Si può tornare a pesare di più
E se non fosse solo una questione linguistica? E se dietro allo scarso peso dei parlamentari italofoni a Berna vi fosse anche il sempre più diffuso piacere nel sentirsi parte di una minoranza bistrattata, bisognosa di particolari attenzioni, incapace di competere ad armi pari?
Speriamo che non sia così. Già in troppi nel mondo sono stati contagiati da varianti più o meno acute della sindrome di Calimero. Noi ticinesi non abbiamo motivo di esserlo. Siamo pienamente svizzeri e siamo riconosciuti e apprezzati come tali. Non è per pietismo che Ignazio Cassis è diventato consigliere federale, Marco Chiesa ha guidato il più grande partito svizzero, Marina Carobbio ha presieduto il Consiglio nazionale e Filippo Lombardi è stato alla testa del Consiglio degli Stati. Non è grazie a qualche astrusa quota che personaggi come Mauro Dell’Ambrogio o Carla Del Ponte hanno raggiunto posizioni ai massimi vertici nazionali e internazionali. Noi ticinesi abbiamo tutte le carte in regola per farci rispettare su qualsiasi tipo di palcoscenico.
Dispiace quindi che dall’analisi di Burson Switzerland emerga l’immagine di una deputazione ticinese piuttosto marginale. Nessun nostro rappresentante figura tra i 50 parlamentari più influenti a Palazzo federale. E nella classifica dell’influenza dei singoli cantoni all’interno del parlamento, il Ticino è precipitato di 13 posizioni rispetto al precedente rilevamento e ora langue in 24.esima e terzultima posizione, appena davanti a Neuchâtel e Glarona. In poche parole, non riusciamo a farci ascoltare a Berna. Non riusciamo a dare il contributo che saremmo in grado di dare.
C’è sicuramente l’attenuante della gioventù. Tre dei nostri rappresentanti sono a Berna da appena un anno e si trovano quindi nella fase in cui è consigliabile ascoltare umilmente invece di pretendere di calare lezioni a chi ha molta più esperienza. Non è che certi spettacoli come le colorite invettive di Giuliano Bignasca in zoccolette durante il suo breve passaggio in Consiglio nazionale abbiano contribuito più di tanto a migliorare la considerazione del Ticino nei circoli che contano. Quindi va bene che i nuovi arrivati adottino un profilo basso. Ma non in eterno. In questo senso ci si aspetterebbe che tra i parlamentari più rodati qualcuno sappia profilarsi come trascinatore, o almeno come efficace confabulatore dietro le quinte. Invece ciò non accade. Fabio Regazzi è presidente dell’USAM ed è a Berna da tredici anni ma è considerato solo il 69.esimo parlamentare più influente. Anche Lorenzo Quadri è a Berna da tredici anni ma il far parte di un partito microscopico a livello nazionale non aiuta certo a farsi ascoltare. Marco Chiesa, dopo la sua parentesi alla testa dell’UDC, sembra già essere scomparso dalla scena. Alex Farinelli si è ritagliato un bel ruolo all’interno del PLR ma ha tanti pesi massimi davanti a sé. Forse Greta Gysin, presidente della Commissione istituzioni politiche, è quella che si sta profilando meglio. Ma anche lei rischia di essere frenata dall’appartenenza a un partito in perdita di velocità.
Il risultato è che oggi il Ticino conta poco a Berna. Nulla di irrisolvibile. Ci sono tante orecchie pronte a tornare ad ascoltarci. Però nessuno ha voglia di sentire ingiustificati vittimismi o stucchevoli difese del proprio piccolo orticello. Il Ticino deve semplicemente essere sé stesso, cosciente dei propri limiti e delle proprie virtù, del proprio ruolo all’interno della Svizzera che non è quello del parente povero ma di una parte fondante a tutti gli effetti.