Master in medicina all’USI per colmare una carenza

È partito il nuovo Master in medicina della Facoltà di biomedicina dell’Università della Svizzera italiana. Anche il Ticino, dunque, oltre ad essere già un «vivace» ambiente di ricerca, d’ora in poi potrà vantare un percorso di studi in medicina.
Qual è la situazione attuale sul coronavirus in Ticino?
«Abbiamo avuto tantissimi malati, la gente sa cos’è e quanto è pericoloso il coronavirus. Io stesso ho perso degli amici, per cui è difficile per chi vive in Ticino banalizzare l’argomento. Per quanto concerne la facoltà di medicina, abbiamo avuto qualche problema perché ha rallentato i lavori del nuovo campus, ma per fortuna si è riusciti a concentrarsi sull’ala prevista per la medicina e quindi noi abbiamo cominciato».
Da cosa nasce il nuovo Master in medicina e qual è stata l’esigenza che ha portato alla sua creazione?
«Questo Master nasce per un’esigenza svizzera in generale. Nel nostro Paese attualmente vanno in pensione ogni anno circa duemila medici e ne formiamo invece circa mille. C’è evidentemente una carenza. La Federazione Svizzera ha deciso di lanciarsi nel tentativo di risolvere almeno in parte questo problema, così è stato pubblicato un bando di concorso. L’Università della Svizzera italiana ha partecipato e ha vinto, associandosi a tre altre università: l’Università di Basilea, l’ETH di Zurigo e l’Università di Zurigo».
Chi sono i destinatari di questo Master? Può accedervi solo chi ha un bachelor in medicina ottenuto in Svizzera o anche studenti dall’estero?
«Può accedervi chi ha un bachelor in medicina ottenuto in Svizzera, ma anche chi è in possesso di un passaporto o una maturità svizzeri e che ha studiato per tre anni medicina, ad esempio, in Italia superando con successo gli esami per i suoi studi primari. Non possono evidentemente accedere coloro i quali, seguendo lo stesso esempio, nonostante il superamento di tre anni di medicina all’estero non hanno una maturità o un passaporto svizzeri. Gli studenti invece che hanno terminato il loro percorso di medicina interamente all’estero, nella UE ad esempio, possono essere riconosciuti come medici e quindi non hanno bisogno di studiare da noi».
Come mai solo un percorso master e non anche di bachelor?
«La Svizzera ha pubblicato un bando di concorso per aumentare il numero di studenti. Nell’ambito di questa valutazione si è detto che il Ticino era in grado di formare gli studenti durante il secondo triennio, invece per quanto riguarda il primo triennio si è preferito associarsi a Basilea e Zurigo. Quindi attualmente non facciamo il triennio. Quello che lei dice è musica del futuro. Penso che fra qualche anno si potrà magari pensare di fare un bachelor anche in Ticino».
Cosa dovrebbe motivare la scelta di studiare medicina a Lugano? Come si svolge sommariamente il programma formativo?
«Questa è stata proprio la nostra preoccupazione durante la preparazione del master. Le facoltà di medicina svizzere sono piuttosto prestigiose nelle classifiche internazionali, quindi abbiamo cercato di attrarre studenti in Ticino con una formazione molto pratica e a piccoli gruppi. Hanno cominciato quest’anno 50 studenti e solo il lunedì mattina sono tutti insieme, il resto della settimana lo trascorrono in piccoli gruppi di massimo venti elementi. Inoltre due giorni alla settimana lavorano con medici in ospedale o negli ambulatori dei medici del cantone e questo è ciò che attrae maggiormente gli studenti».
Il master si svolge in lingua inglese, ma, nell’ottica della formazione sul campo, gli studenti dovranno conoscere l’italiano.
«In Ticino la maggior parte delle persone parlano italiano, quindi si chiede a questi giovani una conoscenza della lingua italiana. Ciononostante l’importante è riuscire in una comunicazione basilare: io mi sono formato cinquant’anni fa a Berna, certo nessuno mi hai mai soprannominato Goethe, ma riuscivo comunque a farmi capire. Gli studenti che sono qui sono molto entusiasti di imparare l’italiano, che è sempre un plus in un Paese plurilingue come la Svizzera, infatti il lunedì sera fanno un corso di lingua italiana».
Lei è al termine del suo mandato da decano. Quale eredità lascia al suo successore, tra certezze e sfide?
«Quello che consegno al mio successore è un gruppo di professori che ha lavorato durante questi tre anni di preparazione con molto entusiasmo. Il lavoro da fare è ancora molto, ma penso che le premesse lo siano altrettanto, in particolare dovremo costruire un buon rapporto con gli ospedali, nella speranza che tra qualche tempo possano chiamarsi ospedali universitari. Quindi consegno un decanato e un gruppo di lavoro molto motivati. Altre sfide, ad esempio, potranno essere la futura creazione di un bachelor in Ticino, di cui abbiamo anche accennato prima, e la possibilità di instaurare rapporti con la vicina Italia, in particolare con la vicinissima Lombardia».
In ultimo le chiedo se ci sono progetti di ricerca importanti all’interno della facoltà
«Sì, ce ne sono diversi. In realtà la nostra facoltà non è una scuola di medicina, ma è stata capace di integrare tutta una serie di progetti di ricerca molto vivaci presenti in Ticino. Ad esempio, l’Istituto di ricerca in biomedicina fa ricerca al 75% sul coronavirus. In Ticino sono anche molto importanti le ricerche in campo oncologico, presso l’Istituto oncologico di ricerca, dove si studia molto bene il linfoma, che è un tumore molto particolare. Il Ticino è molto bravo anche nella cardiologia, infatti nel nostro Cardiocentro si fa dell’ottima ricerca»