Se il «dottore» lascia il lago di Como
Stavolta non c’è il lago ma c’è la pianura; non c’è la sua Bellano ma c’è la Bassa bresciana avvolta in un bozzolo di nebbia; non si svolge negli anni Trenta ma si spinge negli anni Sessanta del Novecento. Per il resto Andrea Vitali con l’ultimo romanzo Eredi Piedivico e famiglia (Einaudi) regala ai suoi affezionati lettori una storia godibilissima, popolata da personaggi stravaganti, 175 pagine che viaggiano irrefrenabili sino al finale. «Il libro è nato anni fa. L’ho scritto ma non ero soddisfatto, così l’ho ripreso tempo dopo e rivisto, ho aggiunto, sottratto, dato forma al racconto giocando su una certa idea di nostalgia, che per me è un sentimento positivo, contrariamente alla malinconia», racconta Vitali a La Domenica. La nostalgia è la nostalgia di una terra contadina che non c’è più, il senso di famiglia che è scomparso, certi paesaggi inghiottiti dal cemento.
Una intensa saga familiare
La vicenda è la tenera saga familiare dei Piedivico e ruota attorno a Manerbio, provincia di Brescia, alle cascine che odorano di cibo e di bestiame. Si parte da Oreste Piedivico che invece di fare il notaio come il padre sceglie di diventare veterinario, sposa Lidovina, ha un figlio, Felicino, poi muore in un incidente in moto. Luigina ha un altro figlio, Silverio, che finirà per fare il contadino. Attorno ai Piedivico aleggiano un’altra serie di personaggi come Versalia, ragazza di campagna che fa la domestica e diventa una seconda madre per Felicino. Tra legami sentimentali, guarigioni, colpi di scena si arriva a un finale dove il ritmo della scrittura cresce progressivamente.
Vitali, autore molto amato che ha venduto milioni e milioni di copie, doveva essere a Lugano ieri, sabato, per inaugurare a Villa Carmine la «Panchina dell’amicizia», nata da un’idea di Cristina Milani, anima e fondatrice di Gentletude, associazione non-profit che promuove la gentilezza e le relazioni umane. Ma l’iniziativa è slittata all’autunno. Peccato perché in tempi dove le occasioni di condivisione sono rese aride dalla tecnologia che governa spesso i rapporti sociali, dove sono scomparsi i luoghi di aggregazione come gli oratori, i bar con il biliardo e i tavolini per giocare a carte, il valore dell’amicizia è sempre più necessario.
L’amicizia un valore nobile
«In molti tratti delle mie storie - spiega Andrea Vitali - a volte in maniera più accentuata, altre volte in sottofondo, l’amicizia è presente in tutte le sue sfaccettature. Dall’affetto, alla relazione tra fratelli, o tra familiari. Oppure è un’amicizia goliardica come in Olive comprese, che parla delle avventure di un gruppo di amici. Ma anche in quest’ultimo racconto parlo dell’amicizia che considero un valore nobile, importante. Personalmente non è che sono amico di tutti ma le poche, autentiche amicizie le coltivo con tenacia mentre cerco di essere cordiale un po’ con tutti. Anche perché non so se ho nemici e non lo voglio sapere, le uniche volte che ho litigato ho sbagliato momento e persona. E chiesto scusa. Poi litigare è faticoso».
Una delle amicizie ricorrenti nei romanzi di Vitali è quella tra i carabinieri, che nelle storie ambientate a Bellano sono una costante insieme al prevosto del paese e al podestà. «È vero - nota Vitali - fra il maresciallo Ernesto Maccadò, l’appuntato Misfatti e il brigadiere Mannu, c’è un rapporto che affiora soprattutto tra le mura della caserma quando i tre abbandonano le rigide regole militari e tra loro si aprono con confidenze che lasciano intuire anche il pensiero comune sul periodo storico con disprezzo verso il fascismo e i suoi protagonisti».
Storie normali rese speciali
Spesso alcuni critici letterali hanno sottolineato come Vitali, grande osservatore di tipi umani, riesca a trasformare storie apparentemente normali in straordinarie. «In realtà nei miei romanzi il valore aggiunto sono i personaggi un po’ strampalati che io rendo verosimili dosando e tratteggiandoli con caratteristiche che sfiorano l’ironia, a volte il grottesco. Un intervento necessario proprio per fargli abbandonare quel piano di normalità. Poi un ruolo importante lo assumono i nomi che scelgo con una certa attenzione, mai a caso, perché nell’insieme della trama devono avere una certa musicalità, battere e mantenere un certo ritmo». Vitali usa sempre lo stesso metodo: scrive e lascia «decantare» il testo come le bottiglie di vino in cantina, lo riprende e lo aggiusta, lo plasma per renderlo avvincente e alla fine costringe la moglie Manuela o il figlio Domenico ad ascoltarlo mentre rilegge ad alta voce.
Chi racconta un paese racconta il mondo
Vitali non si è mai staccato da Bellano, sul lago di Como, dove è nato e cresciuto. Perché è convinto, come diceva Cesare Pavese, che raccontare un paese vuol dire raccontare una storia universale. «Questo è il senso dei miei romanzi», precisa lo scrittore di Bellano. E chi è nato e cresciuto in un paese non può non rintracciare nei personaggi di Vitali un suo vicino, il padre di un amico, l’artigiano che sta dall’altra parte della strada. In questo sta l’universalità di Vitali, il dipingere affreschi che sono straordinariamente familiari.
Vitali parla di Bellano solo nei volumi pubblicati da Garzanti (i racconti degli anni ‘30), quelli per Einaudi sono slegati da questo microcosmo. Ma in ogni lavoro si comporta come fosse un cronista, un corrispondete di provincia che alimenta le sue storie dalla memoria collettiva e dagli archivi del giornale locale, e si capisce che da giovane voleva fare il giornalista. Invece ha lavorato per una vita come medico (per tutti era l’Andrea non il dottor Vitali), poi nel 2013 (ha aperto e chiuso una parentesi durante il periodo della pandemia) ha detto basta perché pure un medico non si abitua mai alla malattia e alla morte. Anche se poi la morte si può esorcizzare, ad esempio con l’ironia come succede in una scena davanti a un cadavere contenuta in un filmato (si trova su YouTube) liberamente ispirato al celebre romanzo Zia Antonia sapeva di menta confezionato come un film muto anche per via della colonna sonora e realizzato dai ragazzi del Centro riabilitativo Quadrifoglio di San Benedetto Val di Sambro.
La Svizzera dall’altra parte del lago
Ma dentro le storie, in tante storie di Vitali, c’è la Svizzera. «La Confederazione - racconta - mi ha sempre affascinato, è una presenza costante sin da quando da bambino guardavo sull’altra sponda del lago e sapevo che dietro la montagna c’era un Paese straniero, un Paese un po’ speciale, quasi magico che ho imparato a conoscere dai racconti di chi in quegli anni - allora c’era il contrabbando - c’era stato. Ricordo, ad esempio, un mio paesano che aveva lavorato come cameriere al Kursaal di Lugano e ci parlava della città, delle luci, della bellezza, delle donne. Questo ha incrementato una fascinazione che dura ancora. Provo una attrazione per la Svizzera che non provo ad esempio nei confronti della Francia».