Se un pugile tira un pugno
Ad Americo Fernandes è stato detto che quel giovane allenatore di pugilato sarebbe stato assente per qualche tempo. Sul momento non ha minimamente sospettato che il motivo di quell’assenza potesse essere l’arresto a seguito di un violento pugno sferrato al volto di un 21.enne, in pericolo di morte, domenica scorsa all’alba all’esterno di una discoteca in centro a Lugano.
«È con grande rammarico che ho appreso il coinvolgimento di questo pugile – dice il fondatore, allenatore e anima del Boxe Club Locarno –. La prima cosa che insegno ai ragazzi che vengono nella mia palestra è che i pugni si tirano solo sul ring. All’esterno devono riuscire a controllarsi, a non reagire alle provocazioni, a girare la faccia e andarsene piuttosto che rischiare di fare un gesto sbagliato. Non ho idea di come siano andate le cose fuori da quella discoteca. Ma mi dispiace moltissimo per quello che è successo. Lo vivo come una sconfitta».
Sembrava un ragazzo serio
Americo Fernandes è sinceramente affranto. Lui si prende a cuore ognuno di questi ragazzi che chiedono di allenarsi nella sua palestra. Spesso sono ragazzi sbandati, teste calde, giovani in difficoltà o anche solo insicuri. Lui li sprona a diventare degli uomini veri, a sfogare la propria rabbia sul ring e nel contempo ad acquisire l’autodisciplina necessaria per eccellere nello sport ma anche per riuscire a muoversi nella società.
«Quel pugile è passato da me diversi anni fa - spiega Fernandes -. Mi è sembrato un buono, un ragazzo serio. Adesso faceva l’allenatore in una palestra del Luganese e in quanto tale aveva un ruolo di responsabilità.Doveva essere un esempio per i più giovani . Non capisco proprio cosa possa averlo spinto a tirare quel pugno.Sapeva benissimo che non poteva farlo».
E a quanto pare il 26.enne se ne sarebbe subito reso conto. Testimoni raccontano che appena dopo aver sferrato il pugno, il pugile avrebbe in qualche modo tentato di soccorrere la vittima. Ma poi, forse impauritosi di fronte alle condizioni del 21.enne, si sarebbe dileguato, lasciando che fossero altri a prendersene cura in attesa dell’arrivo dei soccorritori. Solo la notte seguente, presa pienamente coscienza del grave errore commesso, si è fatto accompagnare al posto di polizia di Noranco e si è costituito.
«Faceva la spalla degli agenti»
Ora il pugile si trova in carcere con l’accusa di tentato omicidio, subordinatamente lesioni gravi. Negli scorsi giorni sono stati sentiti diversi testimoni, che hanno fornito versioni in parte molto contrastanti tra loro. Sembra che si siano fatti avanti anche sedicenti testimoni, apparentemente mossi dalla volontà di difendere una o l’altra parte in causa, ma che in realtà non avrebbero nemmeno assistito ai fatti. Qualcun altro avrebbe raccontato che il 26.enne era un cliente abituale della discoteca e che in più occasioni aveva «dato una mano» agli agenti di sicurezza.
Tutte affermazioni da verificare.A ricostruire nel dettaglio l’accaduto ci deve pensare il procuratore pubblico Roberto Ruggeri. L’unico momento chiaro, poiché ripreso dalla videosorveglianza, è quello in cui il pugile sferra un pugno al volto del 21.enne, che cade indietro e picchia la testa. Sarà però essenziale fare luce su cosa sia successo prima, su cosa possa avere provocato il violento gesto del 26.enne.
Siamo tutti esseri umani
«È difficile giudicare senza conoscere il contesto - esordisce Ruby Belge, ex campione mondiale di pugilato e titolare di una palestra a Lugano -. Noi diciamo sempre ai ragazzi che quello che imparano in palestra deve essere usato solo sul ring. Se uno va in giro a cercare rissa è un deficiente. Vuol dire che non ha capito nulla della boxe. D’altra parte non si può neanche pretendere che un pugile accetti tutto senza battere ciglio. Anche il pugile è un essere umano, ha i suoi sentimenti, i suoi momenti di fragilità».
Il pugile luganese cita un caso che ha coinvolto un paio di anni fa l’ex campione mondiale dei pesi massimi Mike Tyson mentre viaggiava su un aereo tra la California e la Florida. «Il passeggero dietro di lui ha continuato a provocarlo, fino al punto in cui Tyson ha perso le staffe, si è girato e l’ha colpito - racconta Belge -. Ovviamente Tyson è passato per il cattivo, quello che usa la sua forza contro i più deboli. Ma se tu hai davanti a te un leone e continui a provocarlo, come ti aspetti che reagisca il leone?».
Questo per dire, sottolinea Ruby Belge, che il pugno è sbagliato ma in certi casi può essere comprensibile. «Ripeto, non so cosa sia successo domenica scorsa davanti a quella discoteca e quindi non mi esprimo in merito - precisa -. Dico solo che in generale è sempre difficile giudicare un pugile che mena. In palestra si impara a gestirsi, a controllarsi, ad accettare le provocazioni. Ma poi ci sono le emozioni, magari i bicchieri di troppo, che possono mandare tutto a quel paese».
La risposta alle provocazioni
Sì, perché può bastare un solo gesto fuori posto per rovinare un’intera carriera, per distruggere una vita. «Sapete quante volte sono stato provocato io in qualità di persona di origine africana? - riprende Americo Fernandes - Un’enormità di volte. Quando sono arrivato a Locarno ho sentito tanta gente parlare male di me. ''Cosa vuole venire a fare qui quel nero?'', dicevano. Io avrei potuto reagire con un pugno. La forza non mi mancava. Ma ho scelto di far scivolare via tutto ciò che non è positivo. Quelle cose mi entravano da un orecchio e uscivano dall’altro. So benissimo che generalmente chi parla male è perché è invidioso. Non ho dato loro importanza e da parte mia mi sono sempre comportato in modo che non avessero nessun argomento per criticarmi».
È anche grazie a questo atteggiamento che Americo Fernandes è diventato negli anni il principale punto di riferimento del pugilato ticinese. «Io offro rispetto e chiedo rispetto - dice -. Nella mia scuola di boxe non accetto parolacce. Chi ne pronuncia è fuori. Così come chi viene coinvolto in una rissa all’esterno. I ragazzi devono capire che nello sport c’è una parola sacra ed è la disciplina. Ingloba tutto. Il dormire, il mangiare, il bere, gli allenamenti, il rispetto per il maestro, l’avversario, i compagni, i genitori. Lo sport è un diritto, non è un obbligo. Ognuno può scegliere quale sport fare ma poi deve avere disciplina».
Una ricetta vincente. Si sprecano i casi di ragazzi in difficoltà che hanno ritrovato sé stessi dopo essere passati tra le mani dell’istruttore locarnese. «Ci sono pediatri che mi mandano i ragazzi, perché sanno che io non insegno solo la boxe ma anche a sapersi comportare in un ambiente sociale, a saper convivere con le altre persone», conclude Fernandes, sinceramente rammaricato che nel caso del pugile che ha sferrato un pugno domenica scorsa a Lugano qualcosa sia andato storto. Vai a capire perché.