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Per gli ucraini non è facile trovare lavoro in Ticino

Ostacoli di ogni tipo, frustrazione ma tanta tenacia: le storie di quattro rifugiati, a tre anni dallo scoppio della guerra
(KEYSTONE/Christian Beutler)
Andrea Stern
Andrea Bertagni
Andrea SterneAndrea Bertagni
08.12.2024 06:00

Stanislav ha 16 anni, è impiegato come apprendista cuoco in un ristorante del Luganese e sogna di poter frequentare un giorno la prestigiosa École Hôtelière de Lausanne. Stanislav è uno degli oltre 12.000 ucraini che sono riusciti a integrarsi nel mondo del lavoro nel loro relativamente breve periodo di permanenza in Svizzera. «Sono arrivato in Ticino nel marzo 2022, insieme a mia mamma e mia sorella - racconta Stanislav -. Sono stato subito inserito nella scuola media, dove ho potuto acquisire le basi della lingua italiana. Ma già lì avevo l’idea di cercarmi un lavoro. Avevo voglia di mettermi alla prova».

Non è stato facile. Il giovane ucraino ha bussato a tantissime porte ma dopo la scuola media ha dovuto rassegnarsi a frequentare un anno di pretirocinio di integrazione, una formazione che mira a migliorare le competenze linguistiche dei ragazzi e orientarli verso un percorso professionale. «Ma io ero già sicuro di voler lavorare in cucina - spiega Stanislav -. All’inizio, appena arrivato dall’Ucraina, pensavo di fare il pasticciere. Ma poi ho potuto vedere all’opera due miei cugini che fanno i cuochi e mi sono innamorato di questa professione».

Tantissimi tentativi

Oltre che dilettarsi tra le mura domestiche, Stanislav ha iniziato a dare una mano qua e là, ovunque gliene venisse concessa la possibilità. Nel frattempo continuava a mandare curriculum, a bussare alle porte, a chiedere in giro. «Dopo tantissime risposte negative, ho finalmente avuto l’opportunità di fare uno stage in un ristorante di Bellinzona - racconta -. Ero felicissimo. Ma sono stato ancora più felice quando, poche settimane dopo, con l’aiuto della Divisione della formazione professionale sono riuscito a firmare un contratto di tirocinio in un ristorante del Luganese. Ho quindi interrotto lo stage a Bellinzona e iniziato il mio apprendistato. Non è sempre tutto facile, ma è quello che speravo di fare. Sono felice di aver iniziato questo percorso e mi sto impegnando al massimo perché voglio portarlo a termine».

La tenacia diStanislav è stata premiata. Come lui, tanti altri ucraini in fuga dalla guerra sono riusciti a superare le barriere linguistiche e a volte le difficoltà nel riconoscimento dei diplomi per ritagliarsi uno spazio nel mercato del lavoro elvetico. A oggi, stando agli ultimi dati della Segreteria di Stato della migrazione (SEM), circa il 30% degli ucraini con permesso S esercita un’attività professionale. Altri svolgono una formazione, altri ancora hanno iniziato un lavoro ma hanno dovuto interromperlo, non sempre per scelta loro.

Da un impiego all’altro

Anche Inna è arrivata in Ticino appena dopo lo scoppio della guerra. Lei è di Mariupol, la città ucraina oggi finita in mani russe. Uno dei motivi per cui Inna non è mai tornata a casa. «In Ticino stiamo bene», afferma, pensando anche ai suoi due figli, che vanno a scuola. Una a Lugano, l’altro a Locarno. Tutto sta filando liscio, insomma. Anche se... anche se trovare un lavoro non è facile. Bisogna insistere. Non scoraggiarsi. Prendere tutte le occasioni che arrivano. Come quella che l’ha portata a lavorare in un bar per qualche mese. «Uno dei problemi riguarda i titoli di studio - annota - per molti lavori servono quelli svizzeri». Ecco perché anche lei sta pensando di riprendere a studiare per mettere le mani su un pezzo di carta che le consentirebbe di trovare finalmente un’occupazione stabile e godere così di un filo di normalità dopo le bombe. Combattere per lavorare, insomma.

E così, mentre la politica a livello nazionale sta cercando di capire come togliere il permesso S ai rifugiati ucraini che non provengono dalle zone bombardate, ricevendo le critiche proprio dalla comunità ucraina presente in Svizzera, che parla di decisione difficile da applicare, c’è chi, a quasi tre anni dall’invasione russa si è integrato. Nonostante le difficoltà. A iniziare dalla lingua. Che è forse il principale ostacolo all’integrazione. Ma non l’unico.

