Società

Non chiamateli mammoni

A vent'anni i giovani ticinesi lasciano già la casa dei genitori, e gli esperti si dividono
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Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
23.07.2023 06:00

Giovani e indipendenti. A 22 anni la metà degli svizzeri non abita già più con i genitori. Ma si sono resi autonomi. Vivono da soli. Soprattutto per motivi di studio. Come fanno i ticinesi, che a 20 anni sono già fuori casa, stabilendo un record a livello nazionale. Sono cifre e tendenze forse non nuovissime, eppure significative quelle evidenziate dall’ultima fotografia dell’Ufficio federale di statistica. Cifre e tendenze che dividono e interrogano sociologi ed esperti di politiche giovanili.

Perché secondo Sandro Cattacin, professore di sociologia all’Università di Ginevra, 22 anni è l’età giusta per uscire di casa. Ed è un segno, un’espressione naturale «di ogni società benestante, ricca, che non ha problemi di occupazione e che scommette molto sulla formazione, come fa quella svizzera». Anche per Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute della Svizzera italiana, la fotografia scattata dall’Ufficio federale di statistica è significativa, ma non c’è nulla da festeggiare. Il bicchiere è insomma mezzo vuoto. «Dobbiamo chiederci se non sia il caso di investire maggiormente e non soltanto a livello finanziario nelle politiche dell’infanzia e della gioventù», dice, convinto che al fenomeno non si presti abbastanza attenzione.

Perché se a 20 anni si esce di casa, ci si rende autonomi, vuol dire anche affrontare la vita e tutte le sue difficoltà magari senza avere tutti gli strumenti. Soprattutto se non tutto va subito per il verso giusto. Non soltanto dal punto di vista formativo, ma anche lavorativo, familiare ed educazionale. Il rischio di saltare per aria insomma, secondo Lodi, è concreto come concreti appaiono i dati che attestano un fenomeno sempre più presente e marcato in Svizzera.

Ragazze ancora più precoci

Un fenomeno che vede ad esempio le ragazze uscire di casa prima dei loro coetanei maschi. Se è vero come è vero che, secondo la ricerca, a 20 anni già il 30% delle donne ha già fatto il passo. Fino ad arrivare al 50% a 21 anni e mezzo. Giovani e indipendenti, quindi. Anche se… anche se non del tutto. Perché quasi due terzi di quelli che hanno abbandonato «il nido familiare» vivono a meno di un’ora dai genitori e quasi il 90% ha contatti con i genitori ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Distanti, ma non troppo, dunque. Autonomi ma con un cordone familiare ancora molto presente. A livello di distanza, ma anche di contatti e relazioni personali.

Ed è questo l’aspetto su cui si sofferma con più attenzione Cattacin. «I dati generali ci indicano che siamo di fronte a un’emancipazione che avviene in età giovanile, ma anche che questa avviene con il sostegno dei genitori». L’uscita dal «nido» non avviene dunque in rottura. Non è una scelta trasgressiva o di contrasto a mamma e a papà. Ma avviene e si concretizza di concerto, quasi sul filo della continuità parentale. Autonomi sì, ma non del tutto, quindi.

È ora che la politica dell’infanzia e della gioventù diventi centrale come quella climatica
Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute della Svizzera italiana

«Servono rimedi economici e politici»

Ma non tranciare del tutto i contatti con i genitori può bastare? Può permettere di vivere comunque una vita autonoma e senza difficoltà? Soprattutto a 20 anni o poco più? Sono queste, secondo Lodi, le vere domande da farsi. «Anche perché oggi viviamo in una società molto più complicata di una volta», spiega. Una società che va alla velocità della luce. Che non ti aspetta. Che procede senza troppi paracadute. Ma soprattutto una società in continuo cambiamento. Che richiede adattabilità, flessibilità e rinnovamenti continui. Senza mai permettere tentennamenti o perdite di efficienza. Ecco allora che «se un bambino o un giovane si ritrova in difficoltà - precisa Lodi - si propongono a volte e anche giustamente sotto alcuni aspetti dei rimedi medici. Non si fa però nessuna menzione alle cause, al contesto, all’insieme di circostanze che hanno portato alla creazione di quelle condizioni generali che hanno messo in seria difficoltà i giovani».

Da qui quindi l’esigenza di correre ai ripari. Anticipatamente, però. Tematizzando «la questione anche sul piano economico e politico per fare in modo che i bambini e i giovani ma anche gli adulti non si ritrovino a dover far ricorso a rimedi di ordine medico per poter vivere un’esistenza serena e piacevole», chiarisce il direttore di Pro Juventute della Svizzera italiana. Che aggiunge per essere ancora più chiaro. «È ora che la politica dell’infanzia e della gioventù diventi centrale come quella climatica».

«Società più difficile ma sbagliando si impara»

Anticipare la vita autonoma non significa però solo esporsi a difficoltà o a problemi che potrebbero diventare esistenziali. Ma anche imparare da queste difficoltà. Costruirsi una corazza. Ecco perché, secondo Cattacin, «22 anni è comunque l’età giusta per rendersi indipendenti». Tanto più che come, dimostra lo studio, il cordone ombelicale non viene spezzato. «La società complessa di oggi necessita di condivisione e di risposte anche pratiche e questo aiuto può arrivare anche dai genitori». È però vero che oggi «siamo tutti un po’ più fragili, meno sicuri delle scelte che occorre compiere per il nostro futuro». Ecco perché «siamo anche una società più riflessiva sulle scelte di carattere personale. Prima di prendere una decisione ci si pensa mille volte. Del resto il futuro oggi più di ieri rappresenta un’incognita». Ma di una cosa il sociologo si dice convinto. Nonostante tutto. «Uscire di casa in giovane età permette di acquisire quelle capacità di autonomia che ci aiutano a imparare a vivere».

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