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Non spegnete quella radio

Le emittenti «pirata» nascevano cinquant'anni fa – E dopo tante peripezie, ancora non si arrendono ai «diktat» della politica
©Carlo Reguzzi
Davide Illarietti
23.03.2025 18:30

L’impalcatura della storica Radio 24 è ancora lì, tra le nevi del pizzo Groppera in val Chiavenna: e chissà che in futuro non possa tornare di nuovo utile. Fatta realizzare da un giovane Roger Schawinski nel lontano 1979, è il simbolo dello spirito ribelle delle prime radio libere: dalla Valtellina, aggirando gli ostacoli legali, il trasmettitore copriva gran parte della Svizzera «liberandola» dal monopolio delle emittenti pubbliche.

Oggi Schawinski ha 80 anni ma non ha perso lo spirito combattivo. Il «papà» delle frequenze private elvetiche ha lanciato due anni fa una raccolta firme contro la decisione di chiudere le FM entro la fine del 2026, e spera ancora che il Consiglio Federale «rinsavisca» all’ultimo minuto. Se non dovesse accadere, si aprirà una nuova stagione di emittenti ribelli?

Con l’addio alla «vecchia» modulazione di frequenza si chiude (forse) mezzo secolo di sperimentazioni e scorribande attraverso i confini, che da sempre i pirati sanno sfruttare a proprio vantaggio. Era il marzo del 1975 quando, grazie a una sentenza della Corte di Cassazione italiana, oltre frontiera nasceva Radio Milano International: la prima di tante «international» succedutesi negli anni, da Radio Campione International a Radio Morcote International (per citare quelle a noi più vicine).

La preistoria oltre Gottardo

Proprio le sentenze italiane (prima nel 1974, poi nel 1975 in una causa tra la Rai e Radio Milano, in cui quest’ultima ebbe la meglio, e infine nel 1979) aprirono la stagione delle radio indipendenti nell’Europa continentale, compresa quella di Schawinski, che seppre cogliere al volo l’occasione. Era l’onda lunga del ‘68 e della cultura giovanile esplosa in Inghilterra, dove non a caso l’esperienza delle navi-radio pirata - vere e proprie navi, come racconta Grant Benson che ci ha lavorato - era maturata ben prima.

In Svizzera in realtà il primo trasmettitore abusivo venne scoperto e smantellato nel 1975 a Uetliberg, nel canton Zurigo, su un albero da frutta. Ma già nel 1969 «le autorità avevano deciso di aumentare la potenza dei ripetitori pubblici proprio per contrastare i segnali provenienti dall’estero e una possibile invasione delle radio pirata» ricorda Sacha Dalcol, direttore di Radio3i e Teleticino e studioso appassionato della «preistoria radiofonica» svizzera. «Le radio pirata nacquero lo stesso e le Poste, che si occupavano dei controlli, dovettero acquistare due elicotteri per perlustrare i cieli in cerca dei trasmettitori. Ricordo che un gruppo di attivisti riuscì a creare un’emittente per protestare contro la centrale nucleare di Gösgen, subito smantellata».

Le onde ticinesi

Ci volle qualche anno per regolarizzare il tutto. La prima ordinanza sulle emittenti radiofoniche private è del 1981, figlia dell’iniziativa di Schawinski ma anche delle mobilitazione popolare che ne seguì (220 mila firme, ben più delle 62 mila odierne). L’antenna sul pizzo Groppera «fu il proverbiale piede nella porta, un’intuizione geniale, ma la procedura successiva fu piuttosto lunga e solo due anni più tardi Berna concesse la prima autorizzazione in terra elvetica» ricorda Sacha Dalcol, direttore di Radio3i e Teleticino e radioamatore appassionato della «preistoria radiofonica» svizzera. «In Ticino le prime concessioni ai privati furono messe a concorso nella seconda metà degli anni Ottanta, ed è da quelle esperienze che è nato quello che poi è diventato il panorama radiofonico attuale».

Ad aggiudicarsi le prime frequenze nella Svizzera italiana furono due emittenti esordienti: si chiamavano Radio Svizzera del Verbano (mai decollata) e Radio Bellinzona 90.6, entrambe nate nel Sopraceneri. La prima - soffocata dalla concorrenza italiana - non vide di fatto mai luce, ma preparò il terreno a Radio 3i (che nel 1987 ne rilevò le frequenze). La seconda perse la concessione nel 1998 a favore della più giovane Radio Fiume Ticino.

La sfida del digitale

«Quella fu l’epoca d’oro delle radio commerciali, che sono una cosa diversa rispetto alle radio pirata ma in qualche modo ne costituiscono la naturale evoluzione» osserva Dalcol. «In Ticino di fatto non sono mai sorte vere e proprie radio pirata, non ne esisteva la necessità e questo per via della diffusione delle radio private italiane, il cui segnale copriva buona parte del territorio. Senza contare la presenza dell’enclave di Campione, che a sua volta fu la base di importanti scorribande radiofoniche».

Un’epoca che, piaccia o non piaccia, volge ora al termine quanto meno dal punto di vista tecnico. Il passaggio alla radiodiffusione digitale (DAB) è stato forzato dalla messa al bando della vecchia FM decisa da Berna, che questa volta anticipa i tempi «forzando la mano con un eccesso di zelo» secondo Dalcol. «Sarà che sono cresciuto con l’FM, ma credo che spegnere una tecnologia quando è ancora usata da tante persone sia una follia». Così le vecchie radio più o meno «libere», come cantava Eugenio Finardi, si troveranno presto a navigare nel mare del web, senza àncora. A meno che qualche nostalgico non decida di tornare in cima al pizzo Groppera, e riaccendere l’antenna in barba al divieto delle autorità.

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