Tempi diversi, qualità uguale
Tagliano, cuciono, ricamano. «Guarda, questo ricamo lo sto facendo per realizzare un asciugamano per i neonati», dice Maria mentre mostra il suo lavoro. Lei, come le altre ragazze impiegate presso il laboratorio tessile-alimentare della Fondazione Otaf si impegnano con una precisione certosina e oltre a ricamare, preparano anche ottime confetture e sali aromatizzati. La parola chiave in questo contesto è il tempo. «Perché spesso si pensa che nelle realtà dei laboratori protetti si realizzano dei piccoli oggetti, solitamente a basso valore aggiunto, e destinati ad una ristretta clientela - spiega Giuseppe Mimmo, il referente della comunicazione della Fondazione Otaf - ma, cifre alla mano, nel 2021, un anno ancora segnato dalla pandemia, il fatturato dei laboratori si è attestato su 1'800'000 franchi».
Profumo di natura
Una giornata di sole, quelle d’autunno dove si mischia quel profumo di sottobosco umido al succo di mele. A Vaglio La Domenica incontra un’altra realtà, quella dell’associazione La Fonte nella sua fattoria. Al tavolo sotto il pergolato vicino alla piantagione di vite aspetta Matteo Innocenti, il direttore, subito dopo arrivano Luana, Andrea, Julio, Vincenzo e Domenico. E poi arriva anche Teo, il loro educatore che spiega: «Io qui sono l’ultimo arrivato, solo da un anno e mezzo, e sono formato come educatore, non ho mai avuto a che fare con lavori in mezzo alla natura». Ma subito Domenico e Andrea ridono, loro sono in fattoria da più di 30 anni, di colleghi, educatori e direttori, ne hanno visti tanti e Domenico ha una memoria di ferro quando li elenca tutti. E poi interviene Vincenzo: «Quando Teo è arrivato noi gli abbiamo mostrato il nostro lavoro», spiega fiero. E «gli abbiamo spiegato anche tutti i trucchi del mestiere», raccontano orgogliosi i veterani Domenico e Andrea.
Lavorare non significa solo produrre. Significa anche poter impiegare e valorizzare le proprie capacità, innovare e creare, interagire e confrontarsi con altre persone, apprendere, misurarsi con vincoli e obblighi, raggiungere con successo dei risultati, guadagnare un compenso e, non da ultimo, anche contribuire allo sviluppo della società. Queste esperienze sono per tutti noi, così come per persone con disabilità, molto importanti.
Il tempo ha un passo diverso
Sguardo concentrato, sorriso di soddisfazione, quella soddisfazione che prova chi, attraverso il proprio lavoro, sa di essere utile, e fa qualcosa che le piace. Nei laboratori Otaf si preparano i dessert per le mense scolastiche in gastronomia, le cassette di legno per il vino della falegnameria, e poi ancora, le illustrazioni, le ceramiche, i ricami, i computer, le targhette incise… Il tempo che viaggia velocissimo nell’economia circolare, che non permette errori, e pretende che la domanda sia soddisfatta subito, qui viene letto secondo una logica totalmente diversa. «Come li faccio io i cookies non li fa nessuno al mondo», sostiene Jonny, che lavora presso il laboratorio di pasticceria, poi guarda Paola, educatrice di laboratorio, e ascolta concentrato e responsabile i compiti del giorno. «Io adoro preparare la mousse di castagne», confida Beatrice, «oggi ne dobbiamo preparare vari vassoi per le mense scolastiche», spiega Paola, «quindi al lavoro ragazzi!».
Prendersi cura degli animali
«Non fare caso a me. Io vengo da un altro pianeta. Io ancora vedo orizzonti dove tu disegni confini». Lo diceva Frida Kahlo. E nella fattoria di Vaglio i confini non esistono, «in 30 anni ne ho fatti tanti di lavori, animali, coltivazioni di frutta e verdura, fiori, legna…», racconta Domenico, ma «qualsiasi attività è bella, perché siamo all’aria aperta, siamo un bel gruppo». Da un annetto è arrivato anche Julio, che prima era impiegato presso la fattoria di un’altra fondazione. «Mi sono sentito subito accolto, qui faccio tutto, mi piace imparare ma anche rilassarmi, per esempio quando mi prendo cura dei nostri conigli». È risaputo, la vicinanza degli animali è terapeutica e stimolante, «sarebbe bello poter introdurre nella fattoria la «pet-terapy», uno stimolo in più per i nostri dipendenti - pensa Teo, l’educatore -, tuttavia questo tipo di attività devono autosostentarsi, dunque sarebbe un costo aggiuntivo che per il momento non possiamo sostenere».
L'intervista
Ha 44 anni, lavora come regista di continuità, è un padre e un marito. Ha perso il braccio sinistro quando aveva 16 anni scivolando sotto un treno. Stefano Bernasconi non ha perso la voglia di vivere, e soprattutto, non ha mai mollato la sua grande passione: il calcio.
Quanto ci tiene a questo sport?
«Le dico che quando è successo l’incidente era un venerdì sera di 27 anni fa, io giocavo a calcio nel ruolo di portiere, e il sabato avevo la partita. Mentre mi portavano in ospedale ripetevo ai miei genitori: non posso restare, domani ho la partita!».
Come ha fatto a non perdere la sua forza di volontà?
«Probabilmente ho trovato la forza di reagire grazie ai miei genitori e alla mia famiglia. O forse in me stesso. Ricordo che il giorno in cui mi hanno dimesso dall’ospedale mi sono fatto trovare già vestito, e mia mamma mi chiese: «Ma ti hanno aiutato le infermiere?», e io, «no ho fatto da solo». E da lì è sempre stato così nella mia vita: ho imparato a cavarmela».
Oggi ha una vita normale?
«Le difficoltà non sono mancate, perché non è facile trovarsi a 16 anni ad essere una persona con disabilità. Anche se a me non piace chiamarla così o vederla come un problema perché ho una vita normale: faccio sport, lavoro, sono sposato e ho due bellissime bimbe. L’unica cosa - ma ci sto lavorando - è che non riesco ad allacciarmi le scarpe».
Cosa significa normale?
«Io e mia moglie... Per lei la mia menomazione non è ai stata un problema, anzi! Quando in casa faccio i mestieri e magari ci metto più tempo, lei mi rimprovera. Non mi ha mai fatto sentire a disagio, o fuori posto, come invece hanno cercato di fare, talvolta, gli occhi indiscreti di alcune persone».


E con le sue figlie?
«Le abbiamo educate alla normalità. Spesso chiedo loro: «Ma secondo voi papà ha un problema?», e loro mi confermano che non lo vedono, e anzi, che faccio molte più cose dei papà delle loro amiche. Inoltre, quando d’estate tolgo la protesi perché soffro molto il caldo, mi dicono che mi preferiscono senza! Questa per noi genitori è un po’ una conferma».
Dove gioca a calcio?
«Ora gioco nei Seniori del Lugano e quando mancano i portieri sono io che vado in porta. E poi ci sono i Camaleonti, una squadra nata nel 2019 nell’ambito del primo torneo internazionale in Svizzera dedicato a persone con disabilità».
Cosa significa giocare con loro?
«Per capirlo bisognerebbe vedere il film che è stato realizzato da Patrick Bottacchio, parla della nostra storia ed è andato in onda su RSI LA1 domenica 16 ottobre».