Il medico che suona il corno delle Alpi ai suoi pazienti
Se non ci fosse stato Idi Amin Dada, probabilmente il Ticino non avrebbe mai conosciuto il dottor Nok. A fine ottobre del 1978, il feroce dittatore ugandese invase la Tanzania e lui, Notker Nok Kessler - oggi conosciuto perché suona anche il corno delle Alpi ai suoi pazienti - dovette disfare in tutta fretta le valigie che aveva preparato per i suoi sei mesi di praticantato proprio in quella regione africana devastata dalla guerra. Perché la Tanzania era improvvisamente diventata off limits.
Al quinto anno di università, il giovane sangallese fu quindi costretto a scegliere un’altra destinazione per concludere i suoi studi in medicina. Archiviato il sogno africano, ripiegò sul più tranquillo Ticino. A Lugano, presso l’Ospedale Italiano, trovò il posto ideale per il momentaneo praticantato. Ma invece del mal d’Africa fu stregato dal mal del Ticino, cosicché il provvisorio - come spesso accade - divenne definitivo.
La vocazione del medico di famiglia
Nok è figlio d’arte: suo padre era il farmacista cantonale di San Gallo, sua madre un’operatrice specializzata in radiologia. Anche sua sorella lavorava nell’ambito sanitario mentre suo fratello era un tecnico di laboratorio. «A casa mancava soltanto il medico», racconta Nok con il suo leggero accento svizzero tedesco. Nok ha dapprima pensato di seguire le orme del padre diventando farmacista «ma poi l’aspetto commerciale legato a questo mestiere mi fece desistere». Neppure l’ipotesi del chirurgo andò a buon fine a causa della grande competizione che aveva notato tra i medici per accaparrarsi gli interventi: «A me piaceva operare con il bisturi, tuttavia mi sembrava un’assurdità lottare per un’appendicite». In realtà Nok era nato per divenire medico di famiglia e lui, in cuor suo, lo aveva sempre saputo.
Iniziò così a specializzarsi: due anni di chirurgia e di ortopedia; due anni di medicina interna, uno di ostetricia e ginecologia, un anno e mezzo di pediatria. Il percorso formativo fu lungo ed impegnativo «tuttavia ci vogliono studi ad ampio respiro per diventare un bravo medico di famiglia».
Lo studio a Giubiasco
Nel 1989 apre il suo studio a Giubiasco. «Finalmente ero medico di famiglia! Ero un Hausarzt, un medico di casa, come si dice in tedesco, definizione secondo me più appropriata date le molte visite a domicilio che occorre effettuare». Mentre cura i primi pazienti, Nok incontra l’amore in un campo estivo per invalidi. È Antonella, docente bellinzonese che diventerà sua moglie e la madre dei loro due figli. Dalle sue prime visite a casa dei malati, sono passati più di 35 anni ma il dottor Nok non se la sente di andare in pensione perché nel nostro Paese c’è una carenza cronica di medici.
Sei medici di famiglia su 10 hanno più di 65 anni
«Io ho 70 anni, non dovrei più lavorare eppure sono ancora in attività e come me il sessanta per cento dei medici di famiglia in Svizzera. Oggi sei medici di famiglia su dieci hanno più di 65 anni e questo non va bene». Purtroppo il problema è conosciuto; negli ultimi anni, la formazione di medico di famiglia ha perso attrattività tra gli studenti di medicina. «Ormai siamo in via di estinzione! Ci vorrebbero più giovani ma purtroppo in questo mestiere si lavora più di quanto si guadagna rispetto ad uno specialista e ciò non incentiva chi è fresco di laurea. È una professione difficile, che non dà tregua. Ancora oggi mi capita di uscire per un’urgenza nel cuore della notte, oppure di rincasare a tarda sera. Tuttavia le soddisfazioni sono così tante che quando torno a casa dimentico tutti i sacrifici».
Le soddisfazioni sono cresciute da quando Nok ha scoperto la musica tradizionale svizzera grazie a due amici, che lo hanno spinto ad imparare l’organetto e il corno delle alpi: «Ho cominciato ad utilizzare i due strumenti come mezzo di comunicazione con i miei pazienti più anziani: la loro reazione alla musica è stata sorprendente!», racconta Nok. «Ad esempio quando vado in Val Morobbia a volte infilo in auto corno e organetto insieme a stetoscopio e termometro. Quando raggiungo i miei pazienti chiedo loro «vuoi la suonatina o la punturina?» e loro mi rispondono ridendo che la puntura non serve un gran che, che preferiscono piuttosto una bella «suonatina». Così, dopo averli visitati, mi piazzo con il corno delle Alpi in mezzo al loro giardino e inizio a suonare. Tra noi si instaura un rapporto che va oltre a quello tradizionale».
La donna di 93 anni che lo aspetta
Il contatto umano è fondamentale in questo mestiere e secondo Nok la musica aiuta a rinsaldare il legame medico/paziente. «C’era una donna anziana - ricorda il dottore - che non vedeva l’ora di sentirmi suonare l’organetto. Ormai era bloccata in camera e le sue giornate erano interminabili. La musica le cambiava la giornata; io per lei non ero più soltanto un medico, ma qualcuno che le faceva provare emozioni ormai sepolte, che le offriva un diversivo dal solito trantran».
Chiacchierando con Nok, si percepisce che i suoi concertini improvvisati non fanno bene soltanto ai suoi pazienti.
«C’è una signora di 93 anni - confida il medico - che in un primo momento sembrava spegnersi, ma che ora sembra aver deciso di vivere ancora a lungo. Ora la visito due volte la settimana. Con lei ho instaurato un rapporto bellissimo, perché ha una visione spirituale della vita che mi affascina. Tra una suonata e l’altra ci confrontiamo su diversi temi ed io imparo molto da lei».
Prima di lasciarlo, chiediamo cosa consiglierebbe ad un giovane laureato in medicina. «Direi di buttarsi! cosa c’è di più arricchente di tutte queste esperienze di vita?»