L'intervista

«Nella guerra di oggi sono saltate tutte le regole»

Il professor Massimo De Leonardis sul conflitto «fuori controllo» in Medio Oriente: «La risposta di Israele non è proporzionata e l'obiettivo politico è sempre meno chiaro»
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Tommy Cappellini
Tommy Cappellini
06.10.2024 18:00

In Medio Oriente un conflitto «fuori controllo». Ne parliamo con il professor Massimo De Leonardis.

Professor de Leonardis*, che cosa sta leggendo?
«Perché mi fa questa domanda?»

Statistica personale. La pongo a tutti quelli che intervisto. Spero sempre che mi rispondano con un titolo scritto prima del 1945.
«Quelli dopo non vanno bene?»

Meno, anche se il Nomos della terra di Carl Schmitt è del 1950. Ma bisogna ammettere - generalizzo e me ne prendo la responsabilità - che la produzione saggistica confezionata negli ultimi vent’anni è... meno radicale, meno avvincente.
«Beh, pensi, sto leggendo Il Gattopardo».

Per quale ragione?
«È stato sull’onda della morte di Alain Delon. Ho rivisto il film di Visconti e poi ho voluto rileggere il libro. Naturalmente sono alle prese pure con altri titoli, per lavoro. E lei, che cosa sta leggendo?»

Mi è tornato per caso tra le mani Critica della ragion cinica di Sloterdijk. Purtroppo è del 1983. Però contiene un capitolo interessante: «Meditazione nucleare». Se vuole possiamo partire da qui.
«Prego».

Scrive Sloterdijk: «Le etiche belliche moderne hanno eliminato la figura dell’eroe aggressivo perché in contrasto con la giustificazione difensivistica della guerra. Gli eroi moderni voglion tutti essere dei puri soccorritori: Eroi della Legittima Difesa. Il militare si presenta come una sorte di defensor pacis e l’aggressione viene sussunta a mera variante della difesa. Il difensivismo altro non sarebbe, dunque, se non il corrispettivo militare del concetto filosofico di autoconservazione. E quest’ultimo conduce così all’auto-sconfessione d’ogni ordine morale, che, anticipando la cosiddetta ‘emergenza bellica’, procede nell’escalation a grandi bracciate, in un’etica-a-stile-libero». Pare scritto oggi e per l’oggi.
«Già, fonda il mito dei ‘soldati di pace’».

Possiamo usare questo stralcio per un commento sui conflitti in corso?
«È cambiato il modo di iniziare e condurre una guerra. Quando la Russia invase la Crimea nel 2014, l’allora segretario di Stato USA John Kerry disse che Mosca non si poteva comportare come nell’Ottocento, quando era normale che uno Stato ne invadesse un altro per rivendicarne il territorio o una parte di esso. Osservazione corretta nella sostanza, ma che andrebbe aggiornata nella forma. Due secoli fa uno Stato sovrano, semplicemente, esercitava il proprio diritto fondamentale di ricorrere all’uso della forza per obiettivi politici. I freni morali, legati alle religione, erano molto deboli, e il diritto internazionale non proibiva agli Stati l’uso della forza militare. Oggi non è così. La Russia ha giustificato l’invasione in Ucraina col compito di salvaguardare le minoranze russofone soggette ad attacchi del Governo centrale di Kiev, che non rispettava quanto era stato deciso circa l’autonomia di queste regioni. Aveva avanzato più o meno le stesse ragioni per la Crimea. E lo stesso aveva fatto la NATO bombardando la Serbia per il Kosovo».

La NATO sperimenta in Ucraina l'ennesima forma di intervento militare: un conflitto interposto

C’è da dire che dopo il 1945 nessuna guerra è stata più «dichiarata» formalmente.
«Esatto, si fa la guerra ma non la si dichiara. La NATO stessa sperimenta sul fronte orientale una nuova ennesima forma di intervento militare. Durante la Guerra fredda non ha fatto quasi nulla, la sua mera esistenza ha in parte contribuito alla ‘vittoria’ sull’altra parte. Dopo il dissolvimento dell’URSS, la NATO ha compiuto ‘interventi umanitari’ in Kosovo, in Libia... Dietro le motivazioni umanitarie naturalmente ce n’erano delle altre. Ora l’Alleanza atlantica sperimenta un altro tipo di intervento: una guerra interposta».

Dalla quale è scaturito il surreale dibattito sulle armi fornite dalla NATO «solo a scopo difensivo».
«Io condivido le remore sul loro utilizzo, ma dal punto di vista della teoria strategica tale scrupolo non ha senso. Non si è mai visto un aggredito che non aggredisca in risposta».

