Tendenze

Quando il tatuaggio non è per sempre

Dal boom alla crisi, tanti «pentiti» vanno dal chirurgo per eliminare i disegni sulla pelle
Si rimuovono quelli che hanno virato colore e forma, o perché ormai fuori moda o per una scelta estetica
Giorgia Cimma Sommaruga
17.09.2023 15:54

Cambiano i gusti, le stagioni, l’età e gli amori. E anche il tatuaggio, la forma di espressione artistica e identitaria di origini antichissime, che molti pensano di portare impresso sulla pelle per tutta la vita. Sbagliando, spesso. Così crescono i pentiti, tra chi s’è fatto disegnare un nome, un simbolo, un disegno che ora non gli appartiene più. Ed ecco che le richieste per eliminare un tatuaggio sono in crescita. In un articolo del Guardian si racconta che il mercato globale del settore delle cancellazioni arriverà a 800 milioni di dollari nel 2027 (500 milioni nel 2019).

Servono diverse sedute

Ma ci sono rischi per la salute e cosa comporta una “rimozione”? Il chirurgo plastico Giorgio Giovannelli in questa operazione utilizza il laser. «Il tatuaggio può essere soggetto a ripensamenti. Si parte con una idea, soprattutto ad una certa età, magari in quel momento piace molto, oppure è di moda. E poi, col passare degli anni, un po’ perché i tatuaggi magari non sono stati fatti molto bene o perché vira come colore e come dimensioni delle linee, oppure ancora per motivi di lavoro, si decide di cancellarlo». Giovannelli spiega che la rimozione non è immediata, ma per evitare conseguenze richiede diverse sedute a distanza di almeno un mese l’una dall’altra, per consentire alla pelle di guarire. «La rimozione – precisa - è un percorso che può durare non meno di 5/6 sedute, in alcuni casi anche 9 o 10 o 12 sedute. E si tratta di sedute mensili. Per cui può passare anche un anno prima di rimuovere completamente il tatuaggio».

La ricerca dell’identità

L’antropologo Paolo Campione spiega che il tatuaggio ha sempre avuto una funzione di appartenenza a un gruppo sociale o a una cultura, ma che negli ultimi decenni si è trasformato in una ricerca di identità personale, legata alle trasformazioni della società e della comunicazione. «In passato il tatuaggio agiva come un vero e proprio marchio di riconoscimento per piccoli gruppi sociali o comunque per gruppi sociali molto delimitati, e all’interno del gruppo si manifestava in una serie di variabili che raccontavano i diversi valori professati da questo gruppo», spiega. A un certo punto, continua l’antropologo, «con la profonda trasformazione che la cultura di tutto il mondo, non soltanto quello occidentale, ha registrato a partire dagli anni ’70 il tema dell’appartenenza si è molto allargato. E oggi le persone si chiedono a quale gruppo appartengano, si chiedono qual è in qualche modo la deriva della propria identità».

La crisi e la cancellazione

Tuttavia, secondo Campione, il successo del tatuaggio ha anche portato a una sua crisi, perché la sua diffusione ha eroso il suo significato e la sua forza espressiva. «Oggi è talmente diffuso che è espressione di un’identità molto flebile, poco marcata e quindi perde sostanzialmente la sua ragione di essere e si trasforma da una ricerca di identità in una moda sempre più effimera. E come tale, come tutte le mode, perde di efficacia». L’antropologo osserva anche che ci sono delle nuove tendenze verso la purezza e la semplificazione, che spingono alcune persone a rimuovere i loro tatuaggi o a non farne affatto. «È probabile che ci sia a livello più generale rispetto ai temi del nostro mondo contemporaneo un bisogno di semplificazione, di pace, di allontanamento dei conflitti che si trasforma da un punto di vista estetico e iconografico in una vittoria - fra virgolette - del vacuum sul plenum».

La forma d’arte più antica

E se per Campione parlare di diritto di autore è esagerato nel campo dei tatuaggi perché «il tatuatore è un saccheggiatore seriale di un immaginario iconografico che non gli appartiene», l’antropologo preferisce lasciare il tatuaggio nella sua dimensione antropologica originaria, legata alla pittura corporale come prima forma d’arte dell’umanità. «La prima superficie sulla quale l’uomo ha dipinto è il proprio corpo, ben prima di qualsiasi forma di arte figurativa, ben prima dell’arte rupestre. Non c’è dubbio che la prima forma di arte è stata l’arte del corpo e che la prima superficie che l’uomo ha utilizzato per dipingere il proprio immaginario sia stato il corpo».

L’impatto sulla pelle

Tuttavia, benché si parli della forma d’arte più antica del mondo, si parla pur sempre di figure impresse sul corpo, e dunque, quando si pensa alla rimozione Giovannelli sottolinea l’importanza delle attrezzature usate, che devono essere moderne e professionali. «Noi, per esempio, presso i nostri centri a Lugano e Locarno, abbiamo i Pico laser che è l’ultima evoluzione del laser per l’eliminazione dei tatuaggi e lavora a una velocità e una potenza molto diversa dai vecchi laser. Consente di rimuovere tatuaggi, anche quelli colorati, in meno sedute e con meno trauma per la pelle». Il chirurgo raccomanda inoltre di evitare l’esposizione al sole durante il periodo di rimozione, per prevenire la formazione di macchie sulla pelle. «Il nemico più importante per i tatuaggi è il sole - afferma -. Perché? Perché l’attività del laser ovviamente rende la pelle estremamente sensibile».

I tatuaggi in bella vista

Giovannelli afferma che i tatuaggi più frequenti da rimuovere sono quelli esposti, come le sopracciglia, che spesso sono fatti male o cambiano colore. «In alcuni casi si sceglie di fare un tatuaggio per coprire un’imperfezione che può essere una cicatrice o altro, quindi noi dobbiamo stare attenti a capire che cosa c’è sotto: si vede con un po’di attenzione». Il chirurgo dice anche che dopo aver eliminato un tatuaggio con il laser, si può fare un altro tatuaggio sulla stessa zona dopo qualche mese. «Ci vuole un lasso di tempo per consentire alla pelle di recuperare dal trauma del laser, quindi normalmente noi consigliamo non prima di 3 o 4 mesi. Una volta trascorsi si può andare a fare un altro tatuaggio tranquillamente».

La tecnica cambia

Infine, Giovannelli osserva che il modo di tatuare è cambiato negli anni e che ora i tatuatori professionisti usano degli inchiostri di alta qualità e lavorano a bassa profondità. «Una volta si utilizzavano gli inchiostri con metallo che si trovano ancora su Internet. Adesso ci sono gli inchiostri senza metallo. Dalla Comunità europea sono vietati già da alcuni anni e quelli senza metallo sono più facili da utilizzare. Una volta, inoltre, si pensava che andando più in profondità, il tatuaggio durasse di più; invece non è assolutamente vero». Il chirurgo conclude dicendo che il risultato della rimozione dipende anche dalla capacità del proprio organismo di eliminare le sostanze introdotte dal tatuaggio e dal laser. «Ci sono persone che, per esempio, vengono per togliere il tatoo alle sopracciglia, e dopo una seduta è quasi scomparso. In altri casi per lo stesso tatuaggio ci vogliono tre sedute per arrivare a quel risultato: ma l’importante è utilizzare i giusti mezzi e le giuste precauzioni».

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