Politica

Quel Codice civile creato fra Roma e Wuhan, seguendo l'antico Diritto romano

Alla città conosciuta per essere diventata l'epicentro della pandemia è legato un avvenimento che sta cambiando il volto della Cina: la sua università è tra le protagoniste della nascita del Codice civile della Repubblica popolare cinese
Mauro Spignesi
13.11.2022 15:30

Sino a due anni fa non la conosceva nessuno, nonostante si potesse raggiungere con un volo diretto tri-settimanale da Roma. Poi è diventata l’epicentro della pandemia, e le immagini spettrali di Wuhan, quasi 12 milioni di abitanti, terza città della Cina, sono state rilanciate in tutto il mondo dalle televisioni. Eppure, a Wuhan è legato un avvenimento che sta cambiando il volto della Cina. La sua università, una delle sei più importanti del gigante asiatico, è tra le protagoniste della nascita del Codice civile della Repubblica popolare cinese entrato in vigore nel gennaio 2021.

Un fatto epocale perché finalmente un sistema di regole accompagnerà l’impetuoso sviluppo economico della Cina. Ma dietro questa storia c’è una curiosità: buona parte dei giovani studiosi protagonisti del Codice si sono formati presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università la Sapienza di Roma. Ed è stato il suo preside, il professor Oliviero Diliberto, ordinario di Diritto romano, nonché ex ministro della Giustizia in Italia, a accogliere e formare quei giovani (ormai peraltro non più tali) giuristi cinesi poi «tecnici» fondamentali del progetto. Diliberto, ieri, sabato, ha parlato di questa esperienza durante un convegno nella sala del Consiglio comunale di Lugano, in una iniziativa promossa dal Partito comunista ticinese.

Tre commissioni falliscono

Ma ricapitoliamo andando per tappe. «La storia della codificazione cinese è lunga. Comincia - racconta Diliberto - a fine Ottocento, quando i giapponesi escono dal lungo periodo feudale e chiamano quelli che allora ritenevano i giuristi più importanti in Europa, i tedeschi, per farsi aiutare e redigere un proprio Codice civile (1898). A quel punto, anche la Cina guarda al diritto europeo e nomina una prima commissione per dotarsi di un Codice. Ma fallisce, così come una seconda e una terza. Nel 1931 l’ultima commissione, la quarta, riesce finalmente a redigere un Codice che però non entrerà mai in vigore perché inizia la guerra civile, c’è l’invasione giapponese in Manciuria e lo scoppio della Seconda guerra mondiale. Ma quel “corpus”, con le modifiche necessarie, è ancora in vigore a Taiwan: lo ha portato il capo dei nazionalisti sconfitti e in fuga, Chiang Kai Shek».

Senza regole fondamentali

La Cina resta dunque senza regole fondamentali, «se non quelle - spiega Diliberto - consuetudinarie. E d’altronde in un Paese che non aveva proprietà privata e dunque un mercato sino ad allora non si sentiva la necessità». Nel 1949 nasce la Repubblica popolare e i giovani che volevano studiare diritto venivano spediti a Mosca. Quindi la prima generazione di giuristi ha una formazione occidentale. Poi in Cina scoppia la rivoluzione culturale, c’è la rottura con Mosca e praticamente si deve aspettare Deng Xiaoping con la sua riforma economica per riattivare un interesse verso il diritto. Deng avvia la modernizzazione aprendo alla proprietà privata, ai mercati, al commercio, ai contratti, all’usufrutto, ma non ci sono uffici, non esistono notai, né regole precise.

«Nel 1988, dunque prima di Tienanmen, succede qualcosa di importante. A Roma per un convegno viene invitato l’allora preside di Giurisprudenza all’università di Pechino, Jiang Ping. Che avendo studiato a Mosca, era uno degli studenti che si era formato prima della rottura tra Cina e vecchia URSS, e conosceva bene il diritto romano. E comincia un rapporto di collaborazione con la Sapienza e Pechino per formare giovani giuristi». Contemporaneamente iniziano ad essere tradotti in cinese i testi di diritto romano per rendere accessibile la materia, originariamente in latino, lingua allora quasi sconosciuta in Cina, che pure ha una cultura millenaria.

La svolta a metà degli anni Novanta

Poi avviene la svolta. «A metà degli anni Novanta il governo cinese decide di intraprendere la via della legislazione civilistica e decide di intraprenderla in maniera organica con l’obiettivo proprio di darsi un codice. Le autorità si guardano attorno nel mondo per vedere con chi lavorare. Io nel frattempo, era il 1998, ero ministro della Giustizia, ero (e sono) professore di Diritto romano, per giunta sono comunista. Lo ammetto: una coincidenza astrale formidabile - confessa sorridendo Diliberto -. L’anno dopo vengo invitato a Pechino e la collaborazione si infittisce». Diliberto diventa Chair professor (titolare di cattedra) presso la Zhongnan University of Economics and Law di Wuhan e poi preside. In questi anni ha alternato il suo impegno politico (è stato prima capogruppo di Rifondazione comunista e poi segretario nazionale dei Comunisti italiani prima di abbandonare la politica attiva) con l’attività di ricerca (ha sempre continuato a insegnare anche quando era deputato) e con la sua grande passione, quella dei testi antichi, in particolare giuridici ma non solo (possiede, ad esempio, una collezione di edizioni piuttosto rare de «I promessi sposi»).

Un centinaio di studenti

Ormai sono quasi un centinaio i giovani studiosi cinesi che si sono formati alla Sapienza e molti che poi, una volta tornati in Cina, insegnano o fanno gli avvocati (tra parentesi il fatto di aver scelto il diritto romano agevola le imprese occidentali che vogliono operare in Cina). Altri hanno fatto parte della commissione che ha creato il Codice civile, scegliendo il vecchio diritto romano e non il Common Law anglosassone.

Ed essendo il codice civile cinese il più giovane in assoluto al mondo, «visto - aggiunge il preside de La Sapienza - che è in vigore da un anno e mezzo, è il più aggiornato anche sulle grandi novità sociali, per esempio ha norme che riguardano l’ambito dell’intelligenza artificiale o la protezione della proprietà intellettuale e poi detta una serie di rigide regole sull’ambiente che dopo un periodo di grande inquinamento ora è un tema molto sentito».

Le lezioni in italiano

Peraltro, Diliberto ha chiesto e ottenuto di fare lezione (durante la pandemia a distanza) in italiano, «perché è la lingua del diritto: con l’inglese io posso insegnare chimica e medicina ma, per un fare un esempio, la parola diritto in inglese non esiste, esiste law, ma legge e diritto sono due concetti profondamente diversi. Così agli studenti di Wuhan del primo anno io parlo in italiano e c’è una traduttrice (che è stata mia allieva, Huang Meiling); per il master quelli che frequentano devono conoscere perlomeno i fondamenti della lingua italiana. Inoltre, alla facoltà di Giurisprudenza di Wuhan c’è l’insegnamento della lingua italiana, che non c’è a Lettere, e questo perché l’italiano è funzionale per accedere ai testi giuridici». Tra l’altro il nuovo Codice civile cinese è stato tradotto in italiano (a cura proprio di Huang Meiling), pubblicato da «Pacini giuridica» e presentato al presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella.

Prima della pandemia, Oliviero Diliberto riusciva ad andare a Wuhan per tenere le sue lezioni e gli esami parecchie volte. «L’ultimo anno (il 2019) ho fatto cinque viaggi in Cina - racconta - e devo dire che mi manca molto».