Quarant'anni prima di diventare svizzera
Nata a San Gallo da genitori calabresi, Maria Pappa ha atteso quarant’anni prima di diventare svizzera. Poi, appena ottenuto il passaporto, ha bruciato le tappe della politica fino a diventare, l’anno scorso, sindaco della città. «La mia elezione è stata motivo di orgoglio per tanti immigrati, non solo italiani - dice -. È un segnale incoraggiante per tutti coloro che tendono ancora a non sentirsi parte della società».
Signora Pappa, quando ha deciso di diventare sindaco di San Gallo?
«A dire il vero non avevo mai pensato di diventare sindaco. Prima della naturalizzazione, dieci anni fa, non avevo alcun interesse per la politica, non sapevo nemmeno come funzionassero i partiti. Ma quando ho ottenuto il passaporto, ho ritenuto giusto provare a fare la mia parte».
Perché ha atteso 40 anni per chiedere il passaporto svizzero?
«Non mi è mai piaciuta l’impostazione della procedura di naturalizzazione. Invece di tendere le braccia verso coloro che sono nati qui, di farli sentire benvenuti, si chiede loro di dimostrare di essere dei buoni svizzeri, di non avere debiti e via dicendo. È demotivante».
Lei si sente una «buona svizzera»?
«Io sono come una pianta che ha le sue radici nella terra calabrese, ma che è cresciuta con l’acqua e il sole della Svizzera. Mi piace l’idea di poter prendere quello che mi piace nelle due culture».


Quanto sono distanti l’Italia e la Svizzera?
«Una volta, tantissimo. I primi italiani che sono arrivati a San Gallo non hanno avuto una vita facile. Qui la gente non conosceva l’Italia, era diffidente. Oggi le cose sono cambiate, l’Italia è considerata come un fratello. Sebbene resti comunque un’altra cultura».
In che modo lei è rimasta italiana?
«Beh, sono molto emozionale, ho un temperamento diverso dagli svizzeri. E quando parlo gesticolo con le mani, anche se non così tanto come vedo fare i parlamentari italiani».
Le chiedono mai della ‘ndrangheta?
«Qui in Svizzera c’è un atteggiamento strano nei confronti della mafia, c’è una sorta di fascinazione. La gente pensa ad Al Capone, c’è un’immagine molto legata alla cinematografia. Che non corrisponde alla realtà».


Lei parla dialetto calabrese?
«Sono cresciuta parlando dialetto calabrese in casa e svizzero tedesco fuori casa. L’italiano lo usavamo solo quando incontravamo altri italiani di altre regioni, non l’ho mai praticato molto».
Parla ancora dialetto?
«L’ho perso molto. Quando vado in Calabria faccio fatica a capire gli anziani che parlano dialetto stretto. Ci sono parole molto diverse dall’italiano. Per esempio, coltello si dice trincia. Cosa c’entra?».
In effetti... Ma in Calabria, come la considerano?
«Siamo sempre stati considerati gli svizzerotti. Ma ora che sono diventata sindaco, beh, sono molto fieri. Hanno anche organizzato una festa in mio onore».


Lei è cattolica praticante. Come mai non è entrata nel partito cattolico, il PPD?
«Effettivamente è il primo partito cui ho pensato, quando ho deciso di entrare in politica. Ma poi ho ritenuto che fosse troppo a destra per me. A livello di programma, il mio partito ideale sarebbe stato il Partito cristiano sociale, ma qui a San Gallo non ha peso politico, è semplicemente una costola del PPD».
Come mai è finita nel PS?
«Durante un trasloco ho avuto l’occasione di parlare con una persona attiva nel Partito socialista. Mi ha proposto di candidarmi sulla lista delle donne socialiste. Io ero titubante, temevo fossero troppo a sinistra. Lui mi ha invitato a conoscere le persone e poi a prendermi il tempo per riflettere sulla candidatura».
Come l’hanno convinta?
«Ho trovato un ambiente molto aperto. Mi hanno detto che non dovevo per forza condividere tutte le posizioni del partito, bastava che ne sottoscrivessi almeno il 70%. E così sono entrata nel PS».


È ancora felice di essere nel PS?
«Sì, sento di essere nel partito giusto per me, sono soddisfatta della mia scelta».
Ultimamente però il PS si sta spostando a sinistra e alcuni moderati migrano verso i Verdi liberali.
«Ogni partito è sempre in movimento. Io ho l’impressione che il PS resti un partito molto aperto. I nuovi presidenti Mattea Meyer e Cédric Wermuth cercano il dialogo con tutti, non sono degli estremisti. Mentre i Verdi liberali sono sensibili ai temi ambientali, ma non sono sicuramente un partito di sinistra».
Secondo lei esiste una spaccatura tra città e campagna?
«Sì, purtroppo questa spaccatura sta crescendo. Noi in città abbiamo più problemi e più costi da sostenere. I paesi più piccoli possono abbassare il moltiplicatore, mentre noi dobbiamo mantenerlo alto altrimenti non riusciamo a pagare tutto».


Il presidente UDC Marco Chiesa dice che le città vivono sulle spalle delle campagne.
«Diverse analisi hanno dimostrato che quanto dice Marco Chiesa è falso. La sua è una polemica senza fondamento».
È stata a Berna per la finale di Coppa Svizzera tra San Gallo e Lugano?
«Certo, ero allo stadio».
Aveva già preparato il discorso in caso di vittoria?
«No, il discorso no, però avevamo previsto dei festeggiamenti in caso di vittoria».
Non sarà stata una grande domenica per lei.
«Purtroppo no, per la seconda volta di fila ci è andata male. Ma possiamo prendercela solo con noi stessi. Il Lugano non ci ha rubato niente. Ha giocato meglio ed ha vinto. Complimenti a loro».