Il commento

Un ponte tra Oriente e Occidente

In fondo, tutto il pontificato di Papa Francesco si potrebbe racchiudere in una frase: costruire ponti, non muri
Francesco Anfossi
27.04.2025 06:00

In fondo, tutto il pontificato di Papa Francesco si potrebbe racchiudere in una frase: costruire ponti, non muri. Lo ha ricordato ieri, con la voce incrinata dall’emozione e dal peso degli anni, il vegliardo cardinale decano Giovanni Battista Re.

Un filo sottile ma robusto ha legato ogni gesto, ogni parola del pontefice scomparso: l’idea di una Chiesa «in uscita», di una casa aperta a tutti, capace di chinarsi sull’uomo senza chiedergli prima il certificato di appartenenza, in cui ci si prende cura «con determinazione dei problemi delle persone e dei grandi affanni che lacerano il mondo contemporaneo; capace di chinarsi su ogni uomo, al di là di ogni credo o condizione».

Quello di Bergoglio è stato certamente un funerale di popolo, meno attento alla platea dei potenti della terra, che pure erano presenti, e più dedicato alla «sua» gente, a cominciare dai pellegrini e dai romani (ce n’erano 250 mila), di cui il papa, non dimentichiamolo, è vescovo (il pontefice argentino soleva chiamare la diocesi della capitale «la mi esposa», la mia sposa). Lo testimonia il bagno di folla della papamobile - circondata da due ali ininterrotte di fedeli - che ha portato il feretro nella basilica di Santa Maria Maggiore, dove è stato tumulato, fuori dalle mura vaticane, quasi a voler restare ancora in mezzo alla gente (e forse lontano dalla Curia). Quanto ai potenti della Terra, la foto storica di Trump, Zelensky, Macron e Starmer che parlano di pace dentro la basilica di San Pietro, la chiesa del papa della pace, speriamo sia di buon auspicio.

Da oggi si aprono i novendiali, i giorni delle preghiere di suffragio, poi verrà il tempo del conclave. Nel frattempo i cardinali si riuniscono nelle riunioni dette Congregazioni «per conoscersi, confrontarsi e discutere delle istanze che definiranno il nuovo pontefice: dalla difesa del creato all’attenzione alle povertà e disuguaglianze, alla pace, alle periferie, «sia fisiche che esistenziali».

Ci si chiede chi sarà il successore di Francesco, se si tornerà a un italiano dopo tre stranieri (Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio) e se continuerà nel solco del suo magistero. E i «papabili»? Si fa il nome del segretario di Stato Pietro Parolin, del presidente dei vescovi italiani Matteo Zuppi, del prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, del filippino Luis Antonio Tangle, e del vescovo di marsiglia Jean-Marc Aveline. Ma come è noto chi entra in conclave papa ne esce cardinale (ad eccezione di Ratzinger che nel 2005 è entrato papa e ne è uscito papa). Se stiamo ai numeri, la risposta sull’orientamento del futuro papa - italiano o straniero che sia - dovrebbe essere (quasi) scontata. Su 135 cardinali che entrano in conclave, l’80 per cento sono stati nominati da Bergoglio. Quello realizzato da Francesco con il complesso delle sue nomine, comprese le ultime, è un Sacro Collegio sempre meno eurocentrico, sempre meno a trazione italiana e occidentale (anche se i cardinali italiani sono 19, la rappresentanza più folta di porporati, seguita dagli statunitensi, a quota 10), con uno sguardo attento alle chiese «di frontiera» in tutto il pianeta. Sono molte, ad esempio, le grandi diocesi occidentali che non hanno un cardinale: Milano, Venezia, Parigi, Los Angeles. Guardando ancora alla provenienza, 59 saranno i porporati provenienti dall’Europa, 37 dalle Americhe (16 dall’America del Nord, quattro da quella centrale, 17 dall’America del Sud), 20 i cardinali dall’Asia, 16 dall’Africa, tre dall’Oceania. Come si vede l’Europa resta il cuore della Chiesa cattolica, ma il vento soffia forte dalle «periferie» del mondo.* Redattore capo di Famiglia Cristiana

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