Droga

Storia di un fumatore di crack

Ne fanno ormai uso otto tossicodipendenti su dieci in Ticino – Un 30.enne del Locarnese si racconta
Un ospite di Villa Argentina esegue un lavoro di falegnameria. © CdT/ Chiara Zocchetti
Davide Illarietti
10.09.2023 06:00

Fabio uscirà dal centro terapeutico tra sei mesi e ad aspettarlo, fuori, ci sarà più crack di quando è entrato. Locarnese, 30 anni, ha iniziato a 17 con la cocaina. «Una festa con amici, poi ogni weekend, poi ogni giorno» racconta oggi dalla sua stanza di Villa Argentina a Collina d’oro, dove si è «ripulito» per un anno. Fuori dalla finestra – oltre i campi coltivati della villa – il mercato della droga è cambiato nel frattempo.

Il crack si è diffuso anche in Ticino. Ne fanno ormai uso otto tossicodipendenti cronici su dieci, secondo stime riportate in una recente risposta del Consiglio di Stato a un’interpellanza del deputato Maurizio Canetta (Ps). La sostanza è diventata più accessibile e questo, scrive il governo, agli occhi dei consumatori ne banalizza la pericolosità. I rilevamenti hanno confermato un aumento di consumo.

Il primo campanello d’allarme è suonato proprio sotto la stanza di Fabio, a Villa Argentina: dall’ufficio del direttore della struttura Mirko Steiner. È un osservatorio privilegiato sul mondo delle droghe. «I pazienti – spiega Steiner – raccontano qui quello che a volte magari non dicono compiutamente alla polizia e nemmeno al giudice». In realtà i servizi del centro riabilitativo hanno intercettato la novità già da alcuni anni, ma prima della pandemia il consumo di crack in Ticino era «molto sottotraccia». La sostanza è salita alla ribalta negli anni ‘80 negli Stati Uniti, con un consumo di massa dagli effetti devastanti. «Alle nostre latitudini era invece praticamente assente» assicura Steiner.

Villa Argentina a Viglio, Collina d'oro. © CdT / Chiara Zocchetti
Villa Argentina a Viglio, Collina d'oro. © CdT / Chiara Zocchetti

A contribuire alla diffusione della «cocaina dei poveri» ci potrebbero essere fattori ambientali – Steiner cita l’incertezza lavorativa, la fragilità giovanile, il disagio psico-sociale creato dalla pandemia, con i suoi strascichi – ma anche economici. La produzione su larga scala ha fatto crollare il prezzo della materia prima: se negli anni ‘80 la cocaina costava 400-500 franchi al grammo, oggi è sotto i 100 in Ticino. «Il crack è un derivativo ancora più a buon mercato, in quanto lavorato con altre sostanze come bicarbonato di sodio o ammoniaca» spiega l’esperto.

In compenso gli effetti del crack sono ancora più devastanti. Non solo nell’immediato – la «botta» che dura una decina di minuti – ma dopo: il «manco», o «craving» in gergo medico, genera agitazione da astinenza e comportamenti aggressivi. Che assieme alla precedente sensazione di onnipotenza e agli effetti cardio-neuro-pneumo tossici compongono un mix di rischio potenzialmente letale. Gli accessi in pronto soccorso per intossicazioni da droghe ricreative hanno toccato un picco in Ticino nel 2019 (260 presso le strutture dell’EOC) per poi scendere (108 nel 2021) a causa delle restrizioni pandemiche. «Negli ultimi due anni le cose potrebbero essere cambiate, stiamo analizzando i dati e monitorando la situazione» spiega il primario Alessandro Ceschi, direttore medico e scientifico dell’Istituto di Scienze Farmacologiche della Svizzera italiana all’EOC. «Finora abbiamo osservato tuttavia una certa stabilità sia nei quadri clinici che nella tipologia di sostanze utilizzate». Cocaina e cannabis sono all’origine della maggior parte dei ricoveri. «È chiaro che il crack rappresenta un modo di consumo ancora più pericoloso – sottolinea Ceschi – come è pure evidente che all’ospedale arrivano solo una piccola parte dei consumatori di sostanze».

Il direttore Mirko Steiner durante un colloquio. © CdT / CHiara Zocchetti
Il direttore Mirko Steiner durante un colloquio. © CdT / CHiara Zocchetti

Stesso discorso nei centri di riabilitazione. A Villa Argentina gli utenti che prima del ricovero hanno «fumato» la polvere bianca sono – per fortuna – ancora una minoranza, ma rappresentano una novità preoccupante secondo il direttore Steiner. «Non possiamo dire che siamo inondati di crack, in Ticino non esiste una scena aperta e visibile in luoghi pubblici come a Ginevra o Zurigo» ammette. «Nel nostro territorio questi fenomeni sono più diluiti e meno evidenti, il consumo e lo spaccio avvengono nelle abitazioni, per questo occorre tenere gli occhi ancora più aperti».

Anche nel caso di Fabio la discesa negli «inferi» del crack è coincisa con una chiusura tra le mura domestiche. Racconta di averlo provato per la prima volta «assieme a un conoscente» che ospitava a casa propria uno spacciatore albanese. La rete dello spaccio a domicilio – con tossicodipendenti locali che ospitano per brevi periodi uno o più trafficanti provenienti dall’estero – è stata accertata in Ticino da diverse inchieste. In una di queste è finito – per fortuna – anche Fabio. «A quel punto ci ero ormai dentro fino al collo» racconta il 30.enne a due anni di distanza. «Il crack aveva rimpiazzato ogni altra droga e ogni cosa, non avevo più rapporti sociali, uscivo di casa solo per comprare la sostanza». Finché un giorno bussa alla porta dello spacciatore di turno e si vede aprire da un poliziotto. «Per me – conclude Fabio ottimista – è stata la luce in fondo al tunnel». Ma per uscirne davvero la strada, fuori da Villa Argentina, è ancora lunga. E meno «pulita» di quanto Fabio vorrebbe. 

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