Quanti ticinesi hanno i Bitcoin sotto il materasso?
C'erano una volta in Ticino i conti bancari non dichiarati, i mazzi di banconote nascosti nei caveau e quelli stipati sotto il materasso. Questi ultimi in realtà sono ancora lì o almeno dovrebbero - se non sono stati spesi o rubati - ma tutto il resto è sparito.
L’epoca del sommerso è dunque finita con il segreto bancario? Neanche per sogno. Oggi il fisco in Ticino ha un’altro problema e si chiamano criptovalute. Sono «ancora relativamente pochi» i contribuenti ticinesi che indicano di possedere Bitcoin o simili al momento di compilare la dichiarazione d’imposta, rispetto alla diffusione che gli indicatori di mercato sembrano suggerire.
La punta dell’iceberg
«Non esistono cifre precise, ma abbiamo diversi casi di contribuenti che dichiarano regolarmente le criptovalute e pagano le imposte di conseguenza» spiega il direttore della Divisione delle contribuzioni Giordano Macchi. «In alcuni casi la sostanza è aumentata significativamente nel corso degli anni, per via della crescita delle quotazioni delle monete digitali». La sensazione però è che la diffusione delle crypto sul territorio sia molto più ampia di quanto dichiarato.
Lugano in particolare è diventata una «capitale delle crypto» negli ultimi anni, e l’arrivo di super-contribuenti legati al settore è stata esibita dal Municipio come prova del successo del Plan B cittadino. L’incoronazione dell’imprenditore Giancarlo Devasini a «uomo più ricco» del Ticino da parte di Bilanz - vedi sotto - sembra aver segnato il passo della nuova piazza crypto-finanziaria. Ma se i nuovi arrivi rientrano forse nella categoria dei globalisti, e quindi tassati con un forfait - il Cantone non fornisce informazioni al riguardo per ragioni di privacy - l’effetto emulazione sui piccoli-medi risparmiatori ancora è difficile a vedersi.
Crescita vertiginosa
Eppure i numeri parlano chiaro. La domanda di crypto continua a salire: il valore del Bitcoin negli ultimi dieci anni è aumentato da 900 dollari (dicembre 2014) ai 99mila attuali, dopo un picco di 100mila all’indomani dell’elezione di Trump. Mentre le banche «facevano i compiti» il mondo delle valute digitali è cresciuto nell’assenza di regole. «In generale è possibile che in questo lasso di tempo una parte dei contribuenti che volevano sottrarre risorse all’imposizione fiscale abbiano virato dalle monete tradizionali a quelle nuove» avverte il direttore della Divisione delle contribuzioni.
Non è un segreto, anzi è uno dei motivi per cui la Confederazione ha aderito al Carf, l’accordo sullo scambio automatico delle informazioni in ambito crypto promosso dall’OCSE sul modello di quello bancario, che entrerà in vigore in Europa (Svizzera compresa) a partire da gennaio 2026.
Verso la fine del segreto
«Da quel momento in avanti le piattaforme che commerciano in criptovalute dovranno comunicare in modo automatico i dati dei possessori alle autorità fiscali dei paesi di residenza un po’ come fanno già ora gli istituti bancari» spiega Giordano Macchi. In questo modo «per chi cerca scappatoie per non pagare le tasse sarà molto meno conveniente appoggiarsi allo strumento delle criptovalute, che ora presentano un’attrattiva per gli aspiranti evasori in ragione della loro tracciabilità ridotta».
È come nel gioco di guardie e ladri: fatta la legge i «furbetti» si spostano verso un vuoto normativo, poi la legge arriva anche lì, e avanti così in un acchiapparello apparentemente infinito.La previsione del direttore della Divisione delle contribuzioni è che «in futuro avremo molte più criptovalute dichiarate di oggi, e anche più strumenti per controllarle». Al momento il sommerso viene a galla «in situazioni puntuali dove a seguito di segnalazioni o vertenze legali veniamo a conoscenza di una discrepanza tra quanto dichiarato dal contribuente e quello che emerge da altre fonti».
Il «wallet» nascosto magari in una chiavetta USB è l’equivalente delle già citate banconote che spuntano fuori dal materasso, in un modo o nell’altro, anche a distanza di anni. «È chiaro che la valuta digitale che non passa dalle piattaforme di scambio rimarrà poco o per niente tracciabile, proprio come continua ad avvenire ancora per i contanti» conclude Macchi. Tuttavia, i livelli della crypto-evasione dovrebbero «diminuire sensibilmente rispetto a quello che si presume essere il livello attuale». Quanto sia quest’ultimo è difficile dirlo, come sempre quando si tratta di sommerso: almeno finché non verrà alla luce.
«Serve tempo ma vedremo gli effetti sui conti pubblici»
I conti della «capitale» delle criptovalute sono in profondo rosso. L’arrivo in città di diversi cripto-imprenditori e cripto-imprese non salverà la Città da un piano di risparmio che si prospetta doloroso, almeno a breve termine. Il sindaco di Lugano però resta ottimista sul futuro. «Tra l’arrivo della persona e la notifica di tassazione trascorre del tempo» spiega Michele Foletti. «Gli effetti non si vedono nell’immediato ma ci sono evidentemente. Non possiamo guardare i casi singoli, esiste il segreto fiscale, ma l’arrivo di nuovi contribuenti è una delle voci positive in generale». Il Municipio non a caso ha messo a preventivo per l’anno prossimo 11 milioni di franchi in più di gettito dalle persone fisiche (da 198 a 209 milioni). Soldi che «non verranno tutti dai Bitcoin, non possiamo saperlo, sicuramente le criptovalute da sole non salveranno la Città ma per migliorare i conti si può agire solo in due modi: diminuire i costi e aumentare le entrate».
Appunto per aumentare le entrate, nei mesi scorsi il Municipio ha lanciato l’«operazione Londra» avviando iniziative nel Regno Unito per attirare stranieri facoltosi in fuga dalle tasse del governo laburista (il tedesco Christian Angermayer, anche lui attivo nel mondo cripto, è il primo risultato: porterà sul Ceresio il suo patrimonio di 1,1 miliardi). «Stiamo cercando di posizionare Lugano come destinazione dove vivere e portare aziende, in una competizione che si sta facendo sempre più globale» sottolinea Foletti. «Le criptovalute sono uno degli elementi attrattivi su cui puntare, in un contesto normativo come quello svizzero che per fortuna si è mosso presto e molto bene». Quanto alle dichiarazioni fiscali, il sindaco non mette la mano sul fuoco. «Non so se in futuro le cripto verranno più dichiarate o meno. Dipende dal comportamento delle persone, ma la colpa non è certo dello strumento in sé».