Pedalando con Fabio Aru: «Per lo sport ho lasciato la mia terra»

È stato campione della bicicletta. Ha scelto di ritirarsi giovanissimo, a 31 anni, ma dalle due ruote non riesce proprio a separarsi. Uno dei pochi ad aver indossato la maglia gialla del Tour de France quella rosa del Giro d’Italia, la rossa della Vuelta e la tricolore di Campione d’Italia. Nato a San Gavino Monreale, è stato l’unico sardo - e quarto italiano dopo Felice Gimondi, Francesco Moser, e Vincenzo Nibali - ad aver indossato le tre rinomate maglie. Fabio Aru è stato uno di quei campioni che ha vinto poco ma bene. A partire da un terzo posto al Giro d’Italia nel 2014, la classificazione alla Vuelta in Spagna, che poi nel 2015 ha portato alla vittoria al giro di Spagna, e due tappe del Giro d’Italia. Fino al titolo italiano e il quinto posto al Tour de France nel 2017. La Domenica l’ha seguito - a tappe e in scooter - durante uno dei suoi allenamenti sul lago di Lugano, dove vive ormai da 8 anni.
Prima tappa. L’appuntamento è al parco dell’USI in Via Buffi a Lugano. Signor Aru, da un piccolo paesino nel sud della Sardegna al mondo intero. Cosa ha significato per lei lasciare l’isola verso il continente?
«Beh… non è stato facile. Ho lasciato la mia terra il giorno dopo aver conseguito la maturità classica. Mi sono trasferito a Bergamo, correvo già nella categoria under 23. I primi due anni li non li scorderò mai…».
Come mai?
«Non ne faccio mistero, è risaputo che noi sardi siamo fortemente legati al nostro territorio. E poi siamo un’isola, ci sentiamo - e siamo - separati da tutto il resto della penisola, dal continente. Però tutto sommato mi ha aiutato la mia giovane età, mi sono ambientato molto bene, tant’è che sono rimasto lì per sei anni e mezzo».
E poi è subito arrivato a Lugano?
«Proprio cosi. Dopo Bergamo mi sono trasferito qui a Lugano, dove ormai vivo da otto anni e mi trovo molto bene. Tant’è che ho smesso di correre come professionista ma sono rimasto qui, perché è dove vedo il mio futuro».
Da pochi giorni è diventato anche papà bis.
«Si tutte e due le mie bambine sono nate qui, anche la mia compagna si trova molto bene in questa città. E poi c’è anche da dire che fino ad un anno fa, con le gare, ero spesso in giro, mentre ora trascorro la maggior parte del mio tempo in Ticino, dunque, anche dopo 8 anni, ho avuto l’occasione di scoprire nuovi luoghi, stringere nuove amicizie».
E visto che ora il Ticino lo vive quotidianamente, è sicuro andare in bici per le strade del cantone?
«Beh certamente dipende sempre dagli orari e dal traffico…».


Tra i casi noti di incidenti in bicicletta c’è quello di Fernando Alonso che era stato investito da un’auto durante un allenamento.
«Io - per fortuna - non mi sono mai trovato in una situazione del genere. Diciamo che negli orari di punta, quindi la mattina verso le 8, e nel pomeriggio verso le 16/17, non è molto sicuro uscire in bici. Sono proprio orari da evitare o in cui per lo meno trovare delle strade meno trafficate. Però questo è da tenere presente in tutte le città, forse a Lugano ancora di più visto che il flusso in quegli orari è veramente altissimo dato anche l’alto numero di frontalieri».
E poi, per gli allenamenti penso che prediliga le salite in montagna…
«Sì diciamo che preferisco uscire dal centro, anche se mi piace molto costeggiare il lago mentre mi alleno, vedere l’acqua mi riporta un po’ con il pensiero alla mia terra d’origine. E poi comunque abito vicino al centro, dunque anche per andare verso il Monte Bre, o il Monte Bar, per dirne due, il passaggio nelle vie cittadine è d’obbligo».
Percorso prediletto?
«Mi piace passare da Paradiso, e poi Melide, Morcote, e dopo Capo San Martino le strade sono anche meno trafficate e mi godo ancora di più il paesaggio».
Seconda tappa. Il lungolago di Lugano. Questa città, questo cantone vivono di sport e delle forti emozioni che riesce a regalare a tutti i tifosi. Calcio, hockey, basket, pallavolo… ha avuto modo di seguire e appassionarsi ad uno di questi sport?
«Certo! Mi sono avvicinato all’hockey, che è uno sport che - per dire - in Sardegna non si gioca… Ho avuto modo di assistere a varie partite dell’HC Lugano, e poi anche al derby contro l’Ambrì. Mi ha davvero coinvolto come sport, è molto veloce, e i giocatori danno l’anima su quella pista. Sicuramente poi ora che sono più presente qui avrò modo di frequentare con più regolarità gli appuntamenti sportivi. E poi ho conosciuto vari giocatori sia di hockey che di calcio, ci incontravamo dal fisioterapista, sono entrambi sport molto traumatici, dunque quale migliore occasione…»
A Lugano ci sono tanti sportivi ed ex sportivi. È il fisco favorevole che la rende invitante?
«Forse inizialmente è un pensiero a cui è inevitabile giungere, ma ad essere onesto mi capita sempre più spesso di parlare con persone che come me si sono trasferite da qualche anno, e sentire «Non tornerei più indietro». Per noi sportivi è un paradiso, il territorio è fantastico, offre tantissime opportunità, il sali e scendi, il lago, la natura straordinaria. Io abito a Pregassona, e in soli 10 km a piedi si arriva a 1600 mt sul Monte Boglia. Insomma questo è impagabile. E poi il Monte Bar, la Val Colla, Gola di Lago… tutti i percorsi in montagna tenuti perfettamente, e permettono di svolgere una infinità di attività».


