«Una cerimonia tra mito e realtà, la monarchia è viva»
Caprarica, lei è un profondo conoscitore della monarchia britannica. In occasione dell'incoronazione di ieri è arrivato nelle librerie il suo nuovo libro (Carlo terzo, il destino della Corona). Lo ammetta: era quasi un miraggio. Dopo un’attesa lunga una vita il «povero Charles», come lo chiamavano spesso gli inglesi, è diventato finalmente Carlo III.
«In effetti l’attesa per lui è stata davvero lunga. Anzi: c’è stato un momento in cui la corona sembrava un miraggio irraggiungibile per lui. Soprattutto subito dopo la morte di Diana, quando il suo indice di popolarità precipitò al 4%. Nel corso di questi ultimi venticinque anni Carlo è riuscito a ricostruire la sua immagine pubblica, come pure quella della sua amata. Da adultera sfasciafamiglie ora Camilla è divenuta regina e la maggioranza degli inglesi è con la coppia reale».
Come giudica la cerimonia di ieri?
«Bisogna dire che la cerimonia dell’incoronazione è stata ancora una volta uno spettacolo straordinario affascinante e coinvolgente. Qualcosa di eccezionale che risponde un po’ a tutto: all’inconsapevole bisogno di grandeur degli inglesi, alla voglia di favola del resto del mondo e ad una certa idea della Corona dei conservatori nel Regno Unito. Insomma, la monarchia si conferma una istituzione in grado di tenere uniti mito e realtà, sogno e concretezza. Da questo punto di vista complimenti a Carlo III, perché in questa incoronazione molto diversa da quella della madre è riuscito a coltivare i ramoscelli del passato gettando contemporaneamente importanti semi per il futuro».
È vero che Carlo è pieno di vizi sui quali non intende abdicare?
«I vizi sono soprattutto legati alla sua sfera privata. Non bisogna dimenticare che Carlo è cresciuto nello sfarzo, nell’obbedienza e nell’adulazione. Ad esempio odia il rumore del ghiaccio nel gin tonic perciò esige cubetti rotondi e non quadrati; pretende che il pigiama gli venga stirato ogni sera prima che vada a letto e che le stecche delle sue camicie siano d’oro (massimo d’argento) ma mai di plastica. Questi sono soltanto alcuni dei suoi vizi. Nella vita privata Carlo è ciò che erano i principi cento anni fa. Questo è il suo limite principale. Da questo punto di vista ha ragione chi sostiene che Carlo è un gentiluomo di campagna del diciottesimo secolo nato con due secoli di ritardo. Un limite, ripeto, che si riscontra più nella vita privata che in quella pubblica».
Secondo lei che sentimenti ha provato Carlo quando la famosa corona è stata finalmente posata sul suo capo?
«Possiamo immaginarci facilmente il suo sentimento. Quest’uomo ha aspettato settant’anni affinché ciò accadesse. Era erede al trono britannico dal 1952. Un’eternità. Tuttavia Carlo non ha passato questi anni in modo frivolo e leggero. Oltre alla preparazione al compito regale che lo aspettava, ha dedicato molto tempo alle organizzazioni filantropiche, molte delle quali da lui create. Come «the Prince’s Trust», un’organizzazione di sostegno che ha già aiutato ottocentomila ragazzi a trovare la loro strada professionale. Carlo non è stato un fannullone».
Carlo ha 74 anni: il suo sarà dunque un regno di transizione…
«Certamente. Per evidenti ragioni anagrafiche. Tuttavia, come ci insegna la storia del papato, sono spesso i papi di passaggio a lasciare un marchio indelebile nella storia. Ciò potrebbe accadere anche a Carlo».
Dopo la morte di Elisabetta II ora c’è soltanto una regina. Ed è Camilla: quale sarà il suo ruolo a fianco di Carlo?
«Camilla avrà un ruolo di stabilizzazione, come avvenuto finora. Lei non è una che corteggia la popolarità o che fa ombra a suo marito. Camilla è un articolo genuino e ciò la rende popolare agli occhi dei sudditi».