Non è bello ciò che è bello
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Siamo nell’epoca dell’ossessione del corpo. Nel bene e nel male. Un segnale - l’ennesimo - è arrivato a margine del Festival di Sanremo, con la polemica sulle gambe di Emma Marrone. «Gambe importanti», sono state etichettate dal blogger Davide Di Maggio, riferendosi alle calze a rete indossate dalla cantante sul palco. La risposta di Emma è arrivata a stretto giro di post: «Buongiorno a tutti dal Medioevo, il body shaming con il linguaggio politically correct, non so se è più imbarazzate o noioso. Ma non commentiamo questo. Mi rivolgo soprattutto alle ragazze, a quelle giovanissime: evitate di ascoltare o leggere commenti del genere».
«Il fenomeno del body shaming è una cartina tornasole della nostra società - interviene la sociologa Carmen Leccardi, professoressa all’Università Milano Bicocca - viviamo giornalmente una esasperazione della sessualizzazione dei corpi». Sui social network ci confrontiamo con canoni di bellezza decisi da chissà chi, e «anche quelle giovani ragazze che magari sono molto impegnate nel sociale, che hanno un alto senso civico, che non sono identificabili con quell’etichetta che le definirebbe ossessionate dalla vendita della loro immagine, beh basta guardare sui loro profili social per scoprire che seguono lo standard imposto per mostrarsi», osserva Leccardi.
Una lotta contro sé stesse
È dunque chiaro che se, sciaguratamente, qualcuna di queste giovani donne non rispecchia questi severi canoni di bellezza, «inizia una sorta di bullizzazione, che prima di essere esterna è interna. Per cui la ragazza si sente inadeguata e fuori luogo. Questo tenendo conto che non tutte hanno acquisito un’autostima tale da superare le critiche con una bella alzata di spalle e dire: ok, ora ho qualche kg di troppo, ma non finisce il mondo, posso sempre migliorare la mia salute», racconta la sociologa: «Io sono nata negli anni ‘50, ho vissuto il Sessantotto e il femminismo degli anni Settanta, ci vestivamo con minigonne cortissime ed eravamo molto attente a piacerci. Allora l’ossessione non esisteva, è figlia del processo di mercatizzazione del proprio corpo, dell’epoca in cui viviamo oggi dove qualsiasi cosa deve avere un valore legato al mercato».
Liberarsene è possibile
Siamo bombardati da immagini e video che ritraggono corpi perfetti e i social non ci aiutano. E allora «liberarsi da questa forma mentis è difficile, bisogna anzitutto che si attui una trasformazione del riconoscimento delle capacità intellettuali e professionali delle giovani donne, che oggi secondo la tendenza vengono valorizzate solo se (anche) belle», spiega ancora Carmen Leccardi. Probabilmente l’unica via per sconfiggere questi atteggiamenti «è una vera ridefinizione delle gerarchie di genere». Le donne hanno compreso sulla loro pelle che se si presentano in un certo modo hanno più successo, «ora l’obiettivo - conclude la sociologa - è quello di sconfessare questo tipo di accettazione nell’ottica delle pari opportunità: riconosciamo le diversità ma dentro un contesto di eguaglianza».
Ecco le vittime prescelte
C’è chi ha vissuto il dolore sulla propria pelle: «Sono stata vittima di body shaming», confessa al telefono da New York Noemi Manser, modella svizzera che ha sfilato in tutto il mondo. Manser ora vive in America e fa l’artista. Con la sua altezza 1,81 m e le sue misure 93-76-102, è stata definita una modella curvy. «È importante parlarne, perché molte ragazze soffrono la pressione, il doversi conformare con una certa immagine - spiega Noemi Manser - ma proprio a queste giovani donne vorrei dire di lasciar perdere le critiche e di concentrarsi sulla loro percezione di sé».
Non è facile quando si vive in un’epoca dove foto di modelle magrissime compaiono ovunque. Tuttavia «i social sono un mondo democratico, possiamo scegliere noi chi seguire, da chi farci influenzare. È fondamentale saper cogliere l’idea che l’immagine di un corpo perfetto esiste solo nella nostra testa, è soggettiva», sostiene la modella basilese. Manser ora, oltre a dipingere, disegna anche stoffe per le migliori case di moda, «un mondo spesso superficiale - lo conosco bene - ma le modelle che accettano di farne parte devono avere forza e determinazione, questo impedirà di farsi abbattere da certi vergognosi commenti che le etichettano solo perché vestono una taglia in più».