L'analisi

Netanyahu fa i conti con i falchi

Eliminati Sinwar e Nasrallah, il premier israeliano promette di andare avanti fino alla vittoria totale
Guido Olimpio
20.10.2024 06:00

È scomparso il nemico numero uno, Yahya Sinwar, ucciso nella trappola di Gaza, fine preceduta da quella del nemico numero due, Hassan Nasrallah, scovato nel bunker sotterraneo di Beirut. Il primo eliminato «per caso» durante un’operazione di routine, il secondo centrato da una missione sofisticata. Due destini uniti da scelte azzardate, dalla sottovalutazione della «rabbia» israeliana, dall’impossibilità di sfuggire ad una caccia prolungata con enorme dispiego di mezzi.

Ora il capo del governo promette di andare avanti fino «alla vittoria totale», ritenendo che gli avversari siano in grande difficoltà e dunque non sia il caso di concedere loro ossigeno. Valutazione basata sui micidiali fendenti portati ma anche legata dalle pressioni dell’ala più estrema del suo Esecutivo. Ci sono ministri che appena sentono pronunciare la parola «tregua» minacciano di toglierli la fiducia aprendo una crisi politica che il navigato Netanyahu vuole evitare ad ogni costo.

Il ricatto interno, al quale Bibi si piega in modo docile, contrasta con le forti pressioni internazionali su Tel Aviv, a cominciare dalla Casa Bianca. È un coro «cantato» dallo schieramento occidentale: serve pensare al dopo, è il momento di arrivare ad un cessate il fuoco che riporti a casa gli ostaggi e metta fine alle sofferenze dei civili delle due parti. Un suggerimento ripetuto dalla maggioranza dei commentatori, compresi quelli che certamente hanno simpatie per lo Stato ebraico. Una situazione, però, complessa, come è complesso il quadrante regionale caratterizzato da posizioni di chiusura.

In Israele esiste una forte componente, alla Knesset e nelle forze armate, che ha una visione quasi «messianica». È disposta a rioccupare in modo permanente Gaza, vorrebbe comprimere la popolazione della Striscia in un’area ancora più ristretta, è disposta ad ampliare il conflitto con l’Hezbollah mandando le truppe fino al fiume Litani per creare una fascia di sicurezza. Non solo. Vuole alzare il livello dello scontro con l’Iran, sponsor e armiere di tante milizie sciite, oggi in allarme per una incombente rappresaglia da parte di Israele. La soluzione è l’opzione militare a 360 gradi.

Sull’altra barricata non sventolano certo bandiera bianca. Hamas ha appena ribadito che rilascerà gli ostaggi (quanti sono ancora in vita?) solo dopo lo stop delle ostilità e un ritiro completo dell’IDF dalla Striscia. Ai dirigenti della fazione non sono bastate le distruzioni, le migliaia di morti, l’eliminazione di una buona parte della leadership. Al tempo stesso è evidente che cedere adesso, senza contropartite, vorrebbe dire riconoscere una sconfitta pesante. E intanto il movimento deve riorganizzarsi, sostituire i capi liquidati, ridare fiducia ai mujaheddin. Un percorso simile a quello intrapreso dall’alleato Hezbollah, puntellato d’urgenza dai pasdaran iraniani mandati dagli ayatollah per fronteggiare la breccia. Ecco che prova a tenere, spara decine di razzi, alza il volume della propaganda, punta sui droni prendendo di mira la residenza di Netanyahu sul mare. Una sfida ma anche la dimostrazione di capacità belliche.

Semicoperte dal fumo delle esplosioni girano sui tavoli delle diplomazie piani alternativi. Gli Emirati avrebbero preparato un progetto che prevede una nuova entità al posto di Hamas, la formazione di un’amministrazione con nuovi volti (dunque senza Abu Mazen), l’immissione di fondi, l’invio di un contingente per la sicurezza ma soprattutto la nascita di uno Stato palestinese. A Netanyahu può andare bene quasi tutto ma è contrario all’ultimo punto. Spesso si è parlato di un ritorno di Mohammed Dalhan, originario di Gaza, per lungo tempo tra i responsabili della sicurezza, con agganci robusti sia in Israele che negli USA, «consigliere» dell’uomo forte emiratino, Mohammed bin Zayed. Per il Libano c’è invece un progetto, studiato da sauditi e americani, gradito a Israele, che dovrebbe portare ad un nuovo equilibrio di potere dove l’Hezbollah è «neutralizzato».

Sono scenari fatti uscire per testare le acque, road map incomplete e velleitarie ma anche tentativi di elaborare alternative alla lotta ad oltranza.