Rischio «letargo» dopo il ricovero di Papa Francesco
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Ogni volta che un papa varca la soglia di un ospedale si ripresenta puntuale la domanda: chi governa la Chiesa in sua assenza? L’interrogativo è tornato dopo il ricovero di Francesco per un’infezione alle vie respiratorie, una polmonite bilaterale che i medici definiscono «complessa» e «complicata», e dunque molto seria.
Il Pontefice è lucido, dicono i suoi collaboratori, riceve visite, legge, studia e continua perfino a lavorare e prendere decisioni delicate (ha pure rimosso un vescovo canadese accusato di pedofilia), ma inevitabilmente ci si chiede cosa succederà nelle prossime settimane, visto che i medici ipotizzano un lungo ricovero.
La macchina della Curia romana, intanto, continuerà a funzionare regolarmente, guidata dal «vice» del Papa, il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin. Formalmente non cambia nulla. Ma nei fatti la presenza del successore di Pietro è determinante per la vita della Chiesa universale: dall’angelus della domenica alle udienze, dai viaggi alle funzioni, fino agli eventi celebrativi. Per non parlare del Giubileo (è stato confermato quello dedicato ai diaconi) che certamente soffre l’assenza del suo artefice.
Se il vuoto dovesse prolungarsi la Chiesa entrerebbe in una sorta di letargo istituzionale, poiché il canone 335 di diritto canonico stabilisce che quando la sede di Roma è «vacante o interamente impedita» nulla deve essere «innovato per il governo della Chiesa». Va detto che ogni pontefice si preoccupa di premunirsi da un eventuale vuoto normativo. Alla fine del 2022, Francesco aveva rivelato di aver scritto, già all’inizio del suo pontificato, una lettera di dimissioni da far valere nel caso in cui un «problema di salute» gli impedisse di esercitare il ministero in modo cosciente. Tuttavia, il Pontefice ha anche sottolineato che tali dimissioni non dovrebbero diventare «una moda» o «una consuetudine». Quella di papa Ratzinger, dimessosi nel febbraio 2013 «gravescentem aetatem», per l’età avanzata, secondo Francesco rimane un’eccezione: la missione terrena di un papa finisce solo con la sua morte.
La questione non è nuova. Anche durante la Seconda Guerra Mondiale il problema era stato preso in seria considerazione. Papa Pio XII, temendo di essere deportato dai nazisti, scrisse una lettera di dimissioni, dichiarando che, in tal caso, «i tedeschi avrebbero catturato Eugenio Pacelli, ma non il Papa». Vi sono poi gli esempi di Pio VI, imprigionato durante la Rivoluzione francese, e Pio VII, sequestrato su ordine di Napoleone.
Di certo l’attuale situazione rallenterà la riforma della Curia, in particolare la politica di apertura alle donne nei ruoli chiave dell’amministrazione vaticana. Una delle prime a varcare le mura leonine è stata Barbara Jatta, 63 anni, storica dell’arte e museologa italiana, sposata e madre di tre figli, nominata nel 2017 direttrice dei Musei Vaticani, la principale fonte di introiti finanziari della Città Santa. Ma anche all’interno dei dicasteri il pontefice ha posto diverse laiche e religiose, come suor Simona Brambilla, a capo degli Istituti di Vita Consacrata, prima donna a guidare un dicastero vaticano, suor Alessandra Smerilli sottosegretario per il Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, l’avvocato Francesca Di Giovanni, che dirige gli Affari Multilaterali della Segreteria di Stato oltre alla sociologa Maria Lia Zervino e alla madre Yvonne Reungoat, entrambe membri del Dicastero per la nomina dei vescovi. Ma il colpo più clamoroso è stato la nomina di suor Raffaella Petrini, che dal prossimo primo marzo guiderà il Governatorato, il municipio vaticano che gestisce tutti i servizi della Città Santa. Papa Francesco voleva spingere ancora oltre questa avanzata silenziosa, ma la «rivoluzione rosa», almeno per ora, resta in stand by.