Un telefono che scotta
«Ogni caso, ogni telefonata è diversa e solo aprendo il cuore si può arrivare all’infinito». Tina Mantovani e Lidia Canonico sono volontarie da sempre per Telefono SOS infanzia - associazione fondata nel 1988 a Chiasso nello stesso anno in cui in Italia veniva creato Telefono Azzurro - e da sempre, come i loro colleghi, ascoltano le preoccupazioni e i problemi di chi sta dall’altra parte della cornetta. «Possono essere dei minori ma anche degli adulti che hanno visto il fatto o lo hanno sentito raccontare da una persona di fiducia», precisano in coro con lo stesso tono e lo stesso sguardo degli occhi. Droga, alcol, psicofarmaci, maltrattamenti, allontanamenti. Le voci dall’altra parte della cornetta sono molte e hanno tutte un punto in comune: sono richieste di aiuto. E chi le ascolta, chi le intercetta «deve essere capace di accoglierle, anche se all’inizio possono presentarsi sotto forma di rabbia e trasformarsi man mano in pianto e in seguito in una valanga di emozioni».
«La situazione è peggiorata»
Dal 1988 a oggi sono passati molti anni e Telefono SOS Infanzia, nata su iniziativa di Federico Mari - a cui è dedicato anche un riconoscimento per chi è attivo nel sostegno ai minori - non ha mai smesso di ascoltare e intercettare il malessere del Paese sempre operando in rete, sempre connettendosi ai servizi del territorio, diventando a sua volta un’antenna molto sensibile dello stato di salute della società. «Negli anni la situazione è peggiorata molto - commentano Tina e Lidia - la crescita del benessere ha portato anche a un preoccupante aumento del consumo di droga. Inoltre, le persone non parlano più tra loro come prima, non c’è più molta comunicazione tra genitori e figli a causa soprattutto dei telefonini, di Internet e dei social media».
A mancare non è tanto la famiglia in senso tradizionale quanto i rapporti familiari in sé. Si è come tutti connessi altrove. Staccati dal reale. Giovani e adulti, indifferentemente. Solo che i minori sono più esposti, più a rischio. Gli episodi, i casi e le situazioni intercettate dall’associazione sono molti. Dal ragazzino che guarda filmati di pestaggi sui social e poi li mette in pratica a scuola, alla ragazzina che crede di chattare con un coetaneo, scappa da casa, prende un treno e il coetaneo è in realtà un adulto malintenzionato.
Tanta passione ma i volontari latitano
Tina e Lidia spostano lo sguardo nel vuoto quando ricordano certi dettagli come se ricordarli facesse ancora male. Telefono SOS infanzia si occupa infatti solo della presa di contatto, «noi siamo al fronte, rispondiamo a tutti quelli che non sanno chi chiamare», non sa sempre come si risolvono in seguito le situazioni. Solo ogni tanto e solo attraverso un’altra associazione, che si chiama La Sorgente, l’aiuto si fa persona in carne e ossa e se richiesto si incontra chi ha telefonato e lo si aiuta personalmente nelle cose concrete come può anche essere un semplice accompagnamento dal servizio sociale di turno.
Tina e Lidia hanno sui settant’anni, «mi chiamano la decana», scherza Tina, e un bagaglio di esperienze enorme. Ma non solo quello. Sulle spalle hanno anche migliaia di ore di formazione di base e continua. Così tante che ai nuovi volontari può anche spaventare. Perché l’aiuto non si può improvvisare. Servono impegno, studio e dedizione, ma anche una passione non comune. «Rispetto al passato oggi siamo in meno come volontari, ma noi ci siamo ancora, siamo qui», specificano con orgoglio. Anche perché non sono mai state da sole. «Negli anni l’associazione, che oggi è coordinata da Paolo Frangi, è stata portata avanti da persone meritevoli».
Allora come oggi il telefono di SOS Infanzia - 091.682.33.33 - è sempre acceso e i volontari rispondono dalle 9 alle 21, senza mai sapere quale problema troveranno dall’altra parte della cornetta. Anche se... anche se è la droga, la cocaina in particolare, a preoccupare Tina e Lidia, vista la sua enorme diffusione. Anche tra i giovanissimi. «Un giorno ci è capitato di rispondere a una mamma preoccupata per la figlia, una brava ragazza che non brillava però a scuola, che usciva di nascosto la sera per andare a Lugano per consumare degli stupefacenti. Oggi quella ragazza ha superato quella fase dopo che la famiglia e la scuola sono riuscite ad aiutarla, standole più vicino e ascoltandola di più. Ecco queste sono le nostre piccole soddisfazioni», affermano le due volontarie.
La droga nel bicchiere e l’infanticidio
In realtà Tina e Lidia hanno un sacco di storie da raccontare. Ma le tengono per loro. Per rispetto degli altri e della privacy. Solo spronate si lasciano sfuggire qualche altro episodio. Ma solo per spiegare meglio il contesto in cui operano, la società di oggi. Che non è più quella di venti o trenti anni fa. Ma secondo loro è peggiorata. A causa soprattutto della diffusione delle sostanze stupefacenti e della mancanza di comunicazione nei rapporti personali tra adulti, ma anche tra adulti e bambini. «Un giorno per festeggiare i suoi 20 anni un ragazzo residente in Ticino ha organizzato una festa in un bar con i suoi amici - raccontano -. A un certo punto questo stesso ragazzo ha cominciato ad agitarsi e si è messo a spaccare il locale. Solo dopo si è scoperto che era stato drogato a sua insaputa con del liquido che qualcuno, forse per gioco, gli aveva versato nel bicchiere».
Un caso isolato? Forse sì. Come lo sono tutti finché non vengono messi insieme, in relazione, collegati. Lidia all’improvviso si fa seria. «Rispondevo al telefono da poco, quindi ero agli inizi - spiega - quando rispondo e dall’altra parte del telefono c’è una mamma che inizia a raccontarmi di come il marito e padre di sua figlia voglia portare via con sé la bambina. A un certo punto mi dice che piuttosto avrebbe ucciso la figlia». Prima di continuare la voce della volontaria si fa più grave. «Alla fine è andata così. L’ha uccisa davvero».