Nel Principato dei frontalieri

Un matrimonio al municipio di Vaduz. Gli sposi stanno per uscire, fuori i colleghi di lui aspettano in due file ordinate, vestiti eleganti, sorrisi. Approfittiamo per fare la conta: quanti vivono in Liechtenstein? Solo cinque alzano la mano. Gli altri dieci sono venuti dalla Svizzera.
«Non è una cosa strana» racconta un’invitata di San Gallo. «Ci metto dieci minuti a venire al lavoro». Un’altra è di Stoccarda, ma quando ha trovato impiego a Vaduz ha preso casa oltre confine. «Ottenere il permesso di residenza è difficile - spiega - poi qui gli affitti costano di più». Nel Principato i frontalieri sono il 54 per cento della forza lavoro: su 23 mila, 13 mila vengono dalla Svizzera.
Un matrimonio felice
Tra i paesi confinanti con la Confederazione, il Liechtenstein è l’unico verso cui le auto si mettono in coda la mattina ed escono la sera, anziché il contrario. Nel centenario del Patto doganale del 1923 - cade quest’anno - le rispettive autorità si sono scambiate complimenti per i successi ottenuti. Nessuna polemica, nessun «prima i nostri». Ma è davvero tutto oro quel che luccica?

«Zitti, arrivano gli sposi». Al posto del riso gli invitati tirano fuori dei bastoni bianco-rossi, li brandiscono in aria formando una specie di corridoio. Una tradizione locale? No. «I bastoni servono a prendere le misure nei cantieri» spiegano i colleghi dello sposo, un ingegnere edile liechtensteiniano. «Facciamo sempre così quando uno di noi convola a nozze». L’atmosfera è un po’ da rito di iniziazione. La sposa, sussurrano gli invitati, è svizzera: dopo la cerimonia avrà diritto a un permesso di residenza a vita e alla cittadinanza dopo sei anni.
Raddoppiati in vent’anni
Il matrimonio è uno dei pochissimi modi per diventare «immigrati» in Liechtenstein. Il Principato è il Paese più restrittivo in Europa in materia. È anche il secondo con il più alto PIL pro capite (95 mila franchi secondo l’FMI) dopo il Lussemburgo (102 mila) e prima della Svizzera (73 mila). Ma non sono i salari ad attirare i frontalieri svizzeri. «Considerando le imposte alla fonte, le retribuzioni nette per chi lavora nel nostro Paese ma vive nel canton San Gallo non sono molto diverse da quelleche percepirebbe oltre confine» spiega Thomas Lorenz, economista del think tank Stiftung Zukunft. In un recente studio, ha rilevato che negli ultimi 15 anni i pendolari con passaporto rossocrociato sono aumentati del 30 per cento (a 8 mila unità). All’inizio del millennio i frontalieri erano circa 10 mila, ora sono 23 mila considerando anche quelli dalla vicina Austria e dalla Germania.
Un motivo ci sarà, o anche più d’uno. «La nostra economia è diventata sempre più attrattiva, anche grazie alle basse tassazioni per le aziende, ed è decisamente sovradimensionata in rapporto alla popolazione residente» spiega Lorenz. Un dato su tutti: il numero di posti di lavoro nel Principato l’anno scorso ha superato per la prima volta quello degli abitanti: 42 mila contro 39 mila. «Senza frontalieri il sistema non starebbe in piedi» sintetizza Lorenz.
«Qui c’è più lavoro»
Molti arrivano da oltre confine «semplicemente perché qui è molto facile trovare lavoro». Alexandra, 29 enne di Buchs, impiega 10 minuti di bus ad arrivare alla boutique dove lavora, sul corso principale di Vaduz. Guadagna «più o meno la stessa paga» di una commessa in Svizzera ma ha più feste comandate: «Siamo molto cattolici qui, come in Ticino» scherza la titolare del negozio, che per legge paga alla dipendente metà della cassa malati. «Questo è un altro vantaggio rispetto alla Svizzera» sottolinea.

