Società

Quei ragazzi geniali

Avere un alto potenziale cognitivo spesso è uno scoglio – «Per i docenti serve più informazione»
Giorgia Cimma Sommaruga
05.06.2022 16:59

Intelligenze multiple, neurodiversità, legami tra emozioni e apprendimento. Negli ultimi decenni, sempre più spesso, genitori, docenti, e psicologi si sono confrontati con queste tematiche. Tanto che, «siamo ormai tutti concordi che gli allievi più difficili da gestire ed aiutare non sono sempre quelli con un ritardo cognitivo», spiega Giovanni Galli, l’unico psicologo e psicopedagogista in Ticino specializzato in APC (alto potenziale cognitivo). «Gli allievi più «complessi»- spiega lo psicologo - sono a volte molto svogliati, a volte troppo esuberanti. Oppositivi o totalmente remissivi… insomma tutti quegli allievi che sembra abbiano spento le loro emozioni, o al contrario le abbiano perennemente a fior di pelle. Ci sono gli allievi con i disturbi specifici di apprendimento - continua lo specialista-. Ci sono poi quelli che hanno perso la motivazione o che faticano a gestire le proprie funzioni cognitive ed esecutive. Fra questi ci sono pure i giovani detti plusdotati o giovani ad alto potenziale cognitivo».

Una forte passione per la lettura

Marta è la mamma di Carlo che oggi ha 15 anni, ed è un ragazzo ad alto potenziale cognitivo. Tuttavia, per Marta, parlare di plusdotazione non è stato semplice. «Inizialmente c’era molto pudore nel farlo: arriva la mamma del genio, si vociferava a scuola, senza comprendere che la neurodiversità è una cosa seria».

I primi segnali sono arrivati quando Carlo frequentava l’asilo: «Nei momenti in cui non era stimolato, e si annoiava, combinava delle marachelle. Inizialmente questa cosa ci ha anche fatto sorridere, ma poi - racconta Marta - quando Carlo è arrivato in prima elementare sono iniziati i problemi». Curiosità, precocità nel leggere e scrivere, sensibilità, interesse per temi importanti della vita, e conoscenze enciclopediche. E, ciliegina sulla torta, una elevata capacità mentale e cognitiva.

«Carlo mostrava una attenzione maniacale al linguaggio: mi ricordo ancora quando, all’età di 5-6 anni, una sera gli dissi: «Si è fatto tardi, penso che dovresti andare a lavarti i denti», e lui non lo fece, io mi arrabbiai perchè leggevo il suo comportamnto come una sfida. Gli chiesi il motivo per cui non mi ascoltava. E lui mi rispose: Mamma, tu hai detto dovresti, non devi. Si tratta di un consiglio, non di un ordine, dunque io sono libero di seguire il consiglio oppure no. Io rimasi spiazzata».

Con l’inizio delle scuole elementari Carlo era molto frustrato, si annoiava. «Il vero campanello di allarme è stato quando mi sono resa conto che la sera non leggeva più. E lui amava la lettura. Mi disse che non voleva più leggere se no andava troppo avanti rispetto agli altri. Così mi sono rivolta al nostro pediatra che mi ha consigliato un test per calcorare il QI e la diagnosi è stata che mio figlio è un APC. Scoprire il «problema» ci ha dato sollievo».

Nella mia carriera mi è capitato una sola volta di trovarmi in classe un APC, ed è sta una bellissima esperienza per me, non nego però che è stata molto dura all’inizio
Andrea, docente di scuola elementare