Modella in Ucraina, in Ticino invece...

«In Ucraina lavoravo in televisione e come modella. Si può dire che ero famosa», racconta Anna che nel suo Paese faceva anche l’influencer. Oggi sembra difficile da immaginare. Perché tutto è cambiato. E nessuno può sapere quando l’Ucraina potrà tornare alla normalità e come. «Arrivata in Ticino per un anno ho lavorato come volontaria per l’associazione Amicizia dei Popoli - continua Anna -. Mi occupavo di eventi per bambini e adulti e dei social media». Un giorno per Anna arriva anche l’occasione di frequentare uno stage in un’azienda del ramo finanziario, ma l’esperienza non prosegue. All’orizzonte si prospettava un’occupazione al 100%, ma con due figli e la mamma a carico, Anna avrebbe preferito il 50% e così la prospettiva non si concretizza. Ma Anna non demorde. Vorrebbe trovare un lavoro sempre nell’ambito degli eventi, ma anche nel digital marketing o come ricezionista.

Un bachelor da sfruttare

Pur con tutte le difficoltà l’impressione è insomma quella che manchi davvero poco per una perfetta integrazione nel mercato del lavoro dei cittadini ucraini scappati dalla guerra. A esserne convinto è del resto anche il gruppo di studio diretto dall’ex consigliere nazionale Urs Hoffmann incaricato fin da subito dal Consiglio federale di valutare l’impatto delle misure prese nell’ambito dello statuto di protezione per i rifugiati ucraini. Anche Anastasiia ha vissuto le difficoltà sulla propria pelle. In possesso di un Bachelor in Scienze farmaceutiche ha fatto in tempo a lavorare per due anni nel suo Paese prima che scoppiasse il conflitto. Arrivata in Ticino si è dovuta adattare trovando un’occupazione in due farmacie del Luganese. «In quel momento però non mi hanno assunta definitivamente perché purtroppo non parlavo ancora bene l’italiano», spiega. Oggi Anastasiia ha nel frattempo recuperato il gap linguistico ed è pronta a continuare a lavorare nel settore per il quale ha studiato, quello farmaceutico, appunto.

Quasi tutti diplomati

Come Anastasiia, molti degli ucraini rifugiatisi in Svizzera dispongono di un’ottima formazione. La radiografia effettuata dalla Berner Fachhochschule indica che il 70% delle persone con statuto di protezione S ha una formazione terziaria e il 94,5% almeno una formazione secondaria post-obbligatoria. Gli ambiti professionali più rappresentati sono ingegneria, attività manifatturiere, edilizia, economia, amministrazione e diritto.

In Svizzera però è nel settore della ristorazione e dei servizi alberghieri che gli ucraini hanno trovato in maggior numero lavoro. A dimostrazione di come non sia facile dare un seguito alla formazione conseguita in patria. Molto più facile, quando non si padroneggia ancora bene la lingua del posto, è adattarsi a dare una mano in cucina o a cambiare le lenzuola nelle stanze d’albergo.

Dalla stessa indagine della Berner Fachhochschule emerge ad ogni modo la volontà dei profughi ucraini di migliorare le competenze linguistiche e rientrare quindi più facilmente nel mercato del lavoro. Oltre l’80% delle persone con statuto di protezione S ha già frequentato o continua a frequentare un corso di lingua locale. Solo il 17% non ha ritenuto necessario partecipare a un corso. In certi casi si tratta di persone in là con gli anni, in altri di persone che conoscevano già bene l’inglese e riescono a lavorare così, spesso nel settore informatico.

In generale, quello che emerge parlando con gli ucraini che si trovano in Ticino e consultando le statistiche è il riquadro di un’integrazione professionale che procede abbastanza bene, nonostante tutti gli ostacoli. Dopo nemmeno tre anni, già il 30% delle persone con statuto di protezione S ha un’occupazione stabile, ciò che può sembrare poco ma è comunque superiore alla media generale dei rifugiati e delle persone ammesse provvisoriamente (circa il 20% di occupati).

Il cammino prosegue. Anna, Inna, Anastasiia e Stanislav seguono sempre con apprensione le notizie che riguardano il loro Paese ma seguono ormai sempre di più anche quelle di qui, della Svizzera, la loro nuova casa. «A 16 anni è difficile dire cosa farò in futuro - conclude Stanislav -. Ma intanto sto bene qui, voglio impegnarmi a costruirmi una vita qui.E poi che sarà, sarà».

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