Samira, 21.enne di Altstätten, fa invece oltre un’ora di strada per venire a lavorare nel negozio di fianco, una cartoleria. «Ho fatto una formazione specifica e vicino a casa mia non trovavo niente» spiega. «Se mi sento straniera? Non direi. Qui il trattamento è uguale per tutti».
Meno vertenze sindacali
È d’accordo anche l’unico sindacato del Liechtenstein, il Lanv (Liechtensteinischer Arbeitnehmer Verband). Un migliaio di iscritti, negli ultimi anni le vertenze sono diminuite mentre aumentavano i posti vacanti nelle aziende. «In passato era possibile imbattersi in casi di dumping soprattutto in settori più fragili, come la ristorazione» spiega Lilit Keucheyan nella sede del sindacato a Triesen. «Con il tempo queste situazioni sono praticamente scomparse». L’ampia offerta di lavoro, assieme ai numerosi contratti collettivi e ai controlli nelle aziende, fanno sì che «per qualsiasi lavoratore è piuttosto facile trovare buone condizioni o cambiare impiego quando non si trova bene» sottolinea Keucheyan. «Questo non vuol dire che manchino i problemi».

Oggi ad esempio allo sportello c’è Antonella Gulla, 33 anni, italiana. Assistente di cura in uno spitex del Principato, vive in Svizzera proprio di fronte al confine. Prima lavorava in un asilo ma è stata licenziata al quarto mese di gravidanza, racconta. «Ho scoperto solo dopo che era illegale». A Catanzaro ha studiato giurisprudenza e in sette anni da emigrata - baby sitter, cameriera, addetta alle pulizie - ha imparato che le leggi qui sono diverse «ma i furbetti ci sono dappertutto». Fosse per lei emigrerebbe una seconda volta, attraversando il Reno. «In Liechtenstein i residenti pagano molte meno tasse sul reddito. Trasferirsi è il sogno di tutti» dice.
La lotteria dei permessi
Come fare? Matrimonio a parte, l’unico modo è partecipare a una strana lotteria che si svolge due volte all’anno nell’ufficio degli stranieri di Vaduz. Una trentina di permessi di soggiorno vengono messi a sorteggio, previo il pagamento di una quota di partecipazione di 80 franchi. I nomi vengono estratti da una grossa scatola. Anche Gulla una volta ha partecipato all’estrazione ma dall’altra parte della «barricata», tra i candidati. «Ho perso i soldi dell’iscrizione» racconta sconsolata. Con un po’ più di fortuna avrebbe potuto partecipare al secondo sorteggio (pagando 500 franchi) e chissà, magari oggi non dovrebbe affrontare la colonna di auto per tornare a casa . «Sarà per un’altra volta, riproverò» dice mentre si rimette al volante. In teoria il viaggio è di 5 minuti, in pratica nelle ore di punta ne impiega 45.
Niente esercito
Davanti al municipio di Vaduz, intanto, l’attesa è finita. Gli sposi sono comparsi in fondo al corridoio di bastoni. Lo attraversano a braccetto, la sposa raggiante con in mano il bouquet. «Sono contento per loro, la nostra azienda è come una famiglia» commenta felice Stephan Beck, datore di lavoro dello sposo. «Frontalieri o no alla fine siamo tutti uguali». Ma tenersi stretti i lavoratori specializzati autoctoni come Fabio Stamm, lo sposo, certo non è una sfida facile. «Ho anche il passaporto svizzero» racconta il 22.enne durante il rinfresco fuori dal municipio. Ha scelto di rimanere a Vaduz non tanto per evitare traffico e tasse, spiega, quanto il servizio militare. «Qui non abbiamo l’esercito per fortuna» dice tra il serio e il faceto. «E gli assegni famigliari sono più alti che in Svizzera». Se arriverà un neonato inoltre il Principato regalerà alla coppia un premio di circa 2.500 franchi, come avviene anche in Ticino e in altri 9 cantoni, ma non a San Gallo. Motivo in più per congratularsi con gli sposi: come si dice in questi casi, auguri e figli liechtenstaniani.