Salute

La magia di Nottwil

Nessun miracolo ma tanta scienza, al Centro svizzero per paraplegici chi ha la schiena rotta può davvero rialzare la testa
Inaugurato nel 1990, oggi il Centro svizzero per paraplegici di Nottwil è una clinica super specializzata per seguire i pazienti in sedia a rotelle dalla A alla Z. © KEYSTONE/Sigi Tischler
Andrea Bertagni
Andrea Bertagni
19.02.2023 13:45

Prima è una sensazione, poi una certezza. Perché all’inizio può sembrare normale vedere due persone che, quando si incrociano, iniziano a parlare e ridere, anche se sono sedute sulla sedia a rotelle. Può sembrare normale perché vedi complicità, sguardi d’intesa, non detti. Immagini due amici che non si vedono da parecchio tempo e pensi a una discussione lasciata a metà. Ma quando a quelle due persone se ne aggiungono altre dieci, quindici, venti e tutte sorridono e scherzano, allora tutto improvvisamente cambia. La sensazione si trasforma e diventa certezza. La certezza di trovarsi in un posto completamente diverso da come te l’eri immaginato. Immaginavi il dolore, pensavi alla rabbia, alla perdita, alla sconfitta. E invece ti ritrovi circondato dai sorrisi, dalla gioia di vivere. Anche se tutte queste persone sono qui, nel Centro svizzero per paraplegici di Nottwil, la più grande e la più specializzata clinica del Paese per la cura e la riabilitazione delle persone para e tetraplegiche, che si trova a una ventina di minuti da Lucerna. Un luogo in cui nessuno vorrebbe mai venire.

Il direttore ticinese

«Il mio sogno è che un giorno di questo Centro non ci sarà più bisogno e quindi verrà chiuso». Anche Luca Jelmoni, da un anno e mezzo direttore del Centro svizzero per paraplegici di Nottwil (prima dirigeva l’Ospedale Regionale di Lugano), sorride dicendo quello che a prima vista pare un paradosso. Perché non si è mai visto un direttore sperare di non avere più un posto di lavoro. Ma anche questo fa parte di quella che si potrebbe chiamare la magia di Nottwil. Un luogo unico. Dove probabilmente c’è anche un po’ di magia, ma tutto il resto è medicina, riabilitazione, sostegno, vicinanza.

Perché può succedere. Può succedere che a seguito di una malattia o di un incidente alla spina dorsale il midollo spinale si guasti assieme all’uso delle braccia, delle gambe e del sistema neurovegetativo. E allora si può arrivare qui dove quasi 2mila specialisti sono in grado di garantire il primo soccorso, la medicina d’urgenza, la riabilitazione globale e l’assistenza a vita. «Abbiamo circa 1.600 pazienti e 30mila visite ambulatoriali l’anno – precisa Jelmoni – senza contare tutti i pazienti non mielolesi, che sono quasi 400 ogni anno, e sono presi a carico dai nostri specialisti in chirurgia».

Dalla piscina all’infettivologia

Una piscina, una pista d’atletica, una palestra, un albergo, due ristoranti, una farmacia, un parrucchiere, una fattoria… E poi sale operatorie, cure intense, servizi di radiologia, urologia, fisioterapia, ergoterapia, logopedia, neurologia, pneumologia, medicina interna, dermatologia, cardiologia, anestesia, chirurgia, ginecologia, gastroenterologia, infettivologia, ortopedia, otorinolaringoiatria, psicologia. Una lista infinita. A cui si aggiungono laboratori di robotica, ricerca clinica applicata, tecnologie assistive e tante altre terapie. Quasi una città della medicina. Aperta a collaborazioni e nuove sinergie, «oggi collaboriamo già con l’Ospedale e l’Università di Lucerna» e magari in futuro, chissà, anche con l’Università della Svizzera italiana (USI).

Due infermiere si avvicinano a una signora in carrozzina. È appena uscita dalla stanza dove chi è paraplegico può sperimentare la sua nuova vita. Le infermiere si congratulano con la signora che, neanche a farlo apposta, sorride. Dopo una degenza che va dai 6 ai 12 mesi e ha permesso a chi ha subito una lesione midollare di tornare autonomo, da qui bisogna infatti uscire. Tornare alla vita di tutti i giorni. Ricominciare, dopo che si è già ricominciato, reimparando a fare quello che prima si dava per scontato, come andare al gabinetto o lavarsi o anche solo mangiare e vestirsi. Perché reimparare non è solo possibile, ma è anche uno degli obiettivi del Centro per i suoi pazienti.

Un percorso non facile, anzi difficilissimo. Che inizia malissimo. Con la scoperta di non riuscire più a muovere le gambe, nel caso dei paraplegici, o anche le braccia e le mani, se si è tetraplegici. Un’involuzione che porta in 30 giorni a perdere tutti i muscoli. Ma anche ad avere grandi difficoltà respiratorie, cardiache, digestive, intestinali e urinarie. Si smette anche di percepire, di sentire il proprio corpo, quindi pure un semplice stimolo ad andare in bagno è ormai un ricordo. Sembra impossibile. Sembra impossibile tornare a vivere. Eppure... eppure qui a Nottwil non solo è possibile, ma i pazienti sorridono quando si incrociano negli sterminati corridoi, quando si ritrovano a mangiare al ristorante, quando si salutano uscendo dagli ascensori.

Il pioniere

Non è magia. È scienza. Ma è anche testardaggine. Una testardaggine che ha un nome e un cognome: Guido A. Zäch. Si deve a questo medico basilese, che negli anni ‘70 ebbe in cura anche il pilota ticinese Clay Regazzoni, la nascita prima della Fondazione svizzera per paraplegici nel 1975, poi del Centro, qui a Nottwil, nel 1990. Sua la frase «le persone paraplegiche non sono cadute sulla testa, ma sulla colonna vertebrale». E soprattutto sua la volontà di approcciare e affrontare la paraplegia con una visione a 360 gradi, nel suo insieme. In una parola: innovativa.

Perché fino a non molto tempo fa chi stava in sedie a rotelle aveva la vita più corta. Moriva di insufficienze renali, decubiti e infezioni. Zäch vuole cambiare prospettiva e riunire in un’unica struttura tutte le specializzazioni mediche utili alla cura e alla riabilitazione. Così bussa la porta al Canton Zugo, ma la trova chiusa. Poi un giorno spunta un terreno in un paesino a 20 minuti da Lucerna. Si chiama Nottwil e non lo conosce nessuno. Trent’anni dopo sarà in tutte le carte geografiche non solo svizzere. Perché è qui che oggi si torna a sorridere, dopo aver sconfitto il dolore, la perdita, la rabbia e anche i luoghi comuni.