come gli Stati Uniti o la Francia, dove le persone trans sono state messe in una situazione di grande marginalità e vulnerabilità: «Sembra quasi che siamo tornati indietro nel tempo invece che progredire. Come quando durante il mio periodo di transizione venni fermata dalla polizia in auto, era fine settimana, ero vestita da donna, loro guardando i miei documenti mi chiamavano «Signore» e insistevano in modo aggressivo anche se chiedevo loro di essere chiamata al femminile».

Le attività e le iniziative di EPICENE

Per contrastare queste difficoltà e discriminazioni, Bertholet riflette sulle numerose attività e iniziative che EPICENE svolge in favore delle persone trans e dei loro familiari. L’associazione offre sostegno e informazione individuale e collettiva, attraverso gruppi di parola, consulenze legali e psicologiche, e difesa dei diritti. Inoltre, EPICENE partecipa a molte formazioni nei centri medici, scolastici e di polizia, per sensibilizzare e informare i professionisti sulle questioni legate alla transidentità. «Noi cerchiamo di dare dei consigli, di partecipare alle formazioni, di fare dei seminari e dei colloqui internazionali sulla salute delle persone trans. Ci sono dei professionisti che cominciano a rendersi conto, che ci chiedono di essere informati o di essere indirizzati verso dei colleghi competenti. Ma siamo ancora all’inizio», conclude Lynn Bertholet.

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