Un cantone di case brutte

Di primo acchito quasi tutti hanno pensato al Casinò di Campione. Ma la «cattedrale laica» di Mario Botta giace su suolo italiano e quindi non può aggiudicarsi il titolo di «casa più brutta del cantone». Tuttavia anche al di qua della ramina i contendenti non mancano. Da Chiasso a Locarno passando per Paradiso, dieci architetti e il presidente della STAN (Società ticinese per l’arte e la natura) hanno raccolto la nostra sollecitazione cercando di individuare i più emblematici modelli di bruttezza nel patrimonio immobiliare cantonale.
«Manifestamente deturpanti»
«Non vorrei offendere dei colleghi - esordisce Giampiero Camponovo, architetto con oltre centocinquanta costruzioni all’attivo, da Palazzo Mantegazza alla ristrutturazione dell’ex Palace a Lugano –. La bellezza e la bruttezza sono sempre opinabili però ci sono edifici che sono manifestamente deturpanti. Per esempio l’altro giorno sono andato in treno a Locarno e uscendo dalla stazione mi sono chiesto come fosse possibile che proprio di fronte sia stata realizzata una facciata così brutta come quella dell’autosilo di Muralto. Non trova giustificazione in una zona di arrivo che è la porta di Locarno. Ma non troverebbe giustificazione nemmeno alla Stampa. Quella facciata è tremenda, andrebbe nascosta».

È un pessimo biglietto da visita per Locarno. Come lo è, secondo l’architetto Camponovo, il padiglione Conza per chi arriva a Lugano da Gandria. «Almeno prima c’erano degli alberi su viale Castagnola che lo nascondevano un po’ - nota -. Oggi invece il Conza emerge in tutta la sua fatiscenza».
«Architettura di arroganza»
In riva al Ceresio sono però due edifici piuttosto nuovi a finire nel mirino dell’architetto Camponovo. «Uno è quel palazzo dorato a Paradiso – afferma –. È fuori contesto a livello di volumetria e quella colorazione non fa altro che accentuare la sua estraneità. L’altro volume deturpante, sempre a Paradiso, è il grande complesso abitativo e alberghiero che chiude la zona edificata verso il bosco. Ha un volume sproporzionato, una lunghezza sproporzionata e un’architettura che non fa niente per cercare di rimediare».

Quel lungo stabile bianco, che ospita la Residenza Emerald e l’albergo The View, è considerato particolarmente brutto anche dall’architetto Benedetto Antonini. «È un’architettura di arroganza – afferma –. Negli anni ‘60 e ‘70 sono stati costruiti tanti edifici brutti e scialbi, ma perlomeno erano modesti. Non avevano quelle pretese estetiche di apparire che invece hanno certi edifici più moderni. Come per esempio il centro Ovale di Chiasso, uno degli orrori del canton Ticino, l’emblema dell’esibizionismo di architetti che si danno delle arie. Il centro Ovale è un edificio impossibile, tanto è vero che fa solo fallimenti».
Un campus che divide
Il problema, sottolinea Antonini, non è la dimensione. Tantomeno il cemento armato. «Ci sono edifici in cemento che sono imponenti ma non arroganti – osserva –. Penso per esempio al nuovo campus USI/SUPSI a Viganello, che è molto lineare. Gli darei un premio».

Questione di gusti. Perché allo stesso edificio, inaugurato meno di un anno fa, l’architetto Giovanni Bruschetti riserva invece quasi esclusivamente critiche. «Purtroppo quell’edificio è un’occasione persa per l’urbanistica – dice colui che è anche sindaco di Massagno –. Perché è un edificio chiuso su se stesso in un territorio aperto come la riva del Cassarate, oltretutto con un’accessibilità alle corti interne che non è così immediate. Lo stabile ha delle superfici esterne adiacenti ai percorsi pedonali che a mio giudizio sono solo degli spazi residuali. La mia non è una critica dal punto di vista dell’architettura ma dell’urbanistica. Penso che si sarebbe potuto fare qualcosa di molto meno chiuso su se stesso».
«Servono torri»
Secondo l’architetto Giorgio Giudici, ex sindaco di Lugano, bisognerebbe invece aprirsi verso l’alto. Come «giustamente» la città intende fare nel nuovo quartiere di Cornaredo. «Guardando verso l’alto - spiega Giudici - si libera il territorio e lo si caratterizza. Lugano è una città che ha vissuto sui sette piani, con qualche rara eccezione. È una città troppo orizzontale e poco verticale. Ora a Cornaredo si può disegnare una nuova entrata della città e liberare degli spazi verdi».
Qualche torre, a dire il vero, Lugano ce l’ha già. «Quella di Pregassona – sostiene Giudici – è tipica speculazione edilizia che lascia il tempo che trova. Poi c’è la casa alta di Viganello, che non crea emozioni. Non ha la forma di una torre, è come se fosse una casa ripetuta su quindici piani. Degna di nota è invece la casa torre di Cassarate, molto elegante. Nessuno può mettere in dubbio la qualità della mano dell’architetto Rino Tami».

