«Per Trump stavolta sarà difficile»
Domani 20 gennaio Donald Trump torna alla Casa Bianca per giurare. Sarà il 47mo presidente degli Stati Uniti. Un percorso, il suo, lungo e travagliato, costellato di incriminazioni e processi per reati gravi, alcuni infamanti (come quello di aver pagato una pornostar per tacitarla e per il quale è stato condannato). Lo scrittore ed ex docente di letteratura angloamericana Stefano Rizzo segue da svariati anni (ha vissuto e si è laureato a New York) la politica americana e ha riassunto in un libro la complicata odissea politica del tycoon: «Da Trump a Trump» (Castelvecchi, 244 pp.). E nel contempo esamina acutamente «la presidenza Biden e la sconfitta dei democratici».
Rizzo, per gli Stati Uniti avere un presidente pregiudicato è una perdita di prestigio?
«Dovrebbe, ma non sarà così. Trump è il primo pregiudicato presidente ma l’America, Paese di leggi dove governa il diritto e non la volontà del politico di turno, ha sicuramente perso un po’ della sua credibilità. Il grande potere economico, lo stuolo di avvocati di cui Trump può disporre è riuscito a bloccare i processi, e la stessa Corte Suprema ha dichiarato che un presidente in carica o non in carica è immune dall’essere messo sotto accusa qualunque cosa faccia. E gli americani l’hanno accettato».
Com’era l’America che Trump aveva lasciato 4 anni fa, e com’è quella che si ritrova?
«Trump, dopo la sua presidenza dal 2017 al 2021, aveva lasciato un’America in cui l’economia andava bene, ma la pandemia e il cataclisma del Covid-19 ha provocato disastri di ogni genere, a cascata. Ciò nonostante, Trump si ritrova un’America con un’economia in buona salute. Il Pil è aumentato complessivamente l’anno scorso di oltre tre punti percentuali, tre volte tanto quello europeo. La borsa cresce, la ricchezza complessiva aumenta, c’è piena occupazione, anzi c’è la preoccupazione che questo possa provocare un «riscaldamento» dell’economia. La situazione delle famiglie però è molto diversa, perché sia i redditi, sia la ricchezza accumulata in America e in buona parte delle democrazie occidentali, viene distribuita in maniera molto disuguale».
Cosa può aspettarsi l’America dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, e che cosa il resto del mondo?
«Esiste un programma del partito repubblicano basato su uno studio accurato chiamato «Progetto 2025»: un librone di centinaia e centinaia di pagine, con molte previsioni, ma tutto questo, data la personalità dell’uomo Donald Trump, potrebbe essere buttato via e sostituito con le ultime idee del momento».
Perché?
«Trump è un impulsivo che si fida soprattutto del suo intuito e delle persone delle quali si circonda, la cui caratteristica principale è la fedeltà incondizionata. Quello che succederà, dipenderà in larga misura da ciò che lui ritiene possa essergli utile dal punto di vista del consenso popolare. Lo dimostra il fatto che non aveva mai parlato di certe cose in campagna elettorale come chiamare Golfo d’America il golfo del Messico, o di prendersi la Groenlandia, il Canada e il canale di Panama anche con la forza».
Perché ne parla ora?
«Certi argomenti si chiamano armi di distrazione di massa. Probabilmente si troverà ad affrontare problemi seri per tenere insieme la sua maggioranza che è meno solida di quello che può sembrare, e crea diversivi. Sarà difficile attuare l’ambizioso programma di riduzione delle tasse senza diminuire i pochi benefici sociali della popolazione; anche cacciare tutti gli immigrati, come hanno promesso altri leader europei, sarà molto costoso e potrà avere delle conseguenze sull’inflazione. Ugualmente difficile sarà attuare l’aumento dei dazi nei confronti dei Paesi al di fuori degli Stati Uniti, per rinforzare la produzione in patria: anche questo avrebbe dei costi inflazionistici».
Dopo la tregua di Gaza, riuscirà Trump a fermare la guerra in Ucraina?
«In Ucraina, dopo tre anni di guerra, con centinaia di migliaia di morti l’aggressore e l’aggredito sono esausti ed è arrivato il momento di chiudere la partita con un costo sia per gli uni che per gli altri. Molto più complicata la situazione in Medio Oriente. Nonostante la tregua, qualunque accordo si faccia resta sempre un problema di difficile soluzione: che cosa fare con i due milioni di abitanti di Gaza, e gli altri milioni di palestinesi che abitano all’interno e fuori dalla Palestina?».
La presenza al fianco di Trump di Elon Musk, quale significato potrebbe avere sul piano delle scelte economiche?
«Io non enfatizzerei troppo quello che per me è un matrimonio di convenienza: Musk non ha fatto mai mistero delle sue propensioni politiche di destra, e ha portato a Trump 180 milioni di dollari per la sua campagna elettorale. Trump prende i soldi di Musk, le cui aziende prenderanno i soldi delle commesse federali per usare i suoi vettori missilistici e i suoi satelliti. C’è un intreccio di interessi molto stretto fra i due. Se si arrivasse a un conflitto di interessi potrebbe anche iniziare un divorzio, perché si tratta di due primedonne che vogliono sempre primeggiare. Qualche segnale di insofferenza c’è stato anche perché la base dei deputati repubblicani vede Elon Musk come l’antitesi di quel populismo di destra in base al quale loro sono stati eletti».
Come pensa evolverà l’amicizia tra Trump e la premier italiana Georgia Meloni?
«Il viaggio della Presidente del Consiglio in Florida ha riscosso un successo enorme e le ha consentito di riportare a casa la giornalista «rapita» dagli iraniani. C’è una consonanza valoriale tra il trumpismo e la maggioranza di destra che sostiene Georgia Meloni. Ma nei rapporti fra gli Stati prevale sempre l’interesse. Se Trump decidesse di alzare i tassi doganali sui formaggi e vini italiani oltre che sulle macchine tedesche e duplicare il contributo delle spese per la Nato (dal 2% al 5%), le pacche sulle spalle, i sorrisi e l’amicizia conterebbero poco rispetto ai miliardi in ballo. La Nato soprattutto, per Trump è un’arma di pressione: se l’Europa vuole lo scudo americano anche nucleare, deve pagare».