Se l'inverno misura appena venti centimetri

L’inverno misura appena venti centimetri a Campo Blenio. Tanta è la neve caduta tra domenica e martedì scorsi sulle piste e tutto intorno. I prati, le montagne hanno un aspetto più invernale, ora. Ma sotto la sottile patina biancastra la sostanza non cambia. «Diciamo che il paesaggio è migliorato» commenta un po’ sconsolato Denis Vanbianchi, direttore degli impianti che per adesso restano aperti solo a metà, anzi meno di metà. «Non ci azzardiamo ancora ad aprire le piste in alto, c’è ancora troppo sole».
Impianti impantanati
A Bosco Gurin stessa solfa. Stessa poltiglia mista a terra che gli sciatori più puristi si rifiutano di chiamare neve. Di centimetri qui ne sono scesi 20 ma durante le Feste non è stato venduto un solo biglietto. Ieri il primo tentativo (parziale) di riapertura, in attesa di nuove precipitazioni previste per dopodomani. «Tenere chiuso è stata una decisione sofferta - lamenta il direttore Giovanni Frapolli - ma un’apertura non sarebbe stata sostenibile economicamente. Il gioco non valeva la candela». Dopo l’ultima nevicata un po’ ingannevole - il 10 dicembre - le temperature sono salite abbondantemente sopra lo zero, i comprensori presi in contropiede hanno riabbassato le serrande, o si sono ridotti a una spolverata di bianco artificiale in mezzo a paesaggi da secondo autunno. Secondo un recente studio i cannoni da neve in futuràro saranno l’unica chance dei comprensori svizzeri, che al momento ne sono ancora relativamente sguarniti. All’idea Frapolli rabbrividisce. «La neve artificiale è pantano. La gente magari si accontenta perché non ha altro, ma non è così che ci piace lavorare. Se altri lo fanno, buon per loro» polemizza. «Senza temperature adeguate comunque anche la neve artificiale porta solo a tante spese e poca resa».
Una cosa è certa. Dieci centimetri qua e venti là non salveranno l’inverno ticinese: a Bosco Gurin invocano almeno un metro, il recente abbassamento delle temperature (la media è di -4 gradi) ha permesso di riaprire solo una parte degli impianti. Lunedì i rappresentanti dei cinque principali comprensori ticinesi (Nara, Carì, Campo Blenio, Airolo, Bosco Gurin) hanno fatto il triste bilancio di mezza stagione nel corso di una riunione virtuale, in videochiamata.L’umore non era dei migliori. «Siamo tutti sulla stessa barca, il caldo ha penalizzato tutti» sintetizza Vanbianchi. «Speriamo nelle prossime settimane».
Servono quattro metri di neve
Ma a soffrire per il caldo fuori stagione non sono solo le casse degli impianti di risalita. Anche dal punto di vista climatico non c’è troppo da essere ottimisti. Temperature alte, scarse precipitazioni, falde a secco. «La situazione assomiglia in modo preoccupante a quella dell’anno scorso» osserva il glacioloco Giovanni Kappenberger. «Se continua così ci ritroveremo con un’altra estate di grande siccità» avverte l’esperto. «Le nevicate sono importantissime per il ciclo idrogeologico, l’acqua filtra nel terreno e alimenta le sorgenti. Venti centimetri di neve polverosa corrispondono ad appena dieci millimetri d’acqua piovana» calcola Kappenberger. «È molto poco, l’equivalente di un piccolo temporale estivo».
Oltre Gottardo le cose vanno meglio. Il limite delle nevicate già a inizio settimana è sceso a 600 metri in Vallese, Svizzera Centrale e Oberland Bernese, con picchi locali di 50 centimetri sopra i 1.500 metri. Ma il «graben» con il Ticino è ben più profondo delle nevi superficiali: è scavato dai ghiacciai. Kappenberger risponde al telefono con gli sci ai piedi sul massiccio del Bernina, davanti al Morteratsch. Lo confronta con il «suo» Basodino, ormai minuscolo e agonizzante: l’ultimo ghiacciaio ticinese ha perso 4 metri di spessore solo nell’anno appena concluso, e misura meno di un km di lunghezza. Di questo passo scomparirà nel giro di 2-3 anni, prevede Kappenberger. «Per rallentare l’ineluttabile servirebbe un inverno di nevicate abbondanti» spiega. «Ma non è quello che stiamo vedendo».
