Benessere

Quando lo sport può fare male

Prevenire o curare? Tre specialisti di medicina sportiva si sono confrontati a Berna sugli sviluppi del settore
Marco Ortelli
06.10.2024 14:56

Nell’ambito delle sue conferenze annuali, il Gruppo Swiss Medical Network ha adunato giovedì 3 ottobre a Berna relatori di alto livello nazionale e internazionale per discutere gli ultimi progressi della medicina dello sport. Tra questi anche i ticinesi Danja Santini, Marco Marano e Mattia Piffaretti, ai quali abbiamo chiesto di tratteggiare i loro interventi.

Chi ben si riscalda...

Già campionessa ticinese nel lancio del martello gareggiando per la Virtus Locarno, Danja Santini è passata dalla pratica sportiva ai trattamenti degli sportivi amatoriali e d’élite. La sua relazione era incentrata sul Protocollo ideale per il riscaldamento, il raffreddamento e il recupero. «Incontro sia i professionisti sia i cosiddetti sportivi della domenica - osserva la fisioterapista dello sport - tra quest’ultimi constato che la pratica del riscaldamento è assai scarsa». Non va bene. «Bisognerebbe prendere l’abitudine di riscaldarsi accuratamente, non si tratta di fare molte cose, ma quelle essenziali». Quali? «Osservare ad esempio gli sciatori e le sciatrici della Coppa del Mondo, che prima della partenza praticano degli sfregamenti manuali per mantenere la temperatura corporea». A cosa serve? «A conservare la circolazione sanguigna nei muscoli; a livello articolare i movimenti di mobilità aumentano la temperatura del liquido sinoviale delle ginocchia facendole «cigolare» meno, si acquisisce inoltre una migliore prontezza ed elasticità mentale». La parola chiave del congresso è stata «prevenzione». Danja Santini ha un suggerimento: «Oggigiorno online molti siti propongono esercizi di riscaldamento, io ad esempio uso Fit to Play (fittoplay.org), che tramite video per ogni disciplina sportiva illustra come prepararsi in modo adeguato». Fare un buon riscaldamento aiuta la fase successiva, il recupero. «Quello che riscontro è la differenza tra sportivi d’élite e ‘lavoratori che fanno sport’, i quali rischiano di andare in sovrallenamento perché dopo lo sport si affaticano al lavoro. Si tratta allora di non esagerare troppo - conclude Danja Santini - facendo attenzione alla pianificazione degli allenamenti e dei giusti tempi di riposo, il sonno gioca un ruolo cruciale».

Sì viaggiare... con giudizio

Cresciuto a pane sport con focus pallavolo, Marco Marano ha maturato le prime esperienze professionali operando i giocatori del Milan. Oggi, oltre che all’Ars Medica, interviene sul campo per i giocatori delle squadre di Lugano del calcio e dell’hockey. Nella sua relazione, oltre a illustrare come prevenire gli infortuni nelle squadre professionistiche di calcio si è soffermato sulla gestione dei viaggi (pullman, aereo, treno): «Per gestire una trasferta in modo ottimale bisogna considerare tre fattori principali, il viaggio in sé, il cibo e le fasi di sonno. Per ottimizzare le ore di viaggio, si cerca di limitare le complicazioni che possono derivare dallo stato di immobilizzazione. Vengono ad esempio molto utilizzate le calze compressive che evitano il ristagno del sangue e agevolano il ritorno venoso». Invece di stare fermi «consigliamo, nel limite del possibile, di muoversi». Giunti a destinazione si tratta di alimentarsi e dormire. Alle strutture che ospitano la squadra su indicazione del nostro chef vengono date precise istruzioni. «Chiediamo alimenti freschi, cucinati al momento, tendenzialmente biologici e a bassissimo contenuto di grassi, senza fritti e cotture non troppo lunghe». I pericoli maggiori sono le infezioni. «Ogni giocatore deve avere il suo piatto, nessun alimento deve essere toccato con le mani». Le mani, il vettore più importante delle infezioni. «In tal senso cerchiamo di limitare i contatti dei giocatori tra loro». Poi arriva la sera… «Si è constatato che per uno sportivo è determinante dormire almeno sette ore, cosa non evidente, la sera prima di una partita. Cerchiamo di dare ai giocatori un letto più grande del normale e se necessario quando l’adrenalina sale utilizziamo la melatonina. Vi è anche un orario limite per il rientro in stanza». Nella speranza che i tifosi ospitanti non organizzino concerti e fuochi d’artificio davanti all’albergo.

La parola allo psicologo

Mattia Piffaretti, già sportivo d’élite nel basket (due campionati e due coppe svizzere col Pully), in qualità di psicologo dello sport è intervenuto alla conferenza Sport Day di Berna riferendo sul tema: Le sfide degli atleti e le strategie per promuovere salute mentale, fiducia in sé stessi e resilienza.

Quali allora le principali sfide per gli atleti?

«Se ci concentriamo sui calciatori, possiamo vedere come le richieste oggi siano enormi. Tuttavia, questo vale per tutti gli sport ad alto livello. La tecnologia, con l’introduzione di strumenti sempre più avanzati per monitorare e giudicare le prestazioni, ha sicuramente elevato il livello di competizione, mentre attrezzature e abbigliamento sportivo hanno subito importanti evoluzioni. Tuttavia, la realtà è che la prestazione continua a richiedere un impegno fisico impressionante. Di conseguenza, la pressione sugli atleti è immensa, e sempre più di loro riconoscono che la salute mentale è un aspetto fondamentale, da difendere con forza».

Quali strategie possono adottare?

«Più che parlare di strategie, preferirei usare il termine «raccomandazioni». Prima di tutto, è essenziale prendersi cura della propria salute mentale, anche prima di quella fisica. Questo significa sviluppare una sana igiene mentale quotidiana. Affidarsi a un professionista, come uno psicologo dello sport o un preparatore mentale qualificato, è fondamentale, soprattutto quando le sfide atletiche sono costanti e quotidiane. La resilienza, la fiducia in sé stessi e il benessere psicologico sono le basi su cui costruire una carriera duratura e di successo».

Di uno sportivo si dice che ha un affaticamento muscolare, si può parlare anche di «affaticamento cerebrale»?

«Certo che atleti che vivono in un ambiente che li espone a costante pressione, e che non beneficiano delle adeguate misure di recupero, dal profilo fisico (ad esempio attraverso riposo, alimentazione...), psichico (ad esempio attraverso training mentale, e coltivazione di un dialogo interno positivo …) e motivazionale (attraverso un equilibrio di vita, ed un controllo maggiore sulle proprie scelte ed il proprio tempo), possono entrare in forme di affaticamento mentale che alla lunga possono sfociare in burnout e depressione. Esempi come quelli di Michael Phelps nel nuoto o Naomi Osaka nel tennis sono delle fonti di sensibilizzazione alla problematica della salute mentale, che devono incoraggiare tutti gli sportivi, indipendentemente dal tipo di sport praticato e grado di professionismo, a chiedere misure di prevenzione più decise da parte delle strutture sportive».

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