Società

Tantissimi locali, ma poca movida

In Ticino si contano 2.300 esercizi pubblici, ma spesso la sera non ce n'è uno aperto – «Costretti a ridurre gli orari di apertura»
© CdT / Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
16.03.2025 06:00

Domenica scorsa Guido Sassi festeggiava il compleanno e ha voluto concedersi una cenetta con la famiglia in un ristorante che non fosse il suo. «Sono partito in macchina con le mie figlie e sapete dove siamo andati a finire? - chiede il noto esercente luganese -. A Meride! Prima non c’era niente, abbiamo provato a fermarci a diversi ristoranti ma erano tutti chiusi. Un mortorio incredibile. Perlomeno a Meride abbiamo mangiato molto bene».

Negli scorsi giorni è capitato anche che un noto ristoratore del Mendrisiotto, che in questo frangente preferisce restare anonimo, sia andato a Lugano per un appuntamento di lavoro che è terminato poco prima delle 19. «Quando sono uscito dall’ufficio mi sarei fermato volentieri a bere qualcosa prima di ritornare verso casa - racconta il ristoratore -. Ma non ho trovato dove fermarmi. Le serrande erano tutte abbassate, in giro non c’era nessuno, l’aria era gelida. Sono risalito in auto e me ne sono andato».

Gli esercizi pubblici in Ticino sono circa 2.300, in leggero calo rispetto agli anni d’oro ma con una concentrazione di bar, ristoranti, grotti, mescite e discoteche che resta pur sempre doppia rispetto alla media nazionale. Sulla carta, i locali dove rifocillarsi non mancano, a sud delle Alpi. Eppure nella realtà dei fatti capita sempre più spesso di dover vagare a lungo prima di trovare un luogo dove sorseggiare un bicchiere o mangiare un boccone, specialmente la domenica o la sera dopo una certa ora.

Ridurre i costi di gestione

«È essenzialmente una questione economica - sostiene Massimo Suter, gestore del Ristorante della Torre a Morcote e presidente di GastroTicino -. Il potere d’acquisto della popolazione è diminuito e i costi di gestione sono aumentati. Molti esercenti si trovano costretti a rivedere la propria strategia. Una delle misure più immediate per contenere le spese è sicuramente la riduzione degli orari di apertura».

C’è chi aggiunge un secondo giorno di chiusura settimanale. C’è chi introduce una pausa pomeridiana. E chi - l’opzione più frequente - rinuncia a tenere aperto dopo una certa ora la sera, quando servirebbe magari solo un paio di birrette che non coprirebbero nemmeno il costo del personale.

Il cliente saltuario e solitario

«Noi esercenti siamo degli imprenditori - premette Michele Unternährer, titolare del Bar Kream a Lugano e presidente di GastroLugano -. Se vediamo che a un certo orario non arriva più nessuno, chiudiamo. Non possiamo permetterci di pagare il personale per stare due o tre ore dietro al bancone a girarsi i pollici. Poi può capitare che un cliente esca di casa alle 23 perché ha fame e si lamenti perché non trova nulla da mangiare. Ma un esercente non può tenere la cucina aperta fino a mezzanotte nella speranza che forse arrivi un cliente che una volta all’anno ha fame alle 23. Non siamo a New York. Ogni tanto pensiamo di essere l’ombelico del mondo ma il fatto è che in Ticino siamo in pochi e dobbiamo fare i conti con la nostra realtà».

Quasi nessuno arriva alle 2

È pur vero che, ancora solo vent’anni fa, era molto più facile trovare dove fare il giro dei bar fino a tarda sera. La «movida ticinese» era tale da indurre i movimenti giovanili dei principali partiti a lanciare un’iniziativa che chiedeva di prolungare gli orari di apertura fino alle 3, il venerdì, il sabato e nei prefestivi. Un’iniziativa concretizzatasi nel 2017 con l’estensione dell’orario di chiusura dei bar dalla una alle due di notte. Oggi però non sono particolarmente numerosi gli esercizi pubblici che approfittano di questa possibilità.

«Sono cambiate le abitudini, però siamo anche noi che le abbiamo fatte cambiare a furia di aggiungere restrizioni e nuovi paletti - afferma Alberto Akai, gerente del Cantinone di Locarno -. Se per esempio un esercente vuole invitare un dj per mettere un po’ di musica, deve chiedere un’autorizzazione che comporta burocrazia e piccole tasse e lo può fare al massimo due volte al mese. Io sfrutto entrambe queste possibilità, organizzo il karaoke due volte al mese. Però ci sono altri esercenti che hanno lasciato perdere, si concentrano sull’aperitivo e poi chiudono. E se sempre più bar chiudono presto, alla fine anche il cliente modifica le proprie abitudini, sapendo che dopo una certa ora non troverà più granché».

