L'inchiesta

Svizzeri da spennare

Persino molti prodotti «Made in Switzerland» da noi costano più che all'estero – Una breve rassegna di casi clamorosi, oltre che inspiegabili
©Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
30.03.2025 06:00

Siamo arrivati al paradosso che se uno svizzero vuole acquistare un paio di scarpe svizzere gli conviene farlo ovunque tranne che in Svizzera. Siamo arrivati al paradosso che se uno svizzero vuole volare con la compagnia di bandiera svizzera gli conviene imbarcarsi a Milano, Roma, Stoccarda o persino Varsavia piuttosto che a Zurigo. Siamo arrivati al paradosso che se uno svizzero vuole degustare il gelato svizzero per eccellenza, Mövenpick, gli conviene andare ad acquistarlo in Germania o in Austria, dove lo pagherà meno della metà.

Questi sono solo alcuni esempi di come le stesse aziende svizzere stiano contribuendo a rafforzare il ruolo del nostro Paese quale isola dei prezzi elevati in mezzo all’Europa.

Nessuno paga così tanto le scarpe On

Emblematico è il caso delle scarpe On, il marchio zurighese promosso da Roger Federer, che proprio l’altro giorno ha diffuso i dati di un 2024 che è stato di forte crescita in tutto il mondo, soprattutto negli Stati Uniti, ma di calo in Svizzera. Non c’è da sorprendersi. Nel nostro Paese i prezzi di listino delle scarpe On sono da record del mondo, sebbene si tratti di un marchio svizzero che ama sottolineare la propria svizzeritudine.

Prendiamo il modello «Cloud 6 WP». In Svizzera costano 210 franchi, nelRegno Unito 160 sterline (che sono l’equivalente di 182 franchi), nell’Unione europea 180 euro (circa 172 franchi), in Norvegia 1999 corone (168 franchi). Ma il prezzo cala ulteriormente se si attraversa un qualche oceano. Per esempio negli Stati Uniti lo stesso modello costa 170 dollari, che all’attuale tasso di cambio equivalgono a 150 franchi. Più o meno quanto le paga il cliente australiano, mentre nelle Filippine basta l’equivalente di 144 franchi e in Canada di 124 franchi.

La differenza è notevole, se si considera che si tratta sempre dello stesso paio di scarpe e che On non può nemmeno accampare le solite scuse del costo della manodopera e degli affitti, dato che si tratta di prezzi applicati per la vendita online, lontano dai negozi fisici. Oltretutto la Svizzera ha l’IVA più bassa d’Europa, ciò che dovrebbe permettere di applicare prezzi più bassi. Invece On applica i più alti.

Nella moda va ancora peggio

Non è un caso unico, anzi. Nella moda le differenze di prezzo tra la Svizzera e il resto del mondo sono abissali. Prendiamo il caso di Zara, che per lo stesso top di un bikini della nuova collezione chiede 22,95 euro (21,90 franchi) alle clienti spagnole, 25,95 euro (24,75 franchi) alle italiane e ben 39,90 franchi alle svizzere, senza che queste ottengano nulla in più.

Proprio di recente, a inizio marzo, un’inchiesta della Federazione romanda dei consumatori (FRC) ha calcolato che chi acquista dalla Svizzera sullo shop online di Zara paga in media il 77% in più che se lo facesse dalla Francia. Nel caso di H&M la differenza tra i due Paesi è addirittura del 93%, ovviamente a svantaggio della Svizzera, mentre per Adidas e Nike il sovrapprezzo elvetico si aggira attorno al 40% e per The North Face e Mammut poco sotto il 30%. Tutte differenze solo in parte spiegabili con i maggiori costi di affitto e personale, dato che si riferiscono alla vendita online.

Le serie tv e i concerti più cari al mondo

Allo stesso modo non è assolutamente spiegabile - se non con la volontà di fare la cresta sugli svizzeri - il record che il nostro Paese detiene insieme al Liechtenstein per gli abbonamenti Netflix più cari al mondo. L’offerta della piattaforma di streaming non è minimamente influenzata dai costi della vita locale, per cui è solo per motivi commerciali che Netflix chiede 27,90 franchi al mese per il suo abbonamento premium che in Italia o in Germania viene offerto a 19,99 euro (19 franchi), in Australia a 25,99 dollari australiani (14,50 franchi), in Brasile 59,90 reais (9,20 franchi) e in Egitto 240 sterline egiziane (4,20 franchi). È vero che noi guadagniamo in media molto più degli egiziani, ma non si vede perché il nostro elevato livello salariale debba servire a rimpolpare i forzieri di Netflix.

