Ticino

Quegli oscuri conti delle paritetiche

Incassano milioni di contributi dai lavoratori ma non pubblicano i loro bilanci, ora si chiede loro più trasparenza
Le commissioni paritetiche sono indispensabili per verificare la corretta applicazione dei CCL. © CdT/Gabriele Putzu
Andrea Stern
Andrea Stern
22.01.2023 18:05

Persino le società bocciofile rendono noti i loro bilanci. Al contrario delle commissioni paritetiche, che continuano a restare confinate nell’opacità. Pur muovendo milioni di franchi ciascuna, le commissioni chiamate a verificare l’applicazione dei Contratti collettivi di lavoro (CCL) non hanno alcun obbligo di divulgare le proprie cifre.

Se si può stimare che il giro d’affari delle commissioni paritetiche nazionali superi i 200 milioni di franchi è solo grazie alla trasparenza di alcune di esse che, a titolo volontario, pubblicano ogni anno un rapporto di esercizio.

Tanti contributi, poche multe

Come per esempio la commissione paritetica del settore del prestito di personale, una delle più importanti in Svizzera, cui sottostanno centinaia di imprese e circa 400 mila lavoratori. Una commissione che, nel 2019, ha registrato ricavi per oltre 56 milioni di franchi, di cui quasi 40 milioni provenienti dai contributi obbligatori dei lavoratori. Altri 16 milioni sono giunti dai contributi dei datori di lavoro. Mentre gli incassi da multe per il mancato rispetto del CCL sono stati poca cosa, meno di un milione di franchi.

I principali finanziatori della commissione paritetica del settore del prestito di personale sono quindi i lavoratori, mentre i principali beneficiari sono i firmatari del CCL, in particolare il sindacato UNIA e l’associazione padronale Swissstaffing, cui spettano indennizzi, rimborsi spese e risarcimenti forfettari per svariati milioni all’anno.

La campagna pubblicitaria

Qualcuno - per esempio la NZZ - si è chiesto se tutti questi costi siano giustificati o se non ci sia margine per ridurre i prelievi dalle buste paga dei lavoratori. La conclusione del quotidiano zurighese è stata che non c’è un interesse a stringere la cinghia. La commissione paritetica preferisce utilizzare i suoi mezzi per scopi non essenziali - per sempio una campagna pubblicitaria sui trasporti pubblici costata 290.000 franchi - piuttosto che alleviare la pressione sui lavoratori.

E qui stiamo parlando di una delle pochissime commissioni paritetiche che hanno avuto l’onestà di rendere pubblici i loro conti. Molte altre commissioni paritetiche possono utilizzare i soldi versati loro dai salariati senza rendere conto a nessuno, se non alla SECO a livello federale o all’Ufficio per la sorveglianza del mercato del lavoro a livello cantonale, i quali si limitano a verificare la conformità legale dei conti, non di certo l’opportunità delle varie voci di spesa.

L’iniziativa di Pamini

In Ticino le cose potrebbero cambiare qualora dovesse farsi strada un’iniziativa parlamentare elaborata che il deputato UDCPaoloPamini è in procinto di presentare con l’obiettivo di permettere ai salariati di essere informati sull’utilizzo dei propri contributi e di potersi esprimere in merito (o forse l’obiettivo diPamini è di rompere le scatole ai sindacati, ma nel beneficio dei dubbi propendiamo per il fine più nobile).

In pratica Pamini intende introdurre nella legge un nuovo articolo che obblighi tutte le commissioni paritetiche a pubblicare i propri conti annuali. Questi dovrebbero poi essere approvati entro sei mesi da una doppia maggioranza, quella dei lavoratori e quella dei datori di lavoro. In caso di mancata approvazione o di ritardo nella presentazione dei conti, il prelievo dei contributi dalla busta paga dei salariati dovrebbe essere sospeso.

C’è poi un altro aspetto, forse il più discutibile. Pamini chiede di porre fine alla pratica secondo cui la commissione paritetica riversa al sindacato i contributi versati dai suoi affiliati.«I contributi versati alla paritetica devono restare alla paritetica - sostiene Pamini -. Mentre i sindacati dovrebbero finanziarsi con le quote dei lavoratori che liberamente decidono di associarvisi».

Sulla scia di Berna

A questo punto viene forse da supporre che il fine di Pamini sia quello meno nobile. Resta però il fatto che almeno la trasparenza dei conti non dovrebbe fare male a nessuno.D’altra parte lo stesso Parlamento ha recentemente approvato a larga maggioranza una mozione, osteggiata dal Consiglio federale, che chiedeva appunto trasparenza sui mezzi finanziari delle commissioni paritetiche.

Tra i promotori della mozione, Fabio Regazzi (Centro) sostiene di non avere nulla contro le commissioni paritetiche, di cui in un caso lui stesso fa parte, nel settore delle costruzioni metalliche. «Ma la trasparenza mi sembra un atto dovuto, non dovrebbe nemmeno essere necessario chiederla» afferma il consigliere nazionale, dicendosi stupito che la sinistra si sia opposta alla mozione, «quella stessa sinistra che invoca trasparenza a ogni piè sospinto».

Trasparenza a casa d’altri

Si potrebbe ribattere che la destra, in questo caso paladina della trasparenza, era invece dall’altra parte della barricata quando si trattava di decidere se divulgare gli importi percepiti dai parlamentari grazie ai loro mandati esterni. Ma forse è inutile addentrarsi in uno scontro dal quale si evincerebbe solo che è sempre più facile chiedere trasparenza in casa d’altri, piuttosto che in casa propria.

Resta il fatto che per le commissioni paritetiche l’era della trasparenza sembra avvicinarsi a grandi passi. A livello nazionale ilConsiglio federale dovrebbe ora legiferare in tal senso, dopo l’approvazione della mozione di Regazzi e colleghi. Mentre a livello cantonale l’iniziativa di Pamini rischia di trovare larghi consensi, dopo che già in passato erano emersi malumori, in particolare dai ranghi leghisti, sui flussi finanziari delle commissioni paritetiche.

Rimborsi da capogiro

D’altra parte ci sono cifre che il semplice cittadino fatica a capire. Perché un qualsiasi membro della commissione paritetica cantonale per il settore del prestito di personale (una delle più generose) incassa un’indennità di 600 franchi per ogni giornata di lavoro? Perché a questa indennità si aggiungono 60 franchi per le spese di viaggio e 50 franchi per il pranzo, oltre che il rimborso delle spese telefoniche o di altra natura, in certi casi persino senza giustificativi?

Sono domande che, senza le dovute risposte, rischiano di pesare come macigni sull’immagine di organi che pure svolgono un ruolo lodevolissimo, nonché fondamentale per la tutela del mercato del lavoro. È forse proprio per questo motivo, per non incrinare la fiducia nelle commissioni paritetiche, che la trasparenza può essere solo benvenuta.