Integrazione nel contesto
Eppure qualcuno lo fa. È l’architetto Gianluca Lopes che, pur esprimendo la massima considerazione per l’illustre architetto, considera quella torre mal riuscita. «Rino Tami ha realizzato uno degli edifici in cemento armato più belli non solo del Ticino ma forse dell’intera Europa – premette Lopes –. Mi riferisco alla biblioteca cantonale, che è integrata nel contesto con una delicatezza e una pulizia di volumi ancora oggi sorprendenti. La casa torre invece non si integra bene nel tessuto».
L’integrazione nel contesto è forse uno degli aspetti che troppo spesso è stato trascurato negli ultimi decenni. E che ancora oggi si continua a trascurare. «Abbiamo circondato i nuclei dei nostri villaggi, che erano molto belli, con dei nuovi quartieri anonimi – osserva Tiziano Fontana, presidente della STAN –. Per rovinare un contesto non serve per forza un edificio fuori scala. Bastano anche tante casette senza qualità».
«Costruzioni che intristiscono»
A risentirne, aggiunge l’architetto Monique Bosco-von Allmen, non è solo il paesaggio ma anche la qualità di vita. «In Ticino stiamo distruggendo il nostro bagaglio storico a una velocità impressionante – osserva –. Si costruisce solo guardando i piani regolatori, i rendimenti, la possibilità di vendere in fretta. Ne pagheremo il prezzo a livello sociale. Perché quando viene a mancare il senso del bello ciò si ripercuote sul modo di vivere delle persone. Diventiamo più individualisti, più chiusi su noi stessi, più tristi».

Un esempio di questo modo di costruire è il pian Scairolo. «Era una bella valle – afferma l’architetto Michele Arnaboldi –, ma è stata rovinata da una politica priva di visioni. Oggi si vuole la soluzione immediata, il risultato a breve termine. Ciò che si ottiene è questa urbanizzazione caotica e deturpante. Il pian Scairolo è l’emblema di questa politica».
L’architetto Paolo Ortelli definisce l’area commerciale a sud di Lugano «una cacofonia di individualismi mal espressi». Capannoni ed edifici che si sovrappongono tra loro invece di parlarsi. «La grande premessa della bellezza – dice Ortelli – è un equilibrio raggiunto. E l’equilibrio lo raggiungi solo se hai una logica coerente di linguaggio».
La pianificazione in ritardo
Una coerenza che, fino a un certo punto, potrebbe essere imposta a posteriori. «Queste periferie incontrollate – afferma l’architetto Sandra Giraudi, allargando il discorso oltre il Pian Scairolo – avrebbero un grande potenziale di riqualifica. Ma il problema è la paralisi di tutte le pianificazioni intercomunali». Si continua così a costruire sulla base di piani regolatori definiti decenni fa. «Sono pianificazioni senza progetti concreti - aggiunge Giraudi – che stanno mostrando tutti i loro limiti».
Il problema, forse, è la fame dei costruttori. «Credo che bisognerebbe costruire meno ma meglio - sostiene l’architetto Aldo Rampazzi -, nel rispetto di ciò che già esiste. Quindi costruire con l’architettura di oggi, ma rispettando i canoni e le proporzioni di una volta. Fare qualcosa che continui la città, non che la stravolga». L’ex sindaco di Ascona fa un esempio. «Una volta mi chiesero cosa ne pensavo della Ferriera di Locarno - racconta -. Dissi che come architetto la giudicavo interessante ma che come cittadino invece mi dispiaceva per la città. Perché una città non può essere fatta solo di monumenti. Una città deve avere una sua armonia».