Lo studio

Non si placa la sete di notizie

La Domenica promossa a pieni voti dallo studio annuale sulla qualità dei media – Ma dove va l'informazione svizzera? Nel parliamo con il direttore dell'Istituto Fög
©Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
27.10.2024 06:00

Al suo primo rilevamento nell’ambito dello studio sulla qualità dei media, il settimanale «La Domenica» si issa al primo posto tra i giornali cartacei ticinesi. Un risultato importante per la testata nata nel 2021, che ha ottenuto un punteggio di 5,9, superiore sia al Corriere del Ticino (5,3), sia a La Regione (5,4). Ottimo anche il risultato - nella sezione web - di CdT.ch con 6.9 punti, terzo posto nazionale.

Ma i risultati più rilevanti dello studio annuale condotto dal Centro di ricerca sul pubblico e la società (fög) dell’Università di Zurigo sono altri. In particolare, quest’anno il team di ricerca si è chinato sulla presunta rivalità tra SSR e mezzi di informazione privata, un tema piuttosto caldo nella lunga, lunghissima campagna verso la votazione popolare sul canone radiotelevisivo, prevista in data ignota.

SSR e privati sono complementari

Di primo acchito si potrebbe immaginare che la disponibilità di radio, televisioni e siti web che forniscono informazione gratuita (o meglio, già pagata con il canone) disincentivi le persone dallo stipulare abbonamenti a pagamento con altri media privati. Ma secondo lo studio, al contrario, chi usufruisce dei programmi SSR è anche maggiormente propenso a pagare per altri media rispetto a chi invece non fa capo all’emittente radiotv pubblica.

La disponibilità a pagare per consultare notizie online resta tuttavia molto bassa. Solo il 17% degli svizzeri si dice pronto ad aprire il borsellino per accedere a un portale di informazione su internet. Una percentuale che è appena superiore alla media europea ma comunque molto bassa rispetto ai capofila scandinavi, Norvegia (39,7% di persone disposte a pagare) e Svezia (31%). Oltretutto fra quel 17% di svizzeri che dice di consultare portali a pagamento c’è anche chi acquista solo un singolo articolo di tanto in tanto. Gli abbonati veri e propri sono quindi ancora meno.

La principale fonte è online

Eppure i siti internet sono ormai la principale fonte di informazione degli svizzeri. Il 37,1% della popolazione dice di apprendere le notizie in primo luogo online. Un altro 30,4% degli intervistati indica la televisione quale principale fonto di informazione, il 7,7% la radio, mentreil 13,4% si affida principalmente ai social media e l’11,5% alla carta stampata.

Una percentuale, quella dei giornali cartacei, che può sembrare bassa ma che invece è superiore alla media continentale. A livello europeo, solo in Austria la carta stampata riveste un ruolo più importante. Oltretutto è di buon auspicio il fatto che tra i giovanissimi, di età tra 18 e 24 anni, la lettura dei giornali è più frequente che tra coloro che hanno tra 25 e 44 anni. Un segno che i giornali non hanno ancora detto la loro ultima parola.

Attenzione alla concentrazione

Sarà però necessario mantenere la qualità e la diversità. Un aspetto, quest’ultimo, che desta qualche preoccupazione. Difatti la crescente concentrazione mediatica fa sì che sempre più spesso un medesimo articolo venga pubblicato in maniera identica su più testate. Questo avviene in particolare fra le testate di TX Group (Tages Anzeiger, Basler Zeitung, Berner Zeitung, Tribune de Genève, 24 Heures e altre), di CH Media (Aargauer Zeitung, Luzerner Zeitung, Schweiz am Wochenende) e di Ringier (Blick, Beobachter, Handelszeitung, Schweizer Illustrierte, L’Illustré).

«Un’ulteriore perdita di varietà si rivelerebbe problematica», sostiene il fög, che spiega il ripetuto utilizzo di contenuti identici con la difficile situazione finanziaria dei media. Proprio per questo, per permettere a ogni testata di mantenere uno sforzo redazionale, il direttore del fög Mark Eisenegger invita a elaborare nuove strategie per sostenere il giornalismo. «Ci vuole un’espansione del sostegno ai media», afferma il professore.

Signor Eisenegger, il vostro studio dimostra che gli svizzeri sono scettici sull’impiego dell’intelligenza artificiale (IA) nel giornalismo. Ma l’IA può portare anche vantaggi?
«Certo. È naturale che ci sia scetticismo riguarda l’impiego dell’IA per generare testi o immagini. Ma l’IA è molto utile se viene utilizzata come sostegno, per esempio per tradurre o per tagliare i testi su misura».

Ci sono portali, per esempio il Blick, che pubblicano già articoli scritti dall’IA. I giornalisti diverranno superflui?
«Nel nostro studio vediamo che le persone si fidano ancora e vogliono fidarsi delle persone. Bisogna fare attenzione a non delegare troppo alle macchine perché si rischia una perdita di fiducia da parte dei lettori e un danno per il giornalismo in generale».

Già oggi tanta gente non si fida più dei media.
«In Svizzera la fiducia nei media è leggermente calata, ma resta elevata nel confronto internazionale».

Perché è calata la fiducia?
«In parte è l’effetto delle critiche ai media, che si sono fatte più forti nel dibattito pubblico. Alla lunga certi discorsi sulla stampa bugiarda o sui media mainstream producono i loro risultati anche in Svizzera».

Per esempio i discorsi dell’UDC?
«Per esempio».

La maggior parte della gente non è disposta a pagare per le notizie. Ma i giornalisti non possono lavorare gratis.
«È un tema complesso. Noi vediamo una correlazione tra l’interesse per la politica e per le notizie e la disponibilità a pagare».

Quindi va rafforzato l’interesse per la politica?
«Noi crediamo che occorra fare più sforzi a livello di formazione. Concretamente, ci sono classi dove si leggono articoli di giornale, se ne discute in gruppo e alla fine magari si redigono dei propri articoli. Bisogna includere maggiormente il giornalismo negli istituti formativi, per rendere attenti alle differenze di qualità ma anche per incentivare l’interesse per la politica. È qualcosa in cui lo Stato deve investire».

Lo Stato è disposto a investire?
«In Svizzera si dibatte molto sulla politica dei media, ma non ho mai sentito nessun politico dire che si può rinunciare al giornalismo. Da sinistra a destra, c’è un consenso generale sull’importanza del giornalismo per la democrazia. Ora, le ricerche dimostrano che il mercato non riesce a finanziare il giornalismo, perché ci sono le big tech. Ci vuole un’espansione del sostegno ai media. E io sono convinto che si troverà la strategia giusta per metterlo in atto».

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