Il commento

Quella politica arrogante con la stampa

L'atteggiamento di diversi politici verso i giornalisti in Ticino è preoccupante
Giò Rezzonico
08.09.2024 06:00

Mi sia permesso di intervenire in qualità di giornalista per reagire a una situazione che mi preoccupa: l’atteggiamento di diversi politici nei confronti della stampa. E non solo!

Qualcuno potrebbe chiedersi: «Ma cosa c’entra tutto questo con la Città-Ticino?». C’entra eccome, perché la nuova realtà cantonale deve fondarsi sui principi democratici sanciti dalla Costituzione se non vuole scivolare nella tentazione delle democrazie illiberali, purtroppo tanto di moda di questi tempi.

Uno stato democratico assegna alla stampa il ruolo di informazione e di controllo della vita pubblica. Naturalmente nel rispetto delle leggi che garantiscono la privacy. Per cui se un giornalista chiede informazioni nel rispetto della legge, le istituzioni sono tenute a fornirle per facilitare il suo lavoro di informare i lettori. E non deve per questo essere giudicato un ficcanaso, ma un professionista che svolge il suo mestiere. Ecco alcuni esempi che giustificano le mie preoccupazioni.

Esempio 1. Il Consigliere di Stato Claudio Zali ha recentemente presentato un’istanza tesa a impedire l’accesso dei giornalisti de «la Regione» all’aula penale nella quale il politico leghista comparirà prossimamente quale presunta vittima in una causa che lo vede confrontato a una donna con cui in passato ha avuto una relazione. È lecito chiedersi: perché il giornalista de «la Regione» no, mentre i suoi colleghi sì? Roberto Porta, presidente di categoria, conclude un suo lucido articolo a questo proposito apparso su «la Regione» del 19 agosto affermando con amarezza: «Da un ministero pubblico l’associazione dei giornalisti si aspetta un atteggiamento ben diverso nei confronti dei media». Soprattutto, aggiungo io, se rappresentante di un partito il cui organo di stampa da anni offende personaggi pubblici e non, facendosi un baffo delle leggi sulla privacy e dell’etica giornalistica.

Esempio 2. Il Consiglio di Stato, sostenuto dal comandante della polizia Cocchi, ha chiesto di impedire l’accesso della stessa testata a un incarto relativo all’episodio dell’ex Macello di Lugano. Il giudice dei provvedimenti coercitivi ha però consegnato i documenti asserendo che «la ricerca della verità viene prima dei sigilli». Come non pensare che si voleva evitare la pubblicazione per proteggere contenuti pubblici scomodi per la politica.

Esempio 3. Il Municipio di Tresa ha impedito a un giornalista del «Corriere del Ticino» di consultare documenti inerenti l’eredità romana della contessa Marcoli, ritenuti fondamentali per riferire ai lettori sulla vicenda.

Esempio 4. Il Consigliere agli Stati Fabio Regazzi ha umiliato in pubblico durante un dibattito televisivo un collega che faceva il suo dovere, dimenticando che il compito del giornalista è sempre quello di garantire un contradditorio, anche a costo di porre domande scomode.

Ciò che preoccupa è che questi atteggiamenti della politica sembrano essere tollerati e non suscitino indignazione. L’arroganza della politica che produce queste situazioni, così come sembra preferire gli amici di partito alla professionalità (si vedano i recenti casi di nomina di magistrati o di rappresentanti del Governo in enti pubblici), rappresenta una grave minaccia per la democrazia.

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