O del cantante di turno, come è stato il caso di Taylor Swift, i cui biglietti più convenienti l’anno scorso a Zurigo partivano da 168 franchi, mentre ad Amburgo ne bastavano 97 e ad Amsterdam 52, secondo le cifre riportate da Echt Fair, che sarebbero estendibili un po’ a tutti gli artisti.

Purtroppo però l’idea che gli svizzeri possano permettersi di pagare qualsiasi prezzo è talmente radicata che persino le aziende rossocrociate (o presunte tali) non rinunciano ad accrescere i propri margini di guadagno in patria per rendersi più concorrenziali all’estero.

Gli altri volano di più e pagano di meno

È il caso di Swiss, compagnia aerea che di svizzero ha ormai ben poco ma che può continuare a contare sulla fedeltà di passeggeri disposti a pagare qualcosina in più pur di poter tornare dalle vacanze all’altro capo del mondo a bordo di un velivolo dalla rassicurante bandiera rossocrociata.

Swiss deve essere consapevole di questo attaccamento, che ricambia servendosi senza discrezione dalle tasche degli svizzeri.

Prendiamo un esempio a caso, una settimana a Bangkok a inizio maggio, ma potrebbe essere anche New York, Tokyo o Tel Aviv. Bene. Il passeggero svizzero che dovesse cercare un volo Swiss Zurigo-Bangkok con andata il 4 maggio e ritorno una settimana dopo si vedrebbe proporre la tariffa di 785 franchi. Non male. Quello che il passeggero svizzero non può sapere è che lo stesso identico volo andata e ritorno viene proposto ai passeggeri milanesi alla tariffa di 604 franchi e a quelli romani a soli 533 franchi, nonostante a costoro Swiss debba garantire anche il volo di collegamento fino a Zurigo, con relative tasse aeroportuali.

In pratica, su quell’aereo per Bangkok il passeggero svizzero avrà a fianco un passeggero italiano che riservando lo stesso giorno di lui avrà pagato 250 franchi in meno.

«Questioni concorrenziali»

Un controsenso che Swiss tenta di spiegare con la volontà di inserirsi in mercati dai prezzi generalmente più bassi rispetto a quelli di Zurigo. «I nostri prezzi sono determinati essenzialmente dalla domanda e dall’offerta - afferma la portavoce Meike Fuhlrott, interpellata da La Domenica -. A tal fine teniamo conto soprattutto della situazione concorrenziale locale. Le diverse condizioni del mercato locale possono determinare prezzi diversi per le varie rotte».

Evidentemente a Milano e Roma, ma anche a Bruxelles, Düsseldorf, Stoccarda o Varsavia, la situazione concorrenziale è più aspra che a Zurigo e quindi Swiss tenta di accaparrarsi qualche passeggero in partenza da quegli aeroporti offrendo prezzi più bassi che ai suoi clienti svizzeri. Resta da chiedersi come mai il passeggero che arriva all’aeroporto di Zurigo con le proprie gambe debba pagare di più di quello che ci arriva comodamente trasportato da Swiss. «I voli diretti sono generalmente più costosi dei voli in coincidenza, poiché sono più confortevoli e richiedono meno tempo», è la risposta di Meike Fuhlrott.

Il gelato può essere amaro

Volendo, si trova una risposta a tutto. Anche al fatto che le caramelle alle erbe alpine Ricola costano meno in Italia che in Svizzera oppure che la vaschetta da 900 ml di gelato Mövenpick viene venduta a 11,95 franchi in Svizzera ma solo a 3,99 euro (3,80 franchi) nei supermercati Aldi in Germania. Il produttore del gelato, parte del gruppo Nestlé, giustifica la discrepanza con alcune piccole differenze a livello di ricetta e l’utilizzo in Svizzera di latte svizzero, in Germania di latte tedesco. Sarà. Ma il cliente che paga il triplo per una vaschetta di gelato può legittimamente avere la sensazione di essere stato turlupinato.

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