Pop

«Non è stata Yoko Ono a rovinare i Beatles»

Lo storico Dario Salvatori difende a spada tratta la ex moglie di John Lennon: «È stata un piccolo genio»
Francesco Mannoni
01.12.2024 17:45

Yoko Ono? «Credo sia stata una delle figure artistiche centrali della seconda metà del Novecento». Lo storico della musica e conduttore radiotelevisivo Dario Salvatori ha dedicato a «La figlia dell’oceano - Vita di Yoko Ono» (Il Saggiatore, 301 pagine) una biografia che si qualifica come il ritratto acuto di un lungo «corpo a corpo» con un’artista insolita e preziosa. Salvatori vuole sfatare le false dicerie, ridimensionare il ruolo di una donna energica e intraprendente, mettere i puntini su di un rapporto di coppia considerato scandaloso.

Che tipo di donna è Yoko Ono, prima che artista, in grado di irretire John Lennon, al punto di soggiogarlo?
«Secondo me non ha soggiogato proprio nessuno. Lennon soffriva di un forte senso di inferiorità intellettuale nei confronti di Yoko. Ma solo apparentemente. Lei era già una rappresentante dell’avanguardia americana degli anni cinquanta newyorchese e underground quando ha incontrato Lennon nel 1966 a Londra: ed è scattata la scintilla. Lennon fra i quattro Beatles era quello più iconico, un pochino colto ma poco aveva a che fare con la figura di Yoko Ono. Era un portuale di Liverpool, poi quando sono andati ad Amburgo era un portuale anche lì. Girava col gancio dei marinai: faceva a botte tutte le sere».

Ma si rivelò un gran genio della musica…
«Che avesse una grande genialità nessuno lo mette in discussione, poi però è stata Yoko Ono che aveva sette anni più di lui e aveva fatto delle esperienze al di sopra della normalità e soprattutto aveva fondato il gruppo «Fluxus» (associazione libera che si sviluppa agli inizi degli anni ’60 e raccoglie artisti d’avanguardia e grandi intellettuali) ad accrescere il suo talento. C’era una confluenza fra di loro, poi in tutti gli anni cui sono stati assieme, una forte tensione creativa. Credo che Lennon abbia scritto da solo dei piccoli capolavori e altrettanto lei. Con John nel ‘72 fece un disco che si chiamava «Some Time in New York City»: una canzone era dedicata ad Angela Davis, e una a un leader delle pantere nere».

Che cosa può aver attratto di più John Lennon di Yoko Ono?
«Quando si conobbero a Londra Yoko sapeva poco di Lennon. La galleria di Soho dove s’incontrarono, per lo più era un ritrovo per giovani artisti. Furono attratti con naturalezza, si piacquero, legarono subito. E solo quando lo accompagnò fuori Yoko si rese conto che lui aveva una Rolls Royce con l’autista. Lui la portò nella casa che aveva a Londra dove conviveva con la moglie Cynthia Powell, che in quei giorni era assente perché in viaggio. E Yoko ci rimase. Quando Cynthia tornò trovò John a letto con Ono e il loro matrimonio finì senza troppi clamori. Molto british».

Fu proprio lei la responsabile dello scioglimento dei Beatles?
«No: erano già franati. Il fatto è che lei era in tutte le fotografie, mentre le donne degli altri non c’erano. E questo non piaceva agli altri e a Paul McCartney in particolare. Lei non era la pulce nera giapponese che portava via Lennon dai Beatles. Lei era una che ha allungato la creatività di John perché aveva una personalità forte. Quando la coppia ebbe delle baruffe, impose una separazione per un po’, ma per farle compagnia in sua assenza, le affiancò una ragazza cinese banalissima che lui pigliava a botte tutte le sere. Yoko era una femmina Alfa a tutti gli effetti».

Lei era una che aveva già un suo percorso, non cercava notorietà spicciola. Non ne aveva bisogno: apparteneva alle classi alte giapponesi, e a scuola, nella sua stessa classe c’era il figlio dell’imperatore Hirohito

Il suo amore per Lennon, fu anche un trampolino per la sua visibilità artistica?
«No. Lei era una che aveva già un suo percorso, non cercava notorietà spicciola. Non ne aveva bisogno: apparteneva alle classi alte giapponesi, e a scuola, nella sua stessa classe c’era il figlio dell’imperatore Hirohito. Volò negli Stati Uniti appena finita la guerra con il padre, un banchiere che andò in America a sistemare i pezzi di un Giappone in frantumi. S’iscrisse a una scuola d’arte molto significativa e da lì partì la sua iniziazione artistica».

Foto di nudo, intimità svelate, eccessi di ogni tipo: alla ragazza orientale e alla rockstar occidentale piaceva scandalizzare?
«Gli eccessi erano il pretesto, il cavatappi per finire sui giornali e parlare di ciò che li appassionava. Comprarono le pagine del New York Times per diffondere il loro messaggio di pace con le scritte «La guerra è finita» e in piccolo «se voi lo vorrete»: fu un fatto pubblicitario unico. Si influenzavano continuamente. Il musicista era lui e lei ha sempre rispettato John. Solo dopo molti anni la morte di Lennon ha detto che il testo di «Imagine», la canzone forse più interessare di Lennon, l’ha scritto lei. E finalmente ha potuto stampigliare sui dischi anche il suo nome. Lo avrebbe dovuto fare lui, ma c’erano motivi editoriali- discografici complicati. Questa canzone è fra le 10 più belle del secolo scorso».

L’uso di droga era una dipendenza dalla quale non riuscivano a liberarsi?
«I Beatles furono tutti quanti vicini a vari tipi di droga. John e Yoko Ono in diversi momenti della loro vita usarono l’eroina. Lennon ammise che lui e Yoko ne prendevano un po’ quando soffrivano davvero: «La gente ci dava del filo da torcere, la pressione era fortissima. Ricevevamo così tanta sporcizia, gettata contro di me e soprattutto contro Yoko. Prendevamo l’eroina anche a causa di quello che i Beatles e i loro amici ci stavano facendo».

Visto che Yoko Ono pratica diverse espressioni artistiche, in cosa eccelle veramente?
«In Happening, una forma d’arte contemporanea che si basa sull’evento e non sull’oggetto. Una volta lei e John rimasero dentro un sacco da campeggio per tutta la performance. Questo accadde - l’ho visto con i miei occhi - negli anni settanta a Roma nel parcheggio di villa Borghese. L’allora assessore della cultura romana Renato Nicolini, organizzò questi incontri e invitò anche artisti e musicisti d’avanguardia».

Quanta è viva ancora l’attenzione nel mondo per Yoko Ono e per la sua arte?
«Tantissima direi. Quando ho proposto questo libro, la mia casa editrice ha fatto una ricerca di mercato, e il risultato è che in tutte le parti del mondo lei ha una visibilità del 95%. La ricordano tutti. Ci sono quelli che ne sanno un po’ di più, ma tutti sanno chi è Yoko Ono collegandola magari a John Lennon, un mito che i colpi di pistola del folle Mark David Chapman non hanno mai ucciso».

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