Sanremo a casa Meneguzzi
L’occhio ma soprattutto l’orecchio teso alla voce, all’interpretazione, ma non solo a quello. Perché guardare Sanremo con Paolo Meneguzzi significa andare dietro le quinte della scena musicale e dei suoi meccanismi. Che non sono sempre visibili ai telespettatori e agli ascoltatori. Al pubblico. Con una certezza. «In questa edizione - sostiene il cantante - non c’è stata una canzone che abbia spiccato, che si sia distinta, ma del resto le produzioni non rischiano più nulla con l’effetto di appiattire e impoverire il panorama musicale». La televisione è accesa in salotto. Sul divano c’è anche il figlio, ciuffi riccioluti e gusti musicali già decisi, la moglie che prepara pizza e croissant al prosciutto, e il collega Mauro Rossi con la sua consorte, Svetlana.
L’orologio appeso al muro che a ogni ora suona un canto di uccellini segna le 21. Il Festival è appena iniziato. La famiglia Meneguzzi e ospiti è riunita intorno al rito. Che in realtà rito non è. Non in diretta almeno. «Di solito faccio così. Mi guardo Sanremo al mattino mettendo velocità 2X», precisa il cantautore che dopo cinque edizioni di Sanremo e milioni di dischi venduti oggi è contento di essere fuori dal giro. «È un mondo con le sue regole, dove o sei dentro o sei fuori, devi scegliere da che parte stare, ma io volevo essere me stesso, quindi decisamente quel mondo non faceva per me». Meneguzzi oggi dirige e insegna in una scuola di musica che ha sedi a Lugano, Mendrisio e Tenero. Una scuola che gli garantisce ancora tanti successi: «Certo, è una vita più normale - precisa - soprattutto dal lato economico, ma ho trovato il mio baricentro. E poi faccio ancora concerti. All’ultimo in Cile c’erano migliaia di persone. È stata davvero un’esperienza fantastica e coinvolgente».
Abbasso l’autotune
I suoi occhi brillano al ricordo, prima di posarsi sul televisore. Amadeus sfoggia uno dei suoi abiti luccicanti. Fiorello ha appena finito la solita gag fuori dall’Ariston. È il momento dei cantanti. Quasi subito arriva la stoccata. Che poi diventerà uno degli argomenti della serata. L’autotune. Il software che permette di correggere l’intonazione vocale che viene usato dai concorrenti in gara. L’elenco è lungo. Da Annalisa, «sì, lo usa anche lei», a Mahmood, BNKR44, Geolier e via dicendo. Come del resto è stato l’anno scorso. «Ma così facendo tutte le voci sono piatte, non ce n’è una che si differenzi, che abbia anima e carattere», si scalda il cantante di Stabio.
La voce e l’anima
La sera è quella delle cover, quella che anticipa la finale che tutti oggi, domenica, sanno come è finita. Sanno chi ha vinto e chi ha perso. I vincitori e i vinti. Abbasso l’autotune, dunque. Che rende la vita più facile. Soprattutto sul palco quando si tratta di cantare «davanti a 10 milioni di spettatori» e il software «permette di non far tremare la voce». Per Meneguzzi è come se lo spettacolo si spegnesse. Ecco perché quando a cantare sul palco sono Bertè, Mannoia, Spagna, Cocciante, Diodato, in salotto cala il silenzio. Si ascolta e si apprezza la personalità, la ruvidezza, il timbro. L’anima attraverso la voce del cantante. Così com’è semplicemente. Anche se... anche se tutto questo, tutto questo biasimare l’autotune, non vuol dire non apprezzare comunque l’interprete. «Restando ad Annalisa per esempio - chiarisce il cantante, prima di mettere a letto il figlio - malgrado abbia provato tutti gli stili, e si senta forse più a suo agio con il jazz, ha un’anima artistica, è decisamente al suo posto in questo momento». Ma anche Rose Villain lo colpisce. «La sua è una canzone interessante».
Il dietro le quinte
Le telecamere della Rai inquadrano un’assistente di studio che lavora al Festival da 40 anni. Gli occhi di Meneguzzi lo riconoscono. Il collega Mauro Rossi che ha seguito decine di Festival rivela che esattamente quell’assistente di studio «durante le prove è un Caino». Tornare indietro, ricalcare quel palco, per Meneguzzi oggi è comunque impossibile. Anche se il suo rimane uno sguardo interessato. Da dietro le quinte. Uno sguardo sapiente. Che va oltre ciò che il pubblico necessariamente percepisce. L’occhio ma soprattutto l’orecchio teso alla voce, all’interpretazione, ma non solo a quello, si diceva. Ecco allora che le canzoni che oggi vanno per la maggiore «sono scritte tutte dal solito gruppo di autori», fa sapere. O ancora la scelta fatta venerdì sera dai concorrenti di accoppiarsi con una spalla specifica per far passare un certo tipo di messaggio, affiancare un preciso mood alla propria esibizione. O anche la decisione di interpretare una canzone o un’altra. Sono tutte strategie. Scelte mai lasciate al caso. Di un mondo che ha le sue regole e che per starci dentro bisogna accettare.
Poi accade. Anche se per pochi secondi. Meneguzzi si mette a cantare. Come percorso da una scarica elettrica arrivata da chissà dove. In realtà dura tutto così poco che potrebbe anche non essere esistito. Una finzione. Come del resto è ogni spettacolo. E Sanremo non fa eccezione.