In questo modo anche gli esercenti che tengono duro si trovano ben presto confrontati con l’interrogativo se non valga la pena seguire l’esempio dei colleghi e andare a letto anche loro con le galline. «Quando ho ripreso questo bar ho deciso di tenere aperto sette giorni su sette, dalle 6 del mattino fino a mezzanotte o alla una - spiega Akai -. Chiaramente la sera non c’è sempre tanto movimento. Ma io voglio esserci per la mia clientela. Il mio è un investimento, uno sforzo che in parte sta venendo ripagato. Per esempio, la domenica sto lavorando molto bene».

Uno spritz e una bicicletta, p.f.

Altri esercenti invece hanno preferito riorientare la propria attività professionale in funzione delle mutate condizioni quadro, come Giona Sgroi, ex gerente del Bar Cervo di Bellinzona che ha finito per arrendersi alle lamentele di un vicinato particolarmente sensibile a livello uditivo e aprire un nuovo genere di locale, per ora unico in Ticino. «Ora vendiamo spritz e biciclette - spiega colui che insieme all’amico Davide Antognini ha aperto il Velo Café di Giubiasco -. Abbiamo seguito una tendenza già presente nel resto del mondo che consiste nel diversificare l’attività. Il nostro non è più solo un bar ma anche un luogo dove riparare la bicicletta, acquistarne una nuova o anche solo discutere della propria passione per le due ruote. E gli introiti, che si venda uno spritz o una bicicletta, vanno tutti nella stessa cassa».

È un concetto originale che permette di reagire a quelle che sono, come riconosce anche Sgroi, le mutate abitudini della clientela. «Non direi che il nostro sia un cantone morto, ci sono ancora serate e concerti - afferma -. Però i giovani tendono a uscire solo in occasione del singolo evento. Si è un po’ persa l’abitudine di andare semplicemente al bar. Una volta ci si trovava nei locali pubblici o nelle piazze, ora si tende a incontrarsi sui social. A livello di movimento la sera, lo si nota chiaramente».

Tra grandi città e sushi

I giovani escono meno, ma quando escono vogliono «uscire bene», sostiene anche Alberto Akai. «Io vedo tanti ragazzi, tra cui anche i miei figli, che magari restano a casa tutta la settimana e poi il weekend prendono e vanno in Svizzera interna o a Milano, dove possono godersi pienamente la notte. Come del resto facevamo noi in gioventù, quando in Ticino abbondavano le discoteche e i piano bar. Mentre oggi dopo la mezzanotte non è rimasto quasi niente».

Anche i ristoranti, aggiunge Michele Unternährer, vengono abbastanza disertati dai giovani, almeno quelli tradizionali, perché poi capita di vedere orde di ragazzini che si strafogano di sushi appena oltre il confine. «Quando io ero giovane, si andava a mangiare la pizza - ricorda l’esercente luganese -. Oggi i ragazzi hanno cambiato abitudini. Proprio l’altro giorno mio figlio mi ha raccontato che con gli amici si sono fatti portare il sushi al parco San Michele. È qualcosa che era impensabile ai miei tempi, oltre che impossibile».

Il telefonino soppianta le carte

Resistono quindi i ristoranti che si trovano nelle zone dove i turisti arrivano comunque, come Ascona o Piazza Riforma a Lugano, oppure quelli che possono contare su una clientela fidelizzata negli anni. «Noi lavoriamo discretamente bene - dice Antonio Cavadini dell’Osteria Luis di Seseglio -. Però anche noi teniamo aperto solo quando c’è gente. Sono finiti i tempi in cui bar e osterie tenevano aperto sempre e comunque. Oggi la gente esce ancora a mangiare, ma l’esercizio pubblico ha perso parte del suo ruolo aggregativo. Sempre meno gente va al bar a vedere la partita in compagnia o a giocare a carte. Oggi si sta ognuno davanti al proprio schermo».

Il risultato è un cantone che conta 2.300 esercizi pubblici ma dove spesso si fa fatica a trovarne uno aperto. «L’offerta nei centrocittà c’è ancora - sostiene Massimo Suter -. È vero però che negli anni c’è stata una tendenza accentratoria, che ha generato un calo dell’offerta nella zone periferiche. Ma d’altra parte è la legge del commercio, che vale non solo in Ticino bensì in tutto il mondo. Se non c’è gente, non vale la pena tenere aperto».

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