C’è ancora tempo. Quattro mesi buoni nei quali «si spera che i serbatoi montani si riempiano a sufficienza di acqua» per scongiurare un’altra estate di piscine asciutte e contingentamenti idrici. Servirebbero da 2 a 4 metri di neve fresca entro maggio, tra 50 centimetri e un metro al mese «a dipedenza della densità» secondo i calcoli di Kappenberger. Quanto agli anni a venire gli scenari dei climatologi prevedono «un innalzamento generale delle temperature in tutte le stagioni» ribadisce Cristian Scapozza, responsabile del Centro di competenze su cambiamento climatico e territorio della SUPSI. «Nello scenario peggiore, un inverno come questo nel 2060 sarà la norma, anzi sarà considerato un inverno rigido».
I comprensori reagiscono
I tempi dell’economia sono diversi, però. Per far quadrare i conti si guarda alle imminenti vacanze di carnevale: «Restiamo fiduciosi» afferma Vanbianchi. Più a lungo termine servono idee per uscire dal pantano misto-neve, o dalla neve mista a pantano che dir si voglia. La parola magica che gli operatori ripetono ormai da anni è «destagionalizzazione». Aumentare l’attrattività turistica in autunno, primavera ed estate. Altrimenti, il Cantone potrebbe chiudere i rubinetti dei sussidi su cui si regge il settore. Nel corso di quest’anno verrà sbloccata la seconda tranche del credito quadriennale da 5,6 milioni votato dal Gran Consiglio nel 2021: una pioggia anzi una nevicata (artificiale) di aiuti vincolati alla riconversione post-sciistica e post-invernale. Escursionismo, mountain-bike, aree camper, strutture di wellness e Spa: le idee non mancano, ma «troppo spesso i progetti sono bloccati dalla lentezza burocratica del Cantone, lo stesso Cantone che ci chiede di avviare iniziative in questo senso» lamenta Frapolli. Un esempio su tutti: le piste di mountain-bike. «Nel resto della Svizzera ce ne sono a iosa. In Ticino i progetti sono rimasti fermi da quattro anni a oggi, in attesa che si realizzasse il relativo Centro di competenza cantonale. Uno spreco enorme di tempo prezioso».
Nel frattempo qualcosa si muove. La società «Inverno in tasca» lanciata nel 2018 dai cinque comprensori medio grandi - a cui hanno aderito anche 9 piccoli impianti di risalita - sta lavorando al lancio di un «pass» unico, che verrà presentato al termine della stagione. Si chiamerà «Ticino pass» e dovrebbe partire già nel 2023-24: un abbonamento differenziato e soprattutto «destagionalizzato», comprensivo cioè di offerte su tutto l’arco dell’anno. «L’idea per i prossimi due o tre anni è coinvolgere anche le destinazioni non sciistiche e ampliare i servizi su tutte le stagioni» spiega Vanbianchi. Anche il nome dell’associazione «Inverno in tasca» verrà cambiato, diventerà probabilmente «Ticino Pass». De-stagionalizzato anch’esso. Le previsioni meteo del resto non lasciano adito a dubbi sul lungo periodo. Nella fascia tra i mille e 2 mila metri, dove corrono la stragrande maggioranza delle funivie ticinesi, nei prossimi 30-40 anni «le precipitazioni non mancheranno ma resteranno al di sotto della quota di innevamento» ricorda Scapozza. Ci sarà sempre meno neve e più pioggia insomma. O neve sporca, poltiglia: subito pantano.