«Sbalordito e anche un po' arrabbiato»
Di intrighi internazionali, Dick Marty se ne intende. Il ticinese già relatore al Consiglio d’Europa vive da tre anni sotto scorta (per minacce ricevute dai servizi segreti serbi: un’altra storia) e da ultimo è stato coinvolto, indirettamente, anche nel caso-Nada. I documenti che proverebbero il coinvolgimento degli Emirati Arabi nella vicenda sono stati inviati anche a lui, conferma l’ex magistrato. «Ho ricevuto parte del materiale da una fonte sconosciuta».
Ad inviarglieli, sembra, sarebbero stati gli stessi misteriosi hacker che avevano già tentato di vendere i documenti all’imprenditore italo-egiziano. Ma dal 78.enne si sono visti rispondere picche. «Personalmente non ho fatto alcuna trattativa con chi offriva i documenti», racconta l’avvocato. «Ho informato Nada e gli ho raccomandato di prendere un legale». Cosa che il trader luganese ha prontamente fatto.
Il precedente
Ma cosa c’entra Marty? Perché proprio lui? Come per tutta la vicenda-Nada, le ragioni hanno a che fare con il padre di Hazim, Youssef. Banchiere egiziano considerato vicino al movimento dei Fratelli Musulmani, nel 2001 - dopo l’attacco alle Torri Gemelle - Nada padre viene raggiunto da un ordine di perquisizione nella sua villa di Campione d’Italia, dove vive in «esilio» auto imposto. L’accusa è di avere finanziato, tramite la sua banca luganese, le attività di Al-Qaeda. Si rivelerà totalmente infondata, ma ci vorranno 14 anni prima che il suo nome venga stralciato dalla lista delle persone sanzionate dal Tesoro americano (avverrà solo nel 2015).
Marty, all’epoca relatore al Consiglio d’Europa, si interessò alla vicenda. «Ho voluto incontrare Nada padre per sentire da lui come stessero le cose. Una persona per bene. Ho guardato il procedimento nei suoi confronti: dentro non c’era niente». Inizia un percorso che arriva fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo. «A Strasburgo siamo usciti vincitori, e la Svizzera è stata condannata per come ha trattato il caso».
Nel frattempo Nada padre ha dovuto chiudere la banca di Lugano «che non aveva mai dato alcun tipo di fastidio» e licenziare «dalla sera alla mattina tutto il personale», ricorda Marty. «Non poteva più fare affari, riceveva solo il minimo indispensabile per vivere. Per anni. Tutto questo senza mai aver saputo con esattezza quali fossero le accuse precise, senza sapere perché era finito nella lista nera».
«Giustizia poco attenta»
Storia finita? No. Passano appena otto anni e si ripete. Solo che la vittima, questa volta, è il figlio e non il padre. A portare avanti l’accusa sarebbe un’agenzia investigativa «conosciuta per le sua attività abbastanza al limite della legalità», sottolinea l’ex procuratore, che si dice «sbalordito» per il fatto che la stessa «non sia stata oggetto da parte delle autorità di maggiori attenzioni». Il ruolo di Marty nella vicenda del figlio è ben più circoscritto che in quella del padre. Nondimeno, l’ex procuratore è di nuovo «arrabbiato» per la mancanza di provvedimenti in Svizzera in particolare.
«Ora sappiamo che dietro alla vicenda che ha colpito Hazim Nada c’è uno Stato, e che Nada non è che uno dei bersagli. Hanno demolito il figlio come hanno demolito il padre. E secondo me a demolire il padre erano già stati loro: le modalità sono le stesse, e alcuni nomi ricorrono in entrambi i casi», azzarda l’avvocato. «È una storia esemplare che dimostra con quali poteri gli Emirati si stiano infiltrando in varie zone del mondo. È un fenomeno che la Svizzera sta prendendo sottogamba, come ha sempre preso sottogamba il fenomeno mafioso».