Al CERN una macchina che produce bellezza

«Le particelle che osserviamo durante i nostri esperimenti seguono leggi semplici, eleganti, intuitive. C'è una bellezza intrinseca nelle leggi fondamentali della fisica». Parole di Fabiola Gianotti, dal 2016 direttrice generale del CERN di Ginevra, teatro (è il caso di dirlo) del documentario CERN . Il senso della bellezza del regista Valerio Jalongo. Un film che affronta un tema tradizionalmente ostico per il cinema, la divulgazione scientifica, con esiti davvero notevoli e senza cadere nella trappola che è sempre in agguato in questi casi: la tentazione di spiegare tutto nel giro di un'ora e mezza. In questo senso, l'approccio di Jalongo è quanto di più coerente e modesto si possa desiderare: punta a far capire pochi concetti di base (tra cui quello che l'universo della fisica quantistica è assolutamente al di fuori della portata dei nostri cinque sensi e quindi del tutto inimmaginabile per la mente umana), a stimolare affascinanti parallelismi, come quello fra arte e scienza, e a sfruttare al massimo il favoloso campionario di immagini astratte che la gigantesca «macchina fotografica» dell'acceleratore di particelle del CERN produce durante ogni esperimento. Immagini che – unite in sequenze temporali – diventano l'oggetto dell'accuratissime osservazioni da parte degli scienziati, alla ricerca di costanti o, al contrario, di irregolarità che possano far supporre la presenza di fenoemeni ancora tutti da studiare.L'altro aspetto pienamente riuscito del documentario è l'accostamento tra discorso scientifico e discorso artistico. Jalongo ha individuato una decina di artisti che – grazie anche a un apposito programma organizzato dal CERN – mettono in contatto tra loro due mondi che sembrerebbero non aver nulla in comune, ma che invece si ritrovano inaspettatamente sulla stessa lunghezza d'onda grazie a una riflessione che, partendo dall'astratto, raggiunge spesso risultati del tutto concreti. Tra dimensione macroscopica (il nuovo esperimento in corso al CERN punta a ricostruire ciò che diede origine al nostro universo un milionesimo di secondo dopo il Big Bang) e dimensione microscopica (ciò che si osserva nel grande acceleratore di particelle), le opere degli artisti rappresentano un trait d'union originale e sorprendente.Il fascino del documentario (prodotto dalla Amka Films di Savosa con il sostegno della RSI) vive anche del cosmopolitismo e della grande diversità di approcci che si respirano nella cittadella scientifica ginevrina dove convivono oltre diecimila ricercatori. Un mosaico di voci all'interno del quale si individuano alcuni «tenori» ma che offre ampio spazio anche ai più giovani. Tutti però accomunati da una convinzione profonda: ogni fenomeno naturale, da quello più banale a quello che rimane ancora del tutto misterioso, racchiude una dimensione di bellezza. Come si potrebbe spiegare in altro modo il fascino di un tramonto?