Una grande sfida: la scuola

Indubbiamente difficile, per un docente, trovarsi di fronte a quell’alunno impertinente che: «Maestro non si dice così», oppure «No maestro il risultato della moltiplicazione non è questo». Figuriamoci alle elementari, quando di fronte ci si trova un bambino. «Tuttavia, è proprio da queste situazioni, eccezionali e particolari, che bisogna trovare lo stimolo, e la giusta chiave per confrontarsi con i propri alunni», spiega Andrea, docente di scuola elementare. «Nella mia carriera mi è capitato una sola volta di trovarmi in classe un APC, ed è sta una bellissima esperienza per me, non nego però che è stata molto dura all’inizio, perché non capivo e non avevo gli strumenti per potermi porre nel modo giusto nei suoi confronti». Ma, dopo le prime difficoltà, «mi sono confrontato con uno specialista, e ho trovato il giusto modo: il mio alunno aveva una conoscenza enciclopedica, era davvero spiazzante, aveva sempre una soluzione per ogni problema, spesso molto diversa da quella che proponevano gli altri alunni». Tuttavia, se dal punto di vista didattico Andrea si è reso conto che poteva fare poco, perché non poteva dimenticare di avere una classe intera da seguire, e non poteva quindi passare le ore fra i banchi a stimolare una sola mente, si è reso subito conto che almeno in un modo, poteva lasciare il segno, sulla formazione del suo alunno. «Non andava molto d’accordo con i sui compagni, è normale, ho capito dopo. La sua capacità mentale e cognitiva andava oltre quella dei suoi compagni di scuola, dunque, oltre ad annoiarsi in classe, si annoiava anche noi giochi con loro. Ma ho trovato il modo per farmi ascoltare grazie ai consigli del dottor Galli e sicuramente, nel corso di quell’anno scolastico, il mio allievo ha sviluppato una maggiore propensione alla collaborazione, e quindi ad andare d’accordo con i suoi compagni di classe. Di questo serbo un ottimo ricordo e ne sono molto fiero».

Genitori e maestri: due ruoli importanti

«Certamente chi coglie i primi segnali di un giovane plusdotato sono i genitori più che i maestri - spiega Giovanni Galli -. Tuttavia è auspicabile che vi sia una collaborazione tra le due figure per il bene e lo sviluppo del bambino. Mi rendo conto che spesso i docenti sono sommersi da imcombenze di ogni genere e la responsabilità di una intera classe. Ma non bisogna lasciare nessuno abbandonato a sè stesso. Per questo motivo ho scritto un vademecum indirizzato ai docenti. Con questo fascicolo voglio indicare le basi della gestione scolastica dell’alto potenziale cognitivo (plusdotazione) a scuola. Fornire un prontuario di nozioni relative all’alto potenziale cognitivo, nonché alcuni strumenti di base per l’intervento pedagogico».

Ad oggi non esistono statistiche precise che indagano se c’è correlazione tra disturbi comportamentali in età adulta, e plusdotazione. «Tuttavia - osserva lo psicologo - da un punto di vista clinico, spesso i giovani APC non seguiti, sviluppano disturbi depressivi; mentre da un punto di vista statistico, non vi sono conferme evidenti. Per quello che concerne la mia esperienza, posso dire che se questi giovani non hanno stimoli nel loro percorso di crescita, non hanno un progetto da seguire, e non sono incentivati nel compierlo, essi con facilità possono cadere nelle addizioni, nel disimpegno, nella perdita di senso, in disturbi narcisistici, depressioni, come pure disturbi ossessivi compulsivi. Quindi rinnovo il mio invito a non sottovalutare questa neurodiversità».

Se questi giovani non hanno stimoli nel loro percorso di crescita, non hanno un progetto da seguire, e non sono incentivati nel compierlo, essi con facilità possono cadere nelle addizioni, nel disimpegno, nella perdita di senso
Giovanni Galli, psicologo e psicopedagogista

Un piccolo grande aiuto

Alto potenziale cognitivo a scuola. Riconoscere e formare l’allievo. Vademecum per i docenti. Un prontuario di una trentina di pagine, edito dall’associazione ZPS (Zona prossimale di sviluppo).

«I bambini APC non son proprio un esempio di studente diligente, spesso i loro risultati scolastici non corrispondono alle loro effettive capacità», spiega Galli. Perchè? Semplice. Perché gli esercizi ripetitivi li annoiano. «Oggi in Ticino, la popolazione scolastica APC può variare dal 2.5 al 5%, presumibilmente, ma potrebbero essere molti di più: è quindi estremamente importante formare i docenti».

Durante i percorsi di terapia psicopedagogica costruiti su misura per ogni caso, l’esperto esclude l’uso del mero esercizio, «che non funziona e li annoia», ma incentiva l’uso dell’algoritmo, ad esempio fare di conto, per realizzare un progetto.