Quando in Ticino la Giustizia fa la lumaca
Oltre 16 anni in un limbo. Oltre 16 anni senza poter disporre dei propri beni, senza poter condurre una vita normale, in attesa che la giustizia faccia finalmente il suo corso. Il caso che approderà giovedì 13 giugno davanti alla Corte di appello e di revisione penale è probabilmente da Guinness dei primati, almeno per quanto riguarda la giustizia ticinese.
In aula compariranno l’ex gerente e un ex dipendente del bar Corona di Pambio-Noranco, un cittadino italiano e un portoghese, che erano stati arrestati il 19 maggio 2008 nel corso di un blitz anti-prostituzione ordinato dall’allora procuratore pubblico Mario Branda. I due uomini erano sospettati di interferire nella libertà d’azione delle donne attive nel locale a luci rosse, imponendo loro degli obblighi di presenza e di consumazione, nonché limitando il tempo in camera con il cliente a mezz’ora. «E se si rimaneva in camera più a lungo il cliente era obbligato a pagare una bottiglia di champagne di 100 euro circa», raccontava allora una donna a Ticinonews.
L’inizio di un’odissea
Tutte accuse che il procuratore Branda tradusse nelle ipotesi di reato di tratta di esseri umani, promovimento della prostituzione e infrazione alla legge federale sugli stranieri. Idue uomini, che all’epoca avevano rispettivamente 47 e 46 anni e oggi sono alle soglie della pensione, trascorsero due mesi in carcerazione preventiva e si videro sequestrare ingenti importi di denaro, tuttora non restituiti visto che la causa non è chiusa.
«L’ex gerente ha smesso di vivere il giorno in cui è stato arrestato - dice una persona vicina all’imputato -. Da allora non si è più ripreso, è rimasto schiacciato sotto il peso di accuse che non corrispondevano alla realtà. È stato ucciso dalla giustizia, per aver fatto quello che all’epoca facevano tutti. Ora, dopo sedici anni, non è più possibile riparare i danni».
L’operazione rientra infatti in un periodo storico in cui il Ticino era diventato una sorta di Mecca del sesso a pagamento, con una quarantina di postriboli in cui operavano tra 600 e 1000 ragazze, secondo le stime, poiché molte di esse sfuggivano ai controlli ufficiali. Basti pensare che in occasione del blitz al Corona, la polizia vi trovò 18 ragazze, di cui solamente tre in possesso di regolare permesso.
Ora il business si è parecchio ristretto e nei 9 locali erotici autorizzati restano solo un centinaio di ragazze. Tuttavia la giustizia deve ancora finire di fare i conti con quel periodo in cui la prostituzione sembrava un fenomeno incontrollabile.
Dieci anni per il primo processo
Ce n’è voluto di tempo. Ce n’era voluto già parecchio per giungere in aula la prima volta, in Pretura penale, l’11 giugno 2018, quindi dieci anni dopo gli arresti. «La violazione del principio di celerità è crassa», disse quel giorno l’avvocatoMarco Garbani, patrocinatore dell’ex gerente che questo giovedì sarà invece difeso dall’avvocato Christopher Jackson.
Nella commisurazione della pena, la giudice Elettra Orsetta Bernasconi Matti tenne conto delle eccessive lungaggini dell’inchiesta, ma decise comunque di confermare i decreti d’accusa stilati l’anno precedente dal procuratore generale John Noseda e condannare i due imputati a una pena pecuniaria sospesa (90 aliquote giornaliere).
Ma la vicenda non era finita lì, poiché nel 2021 il Tribunale federale accolse un ricorso dell’avvocato Garbani e dichiarò nulle le due sentenze a causa di violazioni del diritto federale nel corso dell’istruttoria. Ai due indagati era infatti stato negato il diritto di controinterrogare le undici prostitute le cui deposizioni erano diventate la spina dorsale dell’accusa. In parole semplici, tutto sbagliato, tutto da rifare.
Si arriva quindi a un nuovo atto d’accusa, sempre per promovimento della prostituzione ma questa volta stilato dal procuratore generale Andrea Pagani. Verrà dibattuto giovedì in Pretura a Locarno, a esattamente sei anni dal primo processo. In totale fanno sedici anni, quindi più del termine di prescrizione di quindici anni.
«La regola vuole che la prescrizione non corra più se c’è stato un giudizio di primo grado - spiega l’avvocato Costantino Castelli, che difende l’ex dipendente -. In ogni caso i tempi sono stati troppo lunghi. È stata un’attesa logorante che ha avuto ripercussioni rilevanti sulla vita del mio assistito.Auspichiamo che finalmente si possa chiudere questa pagina».