Il caso

Un poliziotto nei guai «per amore»

Un sergente della cantonale è sotto inchiesta per una relazione con una denunciante: cosa dice il codice deontologico?
©Samuel Golay
Davide Illarietti
30.03.2025 13:30

Al cuor non si comanda, si diceva una volta. Neanche se il cuore batte sotto una divisa da poliziotto. C’è qualcosa di tremendamente umano in una vicenda che dal mese scorso è sul tavolo della procuratrice Chiara Buzzi, e che coinvolge «di striscio» - ma neanche troppo - un sergente maggiore della Polizia cantonale in servizio nel Sottoceneri.

Il lato umano è, come sempre, seppellito tra pagine e pagine scritte più o meno in burocratese, ma alla fine vince su tutto (come l’amore, in teoria) e si risolve in questo caso in una domanda: può un agente di polizia avere una relazione sentimentale con una donna coinvolta in un procedimento penale, di cui è lui stesso incaricato?

Il dubbio è riferito al regolamento della Polizia cantonale. Perché rispetto all’eventualità in sé, invece, non c’è dubbio: può succedere, e infatti è successo. L’agente in questione è citato nel procedimento aperto dal Ministero Pubblico, in quanto querelato assieme alla donna dall’ex marito di lei - geloso o non geloso, non viene specificato - a causa appunto del suo coinvolgimento in un’indagine precedente.

Colpo di fulmine

Sullo sfondo c’è una brutta storia di separazione coniugale, condita di sospetti di tradimenti e violenze domestiche, che nella primavera-estate dell’anno scorso diede già da lavorare a un’altra procuratrice (Anna Fumagalli) e riguardava la stessa coppia ma a parti invertite: la moglie denunciante, il marito denunciato. È appunto in occasione di quell’indagine, negli interrogatori a cui aveva partecipato in qualità di responsabile, che il poliziotto avrebbe conosciuto quella che allora era una presunta vittima. L’incarto si è chiuso a dicembre con un decreto di abbandono: ma nel frattempo tra i due, tra un verbale e l’altro, era nato qualcosa.

Una relazione fatta di telefonate (molto numerose, sul numero di servizio) e incontri più o meno giustificati dal procedimento in corso, all’inizio. Poi sempre più scoperta e infine ufficializzata - tristemente - nella contro-denuncia presentata a gennaio dall’ex marito, dove i due compaiono uno di fianco all’altra, nome e cognome. Di nuovo, le accuse penali sono gravi almeno sulla carta - lesioni semplici, minaccia, vie di fatto, coazione, violazione del dovere di assistenza o educazione - ma anche qui il punto sembra essere un altro: o anche un altro.

«Comportamento inopportuno»

In attesa di un giudizio o quanto meno di un secondo decreto di abbandono, la questione è reputazionale forse ancor prima che deontologica. «Aspettiamo con fiducia l’esito delle indagini ma quello che sicuramente si può rilevare fin d’ora è il comportamento inopportuno di un funzionario di polizia, in palese violazione con i doveri imposti dal regolamento» sottolinea l’avvocato Valentina Nero, che patrocina l’ex marito.

Un comportamento che è stato segnalato al Dipartimento delle Istituzioni, come datore di lavoro, parallelamente alla denuncia. Ora, come capita in questi casi, la patata bollente passa in mano al Comando della Polizia cantonale. Il quale, contattato, si riserva di adottare «le misure necessarie nel rispetto delle procedure previste» nel caso che dall’inchiesta «dovessero emergere elementi di rilevanza penale o deontologica». In particolare il regolamento - che tra le altre cose impone (art. 21) di segnalare prontamente qualsiasi situazione di incompatibilità - prevede sanzioni che vanno dalla multa-ammonimento alla sospensione dello stipendio, a misure più severe in base all’esito dell’inchiesta penale.

Una cosa è certa: nella gran mole di lavoro svolta l’anno scorso dalla Polizia cantonale - 982 gli interventi e procedure in ambito familiare - la violenza domestica resta un problema serio (in 162 casi si è proceduto d’ufficio) e da prendere seriamente. Un innamoramento, tra tante vicende dolorose, potrebbe addirittura sembrare una buona notizia: il Rapporto annuale pubblicato nei giorni scorsi non ne fa menzione (ci mancherebbe) ma l’attività costante di controllo e prevenzione sul territorio, è fatta anche di queste cose. Storie che non traspaiono dalle statistiche criminali, e certamente è meglio così. Come non traspare la quantità di denunce abusive e «strumentali» di cui gli agenti di polizia sono spesso vittime e che intasano la già affaticata macchina della giustizia in Ticino.

«Non siamo dei robot»

Agenti che si fanno coinvolgere. Ma anche agenti che sono fatti oggetto di attenzioni indesiderate, che siano poliziotti o poliziotte: i precedenti non mancano nell’ambiente. «È capitato anche a me» racconta ad esempio un rappresentante sindacale, che preferisce rimanere anonimo e precisa che il coinvolgimento era stato «assolutamente unilaterale» da parte di una vittima di violenza domestica. «In questi casi la prima cosa da fare è avvisare i superiori e togliersi dall’inchiesta, per non comprometterla ed evitare fraintendimenti». Proprio le indagini in ambito familiare sarebbero le più delicate e a rischio di strumentalizzazioni. «Il lavoro richiede una dose di empatia e vicinanza, che deve andare oltre gli interrogatori ma non troppo oltre».

Il canale di comunicazione tra agente e parti coinvolte «deve essere gestito in modo consapevole e professionale e non sempre è facile» conferma Max Hofmann. Da vent’anni è segretario generale della Federazione svizzera dei funzionari di polizia (FSFP) e ricorda diversi casi a livello nazionale di agenti denunciati «spesso in modo pretestuoso e infondato». Ma comunque mette in guardia sul rispetto delle direttive deontologiche. «Come agenti entriamo in contatto con persone in momenti difficili e di fragilità, è fondamentale mantenere il distacco anche se non sempre è facile. Bisogna avere la massima attenzione nel cogliere segnali che vanno in una certa direzione».

Proprio per la delicatezza del compito che sono chiamati a svolgere, nella formazione degli agenti della Polizia cantonale l’aspetto del coinvolgimento è trattato in modo approfondito. Esiste anche un servizio di consulenza psicologica, a cui i poliziotti possono rivolgersi. «Tra la vittima e il ‘‘salvatore’’ possono innescarsi meccanismi complessi. A volte si tende a dimenticarlo, ma anche gli agenti e le agenti hanno emozioni e non sono dei robot. È un elemento che va assolutamente tenuto in conto». Ciò detto, esiste anche un rovescio della medaglia: negli ultimi anni la FSFP ha riscontrato un «aumento marcato» delle denunce mendaci ai danni degli agenti di polizia in tutta la Svizzera. «In particolare le denunce per abuso d’ufficio e favoreggiamento sono aumentate parecchio senza che ci sia stato un uguale aumento delle condanne» ricorda Hofmann. Di recente a Berna è stata discussa una mozione per tutelare gli agenti dalle «molestie giuridiche», attualmente in discussione nella Commissione affari giuridici del Consiglio Nazionale.

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