Tra Israele e Hamas, invece, la teoria «difensivistica» risulta meno persuasiva.
«In Medio Oriente ci troviamo di fronte a una completa degenerazione del concetto di guerra. L’ultima tra Stati fu dichiarata nel 1973 e fu quella dello Yom Kippur: Israele da una parte, Egitto, Siria e alleati dall’altra. Dopo questo conflitto, c’è stata solo violenza organizzata, in un primo tempo sotto forma di intifada, con lanci di pietre e atti di guerriglia. Allo stesso tempo, l’OLP colpiva con atti di terrorismo. Dopo il 2001, le organizzazioni che impiegano il terrorismo si sono moltiplicate, culminando nell’attacco del 7 ottobre 2023».

Qui veniamo al nucleo della nostra conversazione, l’elefante nella stanza: l’idea di «risposta proporzionata». È intorno a questo concetto che si gioca la possibilità di giudicare l’intera vicenda.
«Una risposta militare, oltre che proporzionata, deve rispondere a obiettivi politici. In questo caso l’obiettivo politico non è chiaro. La pretesa di eliminare o distruggere completamente Hamas, e a maggior ragione Hezbollah, è utopistica. Ogni giorno di più sfugge lo scopo politico concreto della risposta militare di Israele: eliminare qualunque tipo di potenziale pericolo dal proprio territorio? Lo scopo non è raggiungibile. Così come quello dei terroristi di Hamas, eliminare l’‘entità sionista’, è impossibile. È una situazione in cui ragionare in termini logici e razionali è estremamente difficile. C’è pure un grande assente ed è l’esercito regolare libanese. Che ruolo ha? L’attacco dell’IDF è contro Hezbollah, che è uno Stato nello Stato, ma colpisce tutto quanto gli sta intorno. La sproporzione è enorme: ad oggi Israele ha subito circa 1.600 vittime, gli avversari 41.000, comprendendo gli innocenti. Per uccidere militanti di Hamas si è distrutta l’ambasciata iraniana a Damasco. Ogni regola è saltata».

«Danni collaterali», si dice a proposito delle vittime civili. Sono leciti oppure no?
«Francisco de Vitoria, un domenicano del Cinquecento, tra i padri del diritto internazionale, si era già posto il problema. Rispondendo che sì, sono leciti, altrimenti si dovrebbe rinunciare a colpire il nemico».

Sulla Difesa UE a Bruxelles coltivano la solita illusione: che creando l'istituzione si crei pure la realtà

Ma l’IDF contro Hezbollah non è un’anomalia?
«Un tempo la guerra si faceva tra eserciti. Se c’erano banditi o terroristi ci pensava la polizia. In questo momento non ci sono più regole. Un combattente legittimo è colui che risponde a una autorità costituita e sovrana. L’IDF lo è, Hamas e Hezbollah non lo sono, alla fine è un tutti contro tutti. Ricordo che anni fa Ernesto Galli della Loggia scrisse che la madre di tutte questi conflitti irregolari è stata la guerra in Vietnam, che ha messo in crisi il diritto internazionale. Ma c’erano già stati precedenti con la repressione dei guerriglieri filippini dopo la guerra ispano-americana del 1898».

Ma le organizzazioni internazionali?
«Durante la Guerra fredda i conflitti locali venivano inseriti in una logica bipolare, se lo riteneva conveniente una delle due superpotenze metteva il veto all’ONU e tutto restava in fragile equilibrio. Poi l’ONU ha attraversato un periodo in cui è passata dal peacekeeping al peace-enforcement, all’imposizione della pace. È durato poco. Oggi può solo approvare risoluzioni che non ha il potere di fare rispettare».

Si va dunque verso una Difesa UE?
«Se con questo intende che gli europei diventeranno capaci di difendersi autonomamente, sono d’accordo con quanto disse il ministro della Difesa italiano Lorenzo Guerini: è un’idea romantica. La von der Leyen la persegue in puro stile Bruxelles: ha creato un Commissario alla difesa, coltivando la solita illusione che creando l’istituzione si crea anche la realtà. Dal Dopoguerra in poi l’UE ha sposato, consenzienti gli americani, il concetto di potenza civile. Vuol dire che non considera il parametro militare come fondamentale per proiettare influenza e potere. Adesso cerca di spostarsi faticosamente dal welfare al warfare. Ma passare dalle parole ai fatti è lunghissimo».

Massimo De Leonardis è professore ordinario di Storia delle relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro cuore di Milano, dove è stato per 12 anni direttore del Dipartimento di Scienze politiche. Componente della Giunta storica nazionale italiana. Presidente dal 2015 della International Commission of Military History. Dal 2007 Consigliere Scientifico per l’area umanistica del Capo di Stato maggiore della Marina militare italiana. Dal 1999 coordinatore per la storia al Master in Diplomacy dell’ISPI. Membro della European academy of Sciences and arts. Tra i 27 suoi volumi pubblicati, di molto interesse è: "Ultima ratio regum. Forza militare e relazioni internazionali", 2017, Monduzzi editoriale.

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