La testimonianza

«Non c'è nulla da festeggiare»

Rabbia, sconforto, delusione, vergogna – Licenziate a 50 anni due donne provano a rimettersi in gioco
01.05.2022 06:00

Spesso si tratta di decisioni strategiche, altre volte di chiusure definitive. Fatto è che di colpo, da un giorno all’altro, molti lavoratori si ritrovano senza più un impiego. Magari dopo anni e anni alle dipendenze della stessa azienda. Come è capitato a Leila e a Danila. Due donne sole, senza il sostegno economico di un marito. La prima, 50 anni, mamma di due ragazze, una ancora parzialmente agli studi, ricopriva un ruolo di responsabilità all’interno dell’azienda dove ha lavorato diciassette anni, sino a due mesi fa. La seconda, venditrice, 52 anni, per trenta alle dipendenze della stessa società di abbigliamento che ha chiuso i battenti nel 2017. Amarezza, rabbia, sconforto, delusione per le due donne, per fortuna abituate ad arrangiarsi, a bastare a sè stesse. Anche se dover cercare un’occupazione a cinquant’anni è molto più complicato che a venti o trenta. Si ‘costa’ troppo (gli oneri sociali a carico del datore di lavoro sono più pesanti), oppure, il che fa pure sorridere, ci si sente dire che si è troppo qualificati. Oggi, 1. maggio, abbiamo scelto di raccontare la loro storia, comune a molti lavoratori alla soglia della pensione. «C’è poco da festeggiare», commentano.

All’inizio ho vissuto uno tsunami di emozioni, alti e bassi, un giorno mi dicevo andrà tutto bene, un altro vedevo nero

Leila

Ricorda perfettamente il giorno in cui ha ricevuto la lettera di disdetta. «Scelte strategiche di centralizzazione delle competenze, c’era scritto - racconta Leila -. All’inizio ho vissuto uno tsunami di emozioni, alti e bassi, un giorno mi dicevo andrà tutto bene, un altro vedevo nero. Ho sempre lavorato, non concepivo non fare nulla. Mi è capitato di provare anche vergogna per essere in questa situazione». Inutile dire che si è subito data da fare. Ha immediatamente fatto un giro di telefonate, mobilitato tutte le sue conoscenze. «Ma sino ad ora niente, niente di concreto. Ovviamente preferirei trovare un’occupazione nel mio campo, sponsoring, comunicazione... è quello che so fare meglio».

Ed è quello che avrebbe continuato a fare. Mai e poi mai Leila pensava di lasciare quel lavoro. Le piaceva troppo. «Di andarmene via neanche pensarlo!», conferma. L’unica soddisfazione, se così si può definire, è che la sua posizione non è stata sostituita da un’altra figura ma è stata eliminata. «Altrimenti sarebbe stata ancora più dura da digerire, una vera umiliazione».

Ma la preoccupazione c’è. Con la buona uscita non può mica campare in eterno. Ha una figlia che tra un po’ inizierà un ciclo di studio di un anno, quindi senza stipendio, e avrà dunque bisogno del sostegno economico di mamma Leila. Che, comunque, non le ha impedito di rispondere ‘presente’ all’appello per aiutare le famiglie vittime della guerra. Pochi giorno dopo aver perso il lavoro, ha infatti aperto la porta di casa sua a una signora ucraina e alla figlia. Le ha ospitate per oltre un mese. «Loro sì che vivono un dramma, come facevo a fare finta di niente?!».

Spirito positivo, ottimista, per Leila questa potrebbe pure essere un’opportunità. «Perché no?, una nuova sfida professionale. Chi ha visto il mio profilo mi ha detto che dovrò prendermi del tempo per la ricerca, questo sì, ma che sicuramente sarei un valore aggiunto per l’azienda che mi assume. In questi anni di esperienza ho accumulato molte conoscenze che potrebbero rivelarsi parecchio preziose nel settore delo sponsoring e della comunicazione». Ma comunque brucia, fa male ritrovarsi oggi, festa del lavoro, disoccupata. «È diverso quando capita a te, non sei mai pronta. Come potresti? E poi io sono sola, non ho qualcuno su cui poter contare. Questo accresce la preoccupazione». E più passano le settimane... «Al momento sono abbastanza tranquilla, anche perché sono soltanto un paio di mesi che ho perso il lavoro. Se però dovesse trascorrere troppo tempo potrebbe subentrare lo sconforto, l’abbattimento, un senso di inutilità». Ma Leila è grintosa, forte, le difficoltà per lei sono una sfida. «Ripeto, mi sforzo di vederla come un’opportunità. Se è capitato c’è un perché. Come dire, chiusa una porta potrebbe aprirsi un portone...».

Il problema è l’età. Sono troppo vecchia. C’è pure chi mi prende in giro, dicendo che non sono adatta a fare quel tipo di lavoro per cui mi presento

Danila

Nel 2017 la società di abbigliamento per cui Danila lavorava da trent’anni ha chiuso. Ma lei non poteva certo permettersi di starsene a casa. Un impiego doveva trovarlo, e in fretta. Capita dopo sei mesi, grazie all’aiuto di una sua ex collega. «È solo un 20-40%, il resto lo integravo con la disoccupazione. Poi sono riuscita a trovare qualcosa d’altro, per poche ore al giorno, ma tra un po’ ho finito».

Danila si adatta a fare di tutto. L’importante è riuscire ad avere finalmente una certa stabilità economica. «Il problema è l’età - dice -. Sono troppo vecchia. C’è pure chi mi prende in giro, dicendo che non sono adatta a fare quel tipo di lavoro per cui mi presento. Ma se ho venduto per trent’anni! Dicano la verità, che costo troppo in oneri sociali e che della mia esperienza non gliene importa nulla. Sarebbe molto meno umiliante». Troppo vecchia, e così, da quasi cinque anni Danila si barcamena, sperando sempre di trovare finalmente un lavoro a tempo pieno. «A tutt’oggi tappo i buchi. Ma sono ottimista, in fondo c’è chi sta peggio di me, è molto più sfortunato. Per ora ce la faccio a sbarcare il lunario. Sono abituata a fare sacrifici. Non ho figli, non devo pensare a nessuno. E poi in fondo, riflettevo l’altro giorno, ho sempre avuto una botta di fortuna. Quando credo di essere a terra, ecco che qualcosa di positivo capita. Qualcosa che mi permette di tenere la testa fuori. Perché sia chiaro, io in assistenza non ci vado, non ci andrò mai! Sono troppo orgogliosa, piuttosto mangio tutti i giorni pane e acqua ma non voglio chiedere nessun aiuto».

Lo psicologo del lavoro

È sicuramente uno choc ritrovarsi senza lavoro, un trauma. «Cambia tutto, bisogna adattarsi a nuove abitudini, rimettersi in gioco, dimostrare di valere - spiega Alberto Crescentini, psicologo del lavoro -. E a una certa età è tutto più faticoso». Per molti un vero e proprio crollo degli orizzonti. Al di là della difficoltà economica, ci si sente inadatti, incapaci, subentra un senso di inutilità. «Bisognerebbe riuscire a riflettere sulle varie difficoltà che nella vita si sono incontrate e superate - suggerisce -, un esercizio che serve a tirar fuori risorse che neanche ci immaginiamo. Non è banalmente il pensare che andrà tutto bene, ma accettare la sfida». E poi chissà... Come ha osservato Leila, chiusa una porta potrebbe aprirsi un portone.