L'intervista

«Sul Volga ho capito quanto è lontana la Russia»

Il giornalista Marzio Mian racconta il suo viaggio nel nuovo «impero» di Putin e come mai le distanze con l'Occidente sono aumentate
Gloria Sala
19.01.2025 09:30

Dall’Artico ai grandi fiumi del mondo, i reportage di Marzio Mian accompagnano i lettori in viaggi dentro mondi di confine, che vengono raramente raccontati con la pazienza dei dettagli, spesso offuscati dalle nebbie della lontananza geografica o geopolitica. Dopo anni da inviato e poi vicedirettore di «Io Donna», settimanale del Corriere della sera, Mian ha fondato con altri giornalisti internazionali «The Arctic Times project», con sede negli USA. In dieci anni di esplorazioni ha colmato il vuoto della cronaca del Circolo Polare Artico e della frontiera aperta dalle nuove rotte marittime, rese navigabili dalla fusione dei ghiacci e dall’emersione di terre ricche di minerali pregiati, come rivela il suo libro del 2018 Artico. La Battaglia per il Grande Nord. Il primo febbraio Mian presenterà a Massagno (ore 17, libreria Il Rifugio Letterario) il suo nuovo lavoro, Volga Blues edito da Feltrinelli, un surreale itinerario di seimila chilometri lungo il Volga, percorso in incognito con un visto da «turista» in una Russia in piena guerra. Il fiume dalle sorgenti sacre simboleggia la storia millenaria che ha alternato impero e rivoluzione, industrializzazione forzata e sanguinosa guerra civile nelle campagne, fino al progetto neo-imperiale di Putin.

Candidato al Premio Pulitzer

Il suo corso attraversa la Russia europea, incontrando la Russia asiatica a Kazan, fino a tuffarsi in Mar Caspio nella musulmana Astrakan, dove scambi commerciali illegali (soprattutto con l’Iran) aggirano costantemente le sanzioni. Il libro racconta l’avventura di un’inchiesta effettuata dall’ autore lo scorso luglio, durante un mese di reportage per Harper’s Magazine. È candidato al Premio Pulitzer in quanto documento unico al mondo, realizzato senza visto giornalistico, con tutti i rischi che questo comporta. «È un momento importante per la mia carriera, che mi permette di perseguire obiettivi ambiziosi», ammette l’autore, che ha viaggiato con il fotografo Alessandro Cosmelli e una coppia di fixer russi ad alta gradazione alcolica, che nelle ore di sobrietà si alternavano alla guida e fissavano gli incontri. «Ci sentivamo sempre sul punto di essere fermati dall’FSB, il servizio di sicurezza», che per sua fortuna è intervenuto solo all’ aeroporto di Astrakan,quando i due non ne potevano piu’ e volevano prendere il primo volo che li riportasse a casa. «Ci hanno trattenuto in una stanza per un’ora e mezza, poi un agente appassionato di Rinascimento mi ha parlato di arte e finalmente ci hanno lasciato partire».

Il trauma della dissoluzione dell’URSS

Addentrandosi nella Russia profonda, Mian ha potuto scoprire I contrasti tra il mondo arcaico rurale, con i suoi villaggi di izbe che punteggiano una pianura sterminata di grandi spazi che danno quasi un senso di agorafobia, e le metropoli contemporanee e altamente tecnologiche, dove si concentra la popolazione. In bilico tra reazione e rivoluzione, l’anima russa emerge in tutti gli intervistati definita dalla «passionarnost», l’atavica abitudine a sacrificarsi per un bene comune superiore, che le leve di comunicazione della cultura di regime identificano nella grandezza della Russia, dal suo passato di Impero degli Zar alla corsa alla modernizzazione e allo status di potenza mondiale dell’Unione Sovietica. Persino i pope della Chiesa ortodossa, perseguitata in 70 anni di comunismo ateista, ora partecipano alla legittimazione del periodo sovietico. Tutti gli intervistati vogliono solo dimenticare gli anni ’90 e il trauma della dissoluzione dell’URSS con il caos generato dal vuoto di modelli socio-politici di transizione che, senza una graduale preparazione, ha aperto la strada alla penetrazione dell’economia liberale dell’Occidente e al conseguente crollo del potere d’acquisto della gente comune. Putin è arrivato al potere per la domanda di ordine e di riscossa dell’orgoglio nazionale.

Il crollo del rublo

Nonostante il 35 milioni di contadini russi uccisi durante la collettivizzazione forzata, Stalin oggi è ricordato come l’eroe nazionale della vittoria su Hitler a cui il presidente russo si ispira e questa «operazione culturale speciale», come la definisce Mian nel suo libro, promuove una retorica patriottica e imperiale di assoluzione del comunismo sovietico. Con la guerra in corso in Ucraina, le sanzioni hanno finito per far crollare il rublo e innalzare i tassi d’interesse contro l’inflazione, pesando soprattutto sui prodotti alimentari, ma hanno anche avuto l’effetto di smarcare la Russia dalla dipendenza dall’export di gas e petrolio e puntare sulla produzione agricola.

Un’esperienza meditativa

Mian ammette però che senza l’aiuto della Cina questa riconversione non sarebbe sufficiente. Interessante scoprire attraverso il libro come la popolazione russa, mosaico di etnie, sia unito dalla dinamica secolare dell’ acquiescenza in nome del dogma dell’integrità della Russia, anche a costo di rinunciare alla libertà. Sarà la lunghezza degli inverni, sarà la vodka, ma la remissività è prevedibile e «puntuale come la neve e il disgelo».

Per Marzio Mian il viaggio lungo il Volga ha rappresentato un’esperienza meditativa. «C’è stato un periodo in cui in Russia la classe dirigente era filoeuropea. Ho un’idea che mi tormenta», confida. «La Russia è un mondo in contrapposizione al nostro, ma anche positivo. Drammatico pensare come ci siamo allontanati».

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