Una polveriera da disinnescare
Obilic non è solo un Comune sotto il fumo nero delle grandi centrali a carbone che sorgono alle porte di Pristina. È anche un esempio di come le differenti etnie abitano il Kosovo. Albanesi, serbi, rom, turchi, bosniaci e gorani convivono tra loro. Apparentemente senza problemi. Almeno qui. Nel centro sud del Paese, dove «al di là di piccoli incidenti di vicinato, incidenti che capitano dovunque nel mondo, tutti hanno ottime relazioni con tutti». A parlare è Nikola, un giovane soldato ticinese della Swisscoy che presta servizio nel Liason and Monitoring and Team (LMT) della KFOR, la forza internazionale di pace per cui da 25 anni, dalla fine della guerra in Kosovo, prestano servizio, appunto, anche circa 200 soldati svizzeri. L’LMT è come un’antenna che sta sempre attenta ai mutamenti e alle informazioni che potrebbero avere risvolti negativi per la sicurezza e la stabilità in Kosovo e in tutta la regione dei Balcani.
Il sole è alto e l’aria impregnata di carbone quando Nikola e il suo team guidano per il centro di Obilic. Oggi devono incontrare una persona importante del Municipio. Ma prima ne approfittano per dare uno sguardo in giro. «Quella chiesa ortodossa è chiusa perché non ci sono abbastanza credenti - dice a un certo punto il soldato, indicando l’edificio religioso sulla strada principale. Alcuni negozi. Dei bar. In generale una sensazione di tranquillità e relax. «Qui è dove invece abbiamo il nostro ufficio che abbiamo inaugurato da poco. È un ottimo strumento per intavolare il dialogo», precisa, fiero. Si vede che avere un luogo così centrale e a contatto con la popolazione è avvertito come una cosa molto importante. I soldati dell’LMT sono del resto percepiti come neutrali dalla popolazione. Perché non stanno da una parte né dall’altra. Ascoltano e parlano con tutti. Al di là delle etnie e della religione.
I quartieri e la tomba del Sultano
La jeep della KFOR prosegue tra un rallentamento e l’altro. Perché una volta si vuole fermare per salutare un paesano che ricambia il saluto, un’altra c’è una via laterale e un po’ più nascosta da osservare meglio. «Guardiamo anche i graffiti sui muri perché a volte partono da lì certi segnali», annota Nikola. Il veicolo esce dal centro e attraversa alcune vie periferiche. «Questa è la zona dove abitano in prevalenza serbi, là c’è una cappella ortodossa». Poco prima i militari avevano invece attraversato una via quasi vuota eccezion fatta per un palazzo costruito di recente. Un palazzo dove vivono alcuni abitanti di etnia rom. Le condizioni igieniche non sono felicissime. C’è della spazzatura nel cortile.
Insieme, anche se divise. Convivono così le etnie a Obilic. Un Comune come tanti in Kosovo dove anche la storia si può misurare a strati. Per accorgersene basta guardare la tomba del Sultano Murat I che si incontra alle porte del paese. Un Sultano che nel 1389 per conto dell’Impero Ottomano ha combattuto la battaglia della Piana dei Merli (conosciuta anche come battaglia di Kosovo Polje) contro una coalizione cristiana dei Balcani guidata dal Principe Lazar. Principe che voleva riconquistare questa parte di terra. «Il corpo del Sultano è a Bursa in Turchia - specifica Nikola - ma i suoi organi dicono che sono sepolti qui e non mancano i turistiche vengono a visitare il sepolcro e il museo che hanno aperto alcuni anni fa».
Etnie e religioni che si mischiano. Continuamente. È anche questo il Kosovo. Un Paese dove la convivenza tra etnie si tocca quasi con mano. Nikola sembra sapere tutto di Obilic. Anche la sua storia. «Io credo che la curiosità sia un ottimo strumento per conoscere e cambiare prospettiva sulle cose. Se uno ha paura si chiude e non scopre nulla del mondo», sottolinea il giovane soldato.
Il veicolo esce dall’abitato per prendere una stradina di campagna. Qui si susseguono fattorie, campi e casette. Pristina non si vede più. È dall’altra parte della collina. In compenso si vede l’enorme miniera di lignite da cui viene estratto il carbone per le centrali. «Per alimentarle è necessaria la costante estrazione di lignite dalla miniera, che è una delle più grandi d’Europa, funziona ininterrottamente e dà lavoro a oltre duemila persone», chiarisce il soldato.
La discarica a cielo aperto
Tanta voracità ha anche un prezzo. Non solo nella qualità dell’aria. Ma anche perché la miniera si sta divorando progressivamente prati, strade e case. Trasforma il paesaggio. Giorno dopo giorno. Insaziabile. «Per cercare di compensare stanno progettando di costruire un parco fotovoltaico «, fa sapere Nikola.
Senza energia elettrica un Paese del resto non può funzionare, crescere. E il Kosovo ha una voglia incredibile di rilanciarsi. Di evolvere. Lo si capisce dai palazzi in costruzione nella capitale. Ma anche dal consumo di rifiuti. Che ha sempre in Obilic lo specchio. Perché è qui, tra il paese e le centrali a carbone che si estende una vasta discarica a cielo aperto. Il via vai dei camion è continuo. Lasciano tracce sulla polvere nera del carbone che si deposita per terra, strato dopo strato. Uccelli di grandi dimensioni e cani randagi fanno a gara a chi si accaparra il rifiuto migliore.
Anche qui, come davanti alla miniera, si ha la sensazione di guardare una landa desolata ma anche a suo modo necessaria. Perché oggi in Kosovo non si può avere ancora tutto. Ma bisogna scendere a compromessi per evitare il male peggiore. Che potrebbe ripresentarsi quando meno ce lo si aspetta