Quei ragazzi senza la quarta media
«Sinceramente, vorremmo che questo progetto non esistesse più». Le parole di Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute, sono paradossali solo in apparenza. Perché in realtà senza l’iniziativa che l’associazione che dirige porta avanti da 15 anni molti giovani non solo non riuscirebbero a ottenere la licenza di scuola media ma si ritroverebbero ancora più emarginati, fuori dalla società, ritirati in sé stessi, chissà dove. In un Ticino che discute da anni di una riforma della scuola dell’obbligo, che vuole tenere il passo del mercato del lavoro e che cerca di trattenere i cervelli migliori, vivono anche decine e decine di giovani che non hanno neppure la prima casella di partenza, quella licenza di quarta media che permette di iniziare almeno un apprendistato e immaginare così un inizio di futuro.
Sembra assurdo, ma è così. Anni e anni di scolarizzazione di massa, di creazione di istituti universitari e percorsi accademici e dall’altra parte da almeno 15 anni circa 50 giovani ogni anno in Ticino sono aiutati da Pro Juventute e dallo Stato a non smarrirsi, a non perdersi per sempre e ricorrere così, già in giovane età all’assistenza. «Molti di loro non sanno cosa fare, altri vogliono ottenere la licenza media come rivalsa. Ogni caso è diverso». Giacomo Petruccelli, responsabile del progetto, parla dei ragazzi che frequentano il corso da privatisti come se li conoscesse a fondo ed è così.
Gli stati d’animo
Su una lavagna della sede di Lugano dell’associazione sono stati appiccicati dai giovani dei bigliettini. Ognuno di essi contiene una parola o un concetto che riassume le loro paure: attacchi di panico, concentrazione, rispettare gli orari, eseguire il lavoro come viene richiesto.
Non sono affermazioni banali, tutt’altro. Perché riflettono gli stati d’animo in cui sono rimasti incagliati. «La cosa che può sorprendere è che non si tratta di ragazzi con deficit cognitivi - riprende Lodi - ma di persone che vivono molto male la loro contemporaneità. Quando parli con loro ti dicono che «non ci stanno più dentro». Sono come alla ricerca di risposte senza però riuscire a farsi le domande giuste. Non trovano le parole. Si ritirano in loro stessi».
Chi abbandona anche l’ultima chance
Affermare che Pro Juventute vorrebbe che questo progetto non esistesse più significa dunque augurarsi che il disagio di questi giovani possa non essere così allarmante e che vengano trovate nuove soluzioni, come quella, ad esempio, di intervenire direttamente durante il periodo scolastico e non dopo come avviene oggi. «I giovani che arrivano a lasciare la scuola senza la licenza media avrebbero bisogno di un accompagnamento che non sia solo scolastico durante il ciclo scolastico stesso - afferma Lodi -. Basterebbero 6 mesi, poi ritroverebbero le motivazioni».
Oggi non è ancora così. Oggi Pro Juventute interviene dopo e non sempre ce la fa come vorrebbe perché non tutti, nonostante i corsi di recupero offerti riescono ad arrivare alla licenza. Sui 50 che si sono iscritti nel 2024 solo 35 hanno raggiunto l’obiettivo. Tutti gli altri hanno dovuto rinunciare. Uno di loro ha frequentato soltanto la prima settimana dei corsi - che si compongono di 12 ore settimanali di lezioni di italiano, tedesco, inglese, matematica, scienze, geografia e storia - perché ha mostrato fin da subito un forte disagio a condividere gli spazi con gli altri compagni e più in generale nella gestione delle relazioni. Un altro si è dimostrato incostante nella frequenza delle lezioni come pure una fragilità emotiva e un importante abuso di sostanze e medicamenti.
Generalizzare è impossibile. Ogni ragazzo ha una storia e un vissuto diversi. In comune hanno però il disagio, l’essere come sospesi, immersi in una bolla esistenziale da cui è terribilmente difficile uscire. E così mentre moltissimi loro coetanei vanno avanti, loro rimangono invece indietro. Una piccola massa di giovani adulti che non immagina e non vede alcun futuro. Non perché hanno studiato e non trovano lavoro, come può succedere e succede in varie fasi della vita ma perché si scollegano troppo presto dalla società e si rinchiudono nelle loro camerette.
Il Covid ha complicato tutto
Una tendenza preoccupante che non fa notizia, che non attira troppe attenzioni e che invece di diminuire sembra inoltre aumentare, se è vero come è vero che Pro Juventute per l’anno che si appresta a iniziare non è riuscita a rispondere a tutte le richieste. Una dozzina di giovani è così dovuta rimanere fuori dal progetto. Non per mancanza di volontà ma di risorse dell’associazione. «Non è facile trovare i finanziamenti», ammette Lodi, sinceramente dispiaciuto. A complicare le cose ci si è messo anche il Covid. «Dopo la pandemia i casi sono aumentati e sono diventati anche più complessi dal punto di vista esistenziale», spiega il direttore di Pro Juventute. E in effetti guardando le statistiche si nota come il progetto è iniziato nel 2010 con 9 ragazzi, mentre per il 2025 sono arrivati a essere 57 con un aumento costante nel corso degli anni. Con l’aumentare delle iscrizioni è ovviamente cresciuta anche la mole di lavoro per l’associazione che si occupa di raccogliere le iscrizioni, organizzare il materiale didattico e di studio, assumere i docenti, tenere i contatti con i ragazzi iscritti, con le famiglie e con gli educatori od operatori sociali che li seguono, organizzare gli spazi, gestire gli orari, disbrigare le questioni amministrative e altro ancora.
«Serve una risposta politica»
Una mole di lavoro che si sovrappone all’impegno di condividere il non facile vissuto esistenziale dei giovani, che esula dunque dal contesto scolastico, ma va a toccare la sfera personale e quindi coinvolge, fa riflettere, provoca emozioni. «Una delle nostre soddisfazioni più grandi è sapere di quelli che ce l’hanno fatta - sottolinea Petruccelli - anche perché dal 2022 prestiamo il nostro aiuto pure dal punto di vista dell’inserimento professionale collaborando con le aziende per offrire così delle occasioni concrete formative e professionali».
Di fronte a questo scenario potrebbero sorgere alcune domande. «La scuola fa tutto ciò che può fare? Quello che fa, corrisponde ai bisogni educativi dei ragazzi oppure siamo di fronte a un problema che richiede più risposte e interventi?», si chiede Lodi. Di sicuro, il mondo, così come la società continuano a cambiare, a trasformarsi, «come dimostrano le mutate esigenze del mercato del lavoro, le aspettative delle famiglie e l’estrema frammentazione dei ragazzi stessi», continua il direttore dell’associazione. Per cercare di rispondere al problema, che è dunque molto complesso e ha diverse sfaccettature, Lodi ne è sicuro, «servirebbe una risposta politica». Ecco perché Lodi si augura che un giorno il progetto possa scomparire e il problema essere affrontato tutti insieme come società. Magari iniziando dalla scuola dove «potrebbe essere organizzato un sostegno che permetta a questi giovani di arrivare al termine della scuola dell’obbligo con la licenza media già in tasca».