Terza tappa. Dal lungo lago ci dirigiamo verso Morcote. Sui rettilinei Fabio Aru schizza via in volata, sorprendente la velocità. Arriviamo a Morcote in 10 minuti, e continuiamo la nostra intervista... E lei di percorsi in montagna ne sa qualcosa visto che spesso va in mountain bike…
«Proprio cosi… Spesso mi è capitato di parlare con persone che lavorano nel campo del turismo in Ticino, e abbiamo considerato quanto questi sentieri siano sempre curati, e invogliano gli appassionati di mountain bike a percorrerli. Durante i miei giri ho incontrato turisti che arrivano anche da molto lontano… E poi sono amico di Filippo Colombo uno dei più grandi atleti di questa disciplina delle due ruote. Grazie a lui ho scoperto moltissimi percorsi come Gola di Lago, Capanna San Lucio, Pairolo e poi tutta la Val Colla, e il Malcantone: ci sono veramente degli ottimi percorsi, anche dei tratti con salti artificiali costruiti per gli appassionati. Sono state inserite anche varie stazioni di ricarica per le bici elettriche».
Ma non solo bici in montagna, giusto?
«Mi è capitato gli anni passati, nei periodi in cui ha nevicato bene - e speriamo che anche quest’anno sia così - di andare a fare delle bellissime ciaspolate in montagna. Sono andato su per l’Alpe Bolla o i Denti della Vecchia…Bisogna fare comunque molta attenzione quando si va in montagna».
Qualche consiglio?
«Beh io non nasco in montagna, ma adoro andarci sia in bici che a piedi. Bisogna essere molto coscienziosi, per esempio, nel caso delle bici elettriche che ora stanno spopolando: mi sento di dire che è vero, sono mezzi che ti permettono di salire più in alto grazie alla pedalata assistita, ma quando ci si approccia a intraprendere una discesa i rischi ci sono, non bisogna essere troppo spericolati perché poi farsi male è un attimo. Trovo sia molto importante cercare di sensibilizzare le persone che scelgono di avvicinarsi a questo sport, perché a volte l’incoscienza fa valutare male i rischi, per esempio quando partecipo alle gare di gran fondo, prima della partenza gli altoparlanti dispensano ammonizioni per i partecipanti «Attenzione, non prendetevi rischi esagerati», ed è una attenzione nei confronti degli sportivi che apprezzo molto».
A proposito di consigli. Vincenzo Nibali, che da poco ha annunciato il suo ritiro dal professionismo, è stato il suo capitano. L’ha consigliata e l’ha spronata quando correvate nella stessa squadra (Astana)… che rapporto è stato il vostro?
«Io e Vincenzo abbiamo avuto un rapporto di alti e bassi negli anni, però comunque sia abbiamo imparato a conoscerci l’un l’altro, e soprattutto a rispettarci. Sicuramente ho avuto modo di imparare da lui alcune dinamiche soprattutto nei primi anni, ovvero gli anni in cui sono stato messo nel suo gruppo. Io sono una persona magnetica nei confronti delle persone con più esperienza e che ne sanno di più di me, dunque mi sono messo a disposizione e in ascolto con umiltà».
Dunque una figura positiva, nessun’ombra…
«È stato un esempio per me, una figura che senza ombra di dubbio mi ha aiutato a migliorarmi».


Tra le tante maglie che ha indossato, quale l’ha messa maggiormente sotto pressione?
«Ma sicuramente la maglia di campione nazionale d’Italia che ho vestito nel 2017, forse anche per come è arrivata la vittoria, è stata l’emozione più grande. E poi senza dubbio anche tutte le maglie di leader nei vari giri mi hanno regalato grandi emozioni e soddisfazione. Anche perché nello sport contano i risultati, e quelle maglie hanno significato risultati importanti nella mia carriera».
E ora?
«Rimango nel mondo delle bici, collaboro con varie aziende leader nel settore e poi con il turismo in Engadina. Per il resto mi godo sempre di più